venerdì 8 gennaio 2021

BURGAZZI. Beneficio di Libera Collazione.



Il conferimento del beneficio e la sua perdita

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see filename (Photo credit: Wikipedia)

I canoni 1431-1447 (Cap. III – De beneficiorum collatione) disciplinavano una delle modalità di conferimento dell’ufficio ecclesiastico che si rendeva necessaria entro sei mesi da quando, per il venir meno del suo titolare, esso diventava vacante42.

Va premesso che il Codice conosceva quattro modi di conferimento dell’ufficio (cfr. canone 148 § 1): provisio officii ecclesiastici fit vel per liberam collationem a legitimo Superiore, vel per eius institutionem, si praecesserit praesentatio a patrono aut nominatio, vel per eius confirmationem aut admissionem, si praecesserit electio aut postulatio, vel tandem per simplicem electionem et electi acceptationem, si electio non egeat confirmatione.

Di tali forme di «provvista canonica», che era la locuzione tecnica con cui si indicava propriamente il conferimento di un ufficio, il § 2 del canone 148 specificava che l’institutio era regolata dalle norme sul diritto di patronato, mentre l’electio, la confirmatio e l’admissio trovavano la propria disciplina ai canoni 160-178. La libera collatio era contemplata sia nelle norme sugli uffici (cfr. canoni 152-159) sia nelle norme sui benefici (cfr. canoni 1431-1447).

La nomina da parte del legittimo superiore, compiuta liberamente e senza l’intervento da parte di alcuno, si definiva libera collazione; infatti la provvista veniva distinta in libera, se effettuata per libera collazione e necessaria, se l’autorità ecclesiastica era vincolata dalle proposte di un’altra persona (ad es. il patrono) o di un collegio, nel caso dell’electio.

Il Romano Pontefice, in virtù della suprema potestà giurisdizionale, aveva il diritto di conferire i benefici in tutta la Chiesa e di riservarsene ovunque il conferimento in via esclusiva (cfr. canone 1431); la competenza della Sede Apostolica era concorrente con quella dell’Ordinario del luogo per quanto riguardava i benefici diocesani e si sostituiva a quella dell’Ordinario, per diritto di devoluzione, qualora questi non avesse provveduto al conferimento entro sei mesi dalla notizia certa della vacanza (cfr. canone 1432).

Il canone 1435 enumerava le categorie di benefici il cui conferimento era riservato alla Santa Sede e che non potevano pertanto essere conferiti validamente da alcun’altra autorità ecclesiastica.

La competenza dei cardinali riguardava la provvista dei benefici vacanti nell’ambito del loro titolo o della propria diaconia, salvo il diritto della Santa Sede. Gli Ordinari locali, salvo sempre il diritto della Santa Sede per competenza, per riserva e per devoluzione, avevano titolo giuridico a conferire i benefici nel loro territorio, mentre il vicario generale non poteva fare provviste se non con mandato speciale (cfr. canone 152).

Il canone 1437 disponeva infine che nessuno potesse conferire a se stesso un beneficio né potessero conferirsi due uffici incompatibili, che non potessero cioè essere adempiuti dalla stessa persona (cfr. canone 156). Come precisava il canone 1439 § 2, erano incompatibili tra loro anche due benefici di cui uno fosse sufficiente ad honestam sustentationem del beneficiario.

La forma scritta era richiesta ad validitatem (canone 159: «cuiuslibet officii provisio scripto consignetur») e, perché la provvista fosse efficace, occorreva l’accettazione espressa del beneficiario (cfr. canone 1436).

Tra le norme dedicate alla validità del conferimento ricordiamo qui che era necessario un esame preliminare per accertare l’idoneità della persona prescelta; tale persona doveva essere dotata delle qualità richieste per quel determinato ufficio dal diritto o dall’atto di fondazione del beneficio, altrimenti la provvista era nulla o poteva essere dichiarata nulla (cfr. canone 153); soltanto ai sacerdoti poteva essere conferito un beneficio con cura d’anime (cfr. canone 154); i benefici secolari potevano essere conferiti soltanto a chierici secolari, quelli religiosi soltanto a chierici appartenenti all’ordine a cui i benefici erano annessi (cfr. canone 1442).

Il canone 1438 stabiliva che tutti i benefici secolari dovevano essere conferiti a vita del beneficiario, salvo che disponessero diversamente l’atto di fondazione del beneficio, una consuetudine immemorabile o uno speciale indulto43. I benefici dovevano essere conferiti senza diminuzioni, salvo il caso delle pensioni di cui al canone 1429, e senza simonia cioè senza riduzione dei redditi ad essi relativi, senza compensi o pagamenti da parte dell’investito al collatore, al patrono o ad altri (cfr. canone 1441).

L’institutio, previa presentazione del patrono, era una forma di conferimento dell’ufficio che rientrava tra i privilegi riconosciuti per diritto di patronato ai fondatori cattolici di una chiesa, una cappella o un beneficio. Lo ius patronatus si trasmetteva anche ai successori (cfr. canone 1448). Per il conferimento del beneficio, il patrono o i suoi aventi causa avevano quindi il diritto di indicare alla competente autorità ecclesiastica un chierico che fosse in possesso di tutti i requisiti previsti per l’ufficio vacante.

Poiché il Codice vietava per l’avvenire la costituzione di diritti di patronato ed esortava gli Ordinari del luogo a far venir meno quelli esistenti chiedendone la rinuncia ai titolari (cfr. canoni 1450-1451), non ci pare necessario dilungarci nell’analisi dei canoni 1448-1471, che costituiscono appunto il Capitolo IV De iure patronatus.

Delle altre forme di provvista (elezione, conferma o ammissione) non diremo oltre, se non che, anche in questi casi, il conferimento dell’ufficio comportava la preposizione al beneficio.

Il possesso del beneficio veniva acquistato mediante un apposito atto di consegna che ad validitatem doveva essere compiuto dalla competente autorità ecclesiastica e seguiva le forme prescritte dal diritto locale o dalla consuetudine (cfr. canone 1443); nel caso di benefici non concistoriali, la missio in possessionem competeva all’Ordinario del luogo che poteva affidarla anche ad un suo delegato. Per quanto riguardava il titolare dell’ufficio egli poteva incaricare un proprio procuratore, purché munito di mandato speciale (cfr. canone 1445); la consegna o institutio corporalis poteva essere evitata solo mediante dispensa scritta dell’Ordinario del luogo (cfr. canone 1444 § 1).

Il godimento dei frutti del beneficio, come di ogni altro diritto temporale o spirituale annesso al beneficio, s’iniziava con la presa di possesso validamente eseguita; gravi sanzioni erano previste dal canone 2394 per chi si immetteva nel possesso di propria autorità, senza seguire il modo stabilito dalla competente autorità ecclesiastica. La ratio di questo istituto stava nell’esigenza di fissare con certezza il termine a quo, rispetto a cui il beneficiario poteva legittimamente esercitare i propri diritti44.

Basilica Papale di San Pietro in Vaticano

Basilica Papale di San Pietro in Vaticano (Photo credit: CyberMacs)

Dal momento della immissione nel possesso decorrevano infatti a vantaggio del chierico i termini della prescrizione introdotta dal canone 1446 per l’ipotesi che il titolo d’ordinazione presentasse dei vizi; la prova del pacifico possesso di buona fede per un triennio ininterrotto sanava il vizio del titolo originario, purché esso non fosse simoniaco, e costituiva valido titolo d’acquisizione del beneficio (beneficium ex legitima praescriptione obtinet [canone 1446]).

Sempre in tema di possesso, il canone 1447 riconosceva la legittimazione all’esercizio dell’actio petitoria contro chi aveva il pacifico possesso di un beneficio a colui che affermava di esserne il titolare; del pari, il possessore di un beneficio che si considerava illegittimamente privato di esso poteva esercitare l’azione possessoria per ottenere la reintegrazione nel possesso.

La perdita dell’ufficio comportava – com’è logico – anche la perdita del beneficio. In materia di benefici, ai canoni 1484-1488, il Codice faceva espresso riferimento soltanto ai due casi della rinuncia e della permuta, mentre per la privazione, la rimozione ed il trasferimento dall’ufficio valeva il rinvio del canone 1413 § 2 alla disciplina dettata in tema di uffici dai canoni 183-195.

Tutti i beneficiari potevano rinunciare al beneficio, ma l’Ordinario del luogo non poteva accettare tale rinuncia se non gli risultava che il chierico avesse da altra fonte quanto necessario ad honestam sustentationem (canone 1484). Se il titolo dell’ordinazione fu il beneficio, a norma del canone 1485, era necessario farne espressa menzione nella rinuncia ed indicare il titolo sostitutivo. Queste norme erano dettate da un’evidente finalità di tutela del clero che ispirava anche il canone 1486, secondo cui la rinuncia non poteva farsi a favore di altri né poteva essere subordinata a condizioni relative alla provvista del beneficio o all’erogazione dei suoi redditi. L’Ordinario del luogo poteva accettare una rinuncia in favore d’altri soltanto come mezzo di composizione tra due contendenti rispetto ad un beneficio litigioso.

Il canone 1487 ammetteva la liceità della permuta di due benefici, fissandone rigidamente le condizioni; ma val bene ricordare che era soltanto con il consenso dell’autorità ecclesiastica competente che la rinuncia unilaterale e reciproca dei singoli beneficiari produceva l’effetto di trasferire i benefici permutati; se così non fosse stato, avremmo avuto una rinuncia in favore di altri vietata dalla legge.

42 «Un beneficio non può essere strutturalmente concepito senza un titolare, senza una persona fisica che lo sostenga; né può stare sempre senza un titolare, perché l’ente è inerte e resta quiescente; per sua natura è perpetuo ma potrebbe venire estinto per soppressione o per prescrizione centenaria (c. 102 § 1)» (G. Forchielli, «Beneficio ecclesiastico», 317).

43 «In perpetuum, sive ad vitam clerici, in titulum conferenda sunt beneficia saecularia […]. Quae concessio in titulum perpetuum non est necessaria in omnibus officiis et vel ipsum officium paroeciale, quod plerumque habet adnexam rationem beneficii, potest quoad certas paroecias esse coniunctum cum amovibilitate (c. 454 § 2); multo magis id accidit in officiis regularium» (F.X. Wernz – P. Vidal, Ius canonicum, II, 284).

44 M. Petroncelli spiega che: «la provvista è perfetta anche senza la immissione del possesso, in quanto l’ecclesiastico col secondo atto [l’accettazione] è già titolare di un plenum ius in re nei riguardi del beneficio; la immissione nel possesso così non può aumentare il suo diritto ma solo permettergli di compiere quelle funzioni di cui è titolare» (M. Petroncelli, Diritto Canonico, 146-147).






































































































































































































Contatti: giovanni_pititto@libero.it

PARENTE-PIOLANTI-GAROFALO. INVESTITURA

INVESTITURA

"INVESTITURA
4 Marzo 2012 c
Cardinale Pietro Parente; Mons. Antonio Piolanti; Mons. Salvatore Garofalo: Voci selezionate dal Dizionario di Teologia Dogmatica". 

INVESTITURA: cerimonia di designazione di una persona con effetto giuridico.

"Nel conferimento di un beneficio ecclesiastico si distinguono tre elementi: 

1) la designazione della persona che dà il diritto alla cosa (ius ad rem): tale atto può essere compiuto dai parrocchiali e dal patrono rispetto al parroco, dal capitolo cattedrale rispetto al vescovo; 

2) la «institutio canonica» fatta dal legittimo superiore, che conferisce il diritto nella cosa (ius in re), ossia il reale diritto sul beneficio e la vera giurisdizione spirituale; 

3) l'investitura, ossia l'installazione, per cui il beneficiato prende attuale possesso del beneficio o personalmente o per procuratore.

  A queste nitide idee si giunse attraverso la lotta detta appunto delle «investiture». Nel sec. XI l'imperatore per un complesso di circostanze storiche, non solo s'arrogava il diritto di presentare la persona del vescovo o dell'abate, ma pretendeva di conferirgli, nel momento in cui l'investiva dei feudi annessi al vescovado o al monastero, anche il potere spirituale con la consegna dell'anello e del pastorale. Era poi cura del Sovrano di cercare nei suoi candidati più che le qualità del sacerdote le attitudini del gastaldo e del vassallo. Così la Chiesa minacciava di divenire un grande feudo dell'imperatore. Di qui la ferma opposizione dei Papi, specialmente di S. Gregorio VII. La lunga vertenza, dopo molte vicende, fu composta col concordato di Worms del 1122, con cui si distinse chiaramente tra potere spirituale e temporale, tra designazione della persona e conseguente conferimento dell'autorità.
  Quando si rifletta alle difficoltà rese assai tenaci dagli interessi materiali, che erano in gioco, la vittoria della Chiesa, che spezza la cappa di piombo che l'opprimeva, è per noi una delle prove della sua indefettibilità"

Contatti: giovanni_pititto@libero.it

RATTI-CAPPELLO-JEMOLO. Beneficio.













































BENEFICIO
di Umberto RATTI - Felice M. CAPPELLO Arturo Carlo JEMOLO - Enciclopedia Italiana (1930)

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Benefìcio

LESSICO

(ant. benefìzio) sm. [sec. XIII; dal latino beneficíum]. Qualunque opera rivolta a procurare ad altri un bene o un vantaggio: colmare di beneficio; immemore dei benefici ricevuti. Per estensione, utilità, sollievo; favore, profitto: trarre beneficio dal clima marino; destinare gl'incassi dello spettacolo a beneficio dell'istituto per ciechi. In senso fig., con riferimento all'accezione giuridica dei benefici di inventarioaccogliere con beneficio d'inventario, riservandosi un giudizio diverso (riferito a voci, opinioni, richieste, ecc.). § In economia, Beneficio fondiario, reddito del proprietario fondiario, o, in altri termini, prezzo d'uso del capitale fondiario. Il beneficio fondiario è concettualmente costituito da due elementi, rendita e interesse, che corrispondono alle due componenti del capitale fondiario: la nuda terra e i miglioramenti fondiari, cioè i capitali stabilmente investiti in essa.

DIRITTO

Nel diritto romano, atto di carattere normativo o amministrativo, arrecante vantaggi a uno o più soggetti. In epoca giustinianea il termine servì a indicare vantaggi concessi, a richiesta dell'interessato, a chiunque si trovasse in una determinata situazione giuridica. Beneficio della competenza, espressione coniata dai commentatori medievali per indicare la limitazione dell'ammontare della condanna pecuniaria alle possibilità patrimoniali del convenuto (id quod facere potest), nell'ipotesi che egli si trovi in una particolare situazione giuridica: così il socio nei confronti degli altri soci, il patrono rispetto al liberto, i coniugi nei loro rispettivi confronti. Beneficio della divisione, espressione usata per indicare il privilegio concesso da un rescritto di Adriano al fideiussore solvibile che, in presenza di più garanti, venga convenuto dal creditore per l'intero. Nell'ipotesi, il fideiussore può ottenere, probabilmente mediante un'eccezione (exceptio), che il creditore proceda nei confronti di tutti i fideiussori solvibili. Beneficio di escussione, espressione medievale per indicare la facoltà, riconosciuta da Giustiniano al fideiussore convenuto in giudizio, di chiedere al creditore garantito la preventiva escussione del debitore principale. Sotto questo profilo si ritrova anche nel diritto moderno. Beneficio d'inventario, istituto di diritto successorio introdotto da Giustiniano e promosso a favore dell'erede allo scopo di evitare la confusione fra il patrimonio di questi e quello del defunto e, conseguentemente, la responsabilità illimitata dell'erede stesso per le obbligazioni del suo dante causa. Quest'istituto è tuttora vigente nel diritto moderno, sostanzialmente con gli stessi caratteri, e fa sì che il chiamato all'eredità, pur non perdendo i propri diritti successori, limiti la propria responsabilità per le obbligazioni del de cuius fino alla concorrenza dell'attivo dell'asse ereditario. L'accettazione con beneficio d'inventario è obbligatoria, secondo la legge italiana, per gli incapaci e per le persone giuridiche. Beneficio della separazione, privilegio concesso dal pretore al servo istituito erede cum libertate, al fine di far salvi i guadagni successivi all'acquisto della libertà; a tal fine, i creditori ereditari dovevano soddisfarsi sul solo patrimonio ereditario. Beneficio del termine: la legge considera il termine concesso al debitore per adempiere a un'obbligazione come un vantaggio a suo favore. Tuttavia, tale beneficio può essere perduto dal debitore quando esista un pericolo che minacci il soddisfacimento del credito, come per esempio per sopraggiunta insolvenza del debitore stesso (fallimento), per diminuzione o mancata prestazione delle garanzie pattuite. In tali casi si parla di perdita del beneficio del termine. Beneficio di legge: in diritto penale s'intendono con tale espressione tutte quelle circostanze di fatto e di diritto (circostanze attenuanti, amnistie, condoni) che possono limitare o annullare la responsabilità penale dell'imputato.

DIRITTO CANONICO: STORIA DEI BENEFICI ECCLESIASTICI

Beneficio ecclesiastico, “ente giuridico, costituito o eretto in perpetuo dall'autorità ecclesiastica, composto di un ufficio sacro e del diritto di percepire i redditi della dote, spettanti all'ufficio”. La “dote” può essere rappresentata anche da beni non immobili (titoli, congrue, assegni, ecc.). Il beneficio ecclesiastico è indissolubilmente legato a un ufficio e le norme che ne regolano il conferimento o la perdita regolano egualmente il conferimento o la perdita di un ufficio ecclesiastico. I benefici possono essere concistoriali (o maggiori), creati, mutati e soppressi solo dal papa e da lui conferiti in concistoro, e non concistoriali, creati e conferiti dai vescovi. Sono secolari o religiosi se i destinatari sono del clero secolare o religioso; duplici o residenziali e semplici o non residenziali, secondo che sia o non sia vincolante la residenza nella sede del beneficio. Sono manuali, temporali o amovibili e perpetui o inamovibili secondo le caratteristiche del conferimento; curati o non curati se vi è o non vi è cura d'anime. § I primi benefici ecclesiastici si formarono attorno alla cattedrale ed erano amministrati dal vescovo. Essi erano impiegati per il vescovo, per il clero, per i poveri e per la costruzione e la manutenzione degli edifici ecclesiastici. Un'amministrazione indipendente dal vescovo ebbero i benefici delle grandi fondazioni monastiche, nelle quali il capo del monastero era responsabile non solo dei monaci, ma anche del patrimonio. In processo di tempo il monastero diede vita a sottocentri (chiesa e battistero, cimitero, luogo di abitazione per il clero locale) che si formarono un proprio patrimonio proporzionato ai loro bisogni. Un secondo momento della costituzione dei benefici avvenne con la divisione del patrimonio comune in una parte a esclusivo godimento del vescovo e in un'altra per il clero. Lo stesso avvenne per l'abate e i monaci nei monasteri; più tardi la mensa vescovile venne essa stessa frazionata per provvedere al servizio religioso nei santuari e per l'erezione di ospedali. Si cercò di far vivere il clero in comune, ma non si riuscì a impedire che il reddito comune venisse frazionato fra i singoli componenti la comunità a seconda del loro grado. In processo di tempo il frazionamento toccò lo stesso patrimonio e si formarono così le prebende con amministrazione separata. Il fenomeno, in tempi e modi diversi, divenne generale. Si costituirono nuovi patrimoni per l'erezione di nuove parrocchie, di istituti destinati ad aiutare le popolazioni, ecc. Frutto di donazioni personali, questi patrimoni quasi mai coincidevano con le vere esigenze del servizio religioso. Questo ordinamento patrimoniale ecclesiastico, lasciato alla spontaneità dei donatori, portò a una profonda sperequazione, che minava alla radice stessa il carattere spirituale del beneficio, per cui la Chiesa intervenne energicamente nella lotta per le Investiture e con la legislazione delle Decretali, strappando il beneficio al tentativo di laicizzazione da parte del potere temporale per conservargli il suo carattere sacro, quello che ancora mantiene con più serena sicurezza per la netta divisione tra poteri temporale e spirituale.

DIRITTO CANONICO: IL CONCETTO DI BENEFICIO VACANTE

Beneficio vacante, quando un beneficio è privo del titolare dell'ufficio sacro a cui il beneficio è connesso. La vacanza avviene: per morte del titolare; per rinuncia volontaria; per fatti che comportino la rinuncia al beneficio (per esempio la professione religiosa di un sacerdote secolare); per privazione del beneficio (ipso iure per una colpa prevista dal codice canonico o per atto del legittimo superiore); per amozione; per dimissioni; per trasferimento del titolare. Nel periodo della vacanza l'autorità competente deve provvedere alla nomina di un amministratore interinale per il disbrigo degli atti di ordinaria amministrazione; a detto amministratore compete solo un compenso per la propria opera. Con il concordato tra la Santa Sede e l'Italia questa ha rinunciato alle prerogative sovrane del suo patronato sui benefici.



[Da: https://www.sapere.it/enciclopedia/benef%C3%ACcio.html ]









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