BENEFICIO. - Il termine beneficium si trova usato nell'alto Medioevo per indicare il rapporto che si stabiliva quando un proprietario cedeva il suo fondo a un altro - per lo più la Chiesa - ricevendolo poi nuovamente a titolo precario, contro determinate prestazioni o tributi: una delle istituzioni da cui nacque il rapporto feudale, onde, già nel sec. IX, il termine è spesso sinonimo di feudo.
Benedicio ecclesiastit.o. - Il nome si mantenne nel campo del diritto canonico ed ecclesiastico e sotto questo punto di vista lo studieremo qui.
Diritto della Chiesa. - La storia dell'istituto non può essere staccata da quella dell'evoluzione del patrimonio ecclesiastico (v. chiesa, beni della): il nome comincia a trovarsi usato nel sec. IX e diviene generale nel sec. XI (così Alessandro II parla di ecclesiasticum beneficium in una decretale al clero e al popolo di Lucca del 1068, inserita, in uno dei due testi che ne restano, nel Decretum di Graziano, c. 9, C. I, q. 3). Nell'età aurea del diritto canonico, sempre le fonti parlano di beneficia, anche se usano come sinonimi di beneficium altri termini, quali ministerium e praebenda, il cui significato sarà poi dalla dottrina fatto alquanto differire, per specificazione, da quello di beneficio. La dottrina e le fonti finirono col dare un significato sempre più generale al termine di beneficio, fino a designare impropriamente col termine di diritto beneficiario l'intero diritto patrimoniale della Chiesa.
Il vigente Codex iuris canonici, al can. 1409, definisce il beneficio (dandosi per la prima volta dal legislatore ecclesiastico definizione dottrinale dell'istituto, e ponendosi in vista quel carattere saliente di persona giuridica che la più gran parte delle definizioni degli scrittori aveva trascurato) ens iuridicum a competente ecclesiastica auctoritate in perpetuum constitutum seu erectum, constans officio sacro et iure percipiendi reditus ex dote officio adnexos. Si deve particolarmente notare l'indissolubile unione del beneficio con l'ufficio: possono darsi e si dànno in effetto uffici ecclesiastici cui non sia unito un beneficio; ma non si dà alcun beneficio al quale non sia unito un ufficio, che anzi si deve considerare come elemento costitutivo dell'istituto. Siccome poi la più gran parte degli uffici ecclesiastici, e, tutti quelli d'importanza fondamentale per la vita della Chiesa (vescovati, canonicati, parrocchie), sono uniti a un beneficio, le norme che regolano il conferimento e la perdita del beneficio valgono anche a regolare il conferimento e la perdita degli uffici ecclesiastici. Se si volesse cercare una definizione del beneficio ecclesiastico diversa da quella del Codex e tale da porne meglio in vista le peculiarità, si potrebbe dirlo "la fondazione unita a un ufficio ecclesiastico, avente lo scopo di fornire i mezzi di sostentamento al titolare di questo (beneficiato), e che ha tale titolare a un tempo come rappresentante, come amministratore e come usufruttuario". Trovare riunite in un'unica persona fisica queste tre qualità, è una caratteristica che non si riscontra in alcun'altra persona giuridica.
Il beneficio ha di solito un patrimonio: tuttavia questo può anche mancare (restando sempre all'ente la capacità di acquistare e di possedere) e possono pur erigersi nuovi benefici senza patrimonio, ove al titolare dell'ufficio siano assicurati redditi con sufficiente garanzia di stabilità: redditi che potranno consistere o in prestazioni determinate di qualche famiglia o persona morale, che assuma l'obbligo di corrisponderle, o in oblazioni determinate e volontarie di fedeli, o in diritti di stola, nei limiti della tassazione diocesana o della legittima consuetudine, o anche in distribuzioni corali, trattandosi di benefici di appartenenti a capitoli.
I benefici si distinguono in: a) concistoriali (nella terminologia del Codex: detti anche maggiori dalla dottrina), che possono essere creati, mutati e soppressi solo dal papa, e da lui vengono conferiti in concistoro (tali quelli dei cardinali e dei vescovi), e non concistoriali, o minori, che sono creati e conferiti di regola dai vescovi, salvo si tratti di dignità capitolari, per cui è competente il papa; b) secolari e religiosi secondo che debbano essere conferiti a ecclesiastici del clero secolare o di quello regolare; c) duplici o residenziali e semplici o non residenziali, secondo che sia loro unito o no l'obbligo per il titolare di risiedere là dov'è la sede del beneficio (l'obbligo sussiste per tutti i benefici che hanno cura d'anime e per quelli dei canonici e mansionarî delle cattedrali; Concilio Tridentino, c. 1, sess. XXIII de ref.; c. 12, sess. XXIv de ref., le cui norme si trovano riportate in varî canoni del vigente Codex); d) manuali, temporarî o amovibili, e perpetui o inamovibili secondo che il conferimento possa essere sempre revocato dal superiore, o il beneficio venga conferito in perpetuo, sicché il beneficiato non possa venire rimosso se non a titolo di sanzione penale (o anche, per i parroci, dietro uno speciale procedimento amministrativo): i benefici secolari di regola sono conferiti a vita; e) curati e non curati secondo che abbiano o no annessa la cura d'anime.
I benefici possono essere uniti tra loro in vario modo, cioè o estinguendo due o più benefici originarî per farne sorgere uno nuovo, o lasciando sussistere quelli originarî, nel qual caso ancora possono essere lasciati sussistere su un piede d'uguaglianza o dichiarandone uno principale e l'altro accessorio. Nori rientrano nelle vere e proprie unioni le unioni meramente personali, quali si dànno con particolare frequenza per i vescovati, ossia i casi in cui il beneficiato è preposto nello stesso tempo a più benefici senza che la superiore autorità disponga però che quei benefici debbano anche in avvenire essere conferiti a una stessa persona.
I benefici possono essere anche divisi, trasferiti da una sede a un'altra (translatio), convertiti da un tipo a un altro (conversio o transformatio beneficiorum). Il superiore può anche togliere a un beneficio per darla a un altro una parte del patrimonio (dismembratio, termine che designa anche l'ipotesi di diminuzione del territorio costituente la circoscrizione territoriale dell'ufficio unito al beneficio, per venire parte di tale territorio unita alla circoscrizione di altro ufficio). Infine un beneficio può essere soppresso: ma la soppressione pura e semplice è nella pratica ecclesiastica molto rara, preferendosi la fusione con altro beneficio.
Il beneficio non può essere conferito che a un chierico, cioè a chi abbia ricevuto almeno la prima tonsura, salvo a richiedersi poi l'ordine presbiterale o particolari requisiti d'età o di cultura secondo il beneficio di cui si tratta. Nessuno può conferire un beneficio a sé stesso; né si può conferire validamente un beneficio al chierico che non accetti il conferimento. In via eccezionale si può divenire titolare d'un beneficio senza conferimento, per usucapione, cioè quando l'ecclesiatico che possiede un beneficio provi di averlo posseduto per tre anni pacificamente e in buona fede. Al conferimento del beneficio segue la presa di possesso, con la quale si inizia il diritto a godere dei frutti del beneficio. Anche per la presa di possesso (institutio corporalis) il beneficiato deve avere un'autorizzazione del superiore e il non prendere possesso entro il termine assegnato dal superiore importa decadenza dal beneficio.
Nessun ecclesiastico può coprire due o più benefici che importino obblighi ch'egli non sia in grado di adempiere simultaneamente, né due benefici, ciascuno dei quali sia di per sé sufficiente a dargli i mezzi di decoroso sostentamento.
Il beneficio può essere perduto dal titolare a titolo di sanzione penale o disciplinare o per rinuncia. Se però il beneficiato abbia ricevuto gli ordini maggiori, non può rinunciare al suo beneficio, ove non provi di possedere altri mezzi di sussistenza, né può rinunciare al beneficio che costituì il titolo canonico della sua ordinazione senza sostituirvi altro titolo.
La permuta di benefici è ammessa solo per una giusta causa. Rinuncia e permuta debbono essere consentite dal vescovo trattandosi di benefici di collazione vescovile; dal papa, trattandosi di benefici maggiori: ma per i vescovati la permuta è ignota alla prassi odierna della Chiesa.
Il beneficiato percepisce tutti i redditi del beneficio, con l'obbligo, puramente morale (e che non sussiste per i cardinali), di erogare il superfluo ai poveri. Deve adempiere gli oneri annessi al beneficio, e quindi provvedere a tutto ciò che occorre per il culto nella chiesa annessa al beneficio, quante volte questo abbia unita una chiesa, se non vi siano altri obbligati. Deve amministrare il patrimonio beneficiario secondo le regole stabilite dal diritto della Chiesa. Gl'incombono tutte le spese di manutenzione dei beni, salvo che vi siano altri obbligati per le straordinarie riparazioni della chiesa e della casa d'abitazione dell'investito.
Il concilio di Trento prescrisse il concorso per il conferimento dei benefici parrocchiali (sess. XXIV, cap. 18 de ref.). La forma di esso fu con chiarezza e precisione determinata da S. Pio V (cost. In conferendis, 18 marzo 1567), da Clemente XI (istruz. Quo parochiales della S. Congregazione del Concilio, pubblicata, per ordine espresso del detto pontefice, il 10 gennaio 1721), e specialmente da Benedetto XIV (cost. Cum illud, 14 dicembre 1742). Questa costituzione è in vigore anche oggi (can. 459, § 4). A norma di essa, il concorso dev'essere bandito dal vescovo, con l'indicazione precisa del giorno, del luogo e dell'ora dell'esame; questo deve farsi davanti agli esaminatori sinodali o prosinodali; ai candidati devono proporsi gli stessi casi da sciogliere, le medesime questioni, lo stesso testo omiletico da svolgere; l'esame deve riguardare, oltre la dottrina, anche le altre qualità richieste per l'esercizio della cura d'anime. Gli esaminatori giudicano circa l'idoneità dei concorrenti, tenendo conto non solo della scienza, ma anche della pietà, dello zelo, della prudenza e di tutte le altre doti necessarie. Il vescovo sceglie fra gli approvati il più degno. Chi si ritiene ingiustamente posposto o rigettato, può interporre, entro dieci giorni, appello, ossia il ricorso al metropolita o direttamente alla S. Sede.
In alcune regioni non vige il concorso speciale per le singole parrocchie vacanti, bensì il concorso generale; in altre regioni l'obbligo del concorso oggi non esiste, essendo cessato per legittima consuetudine o per convenzione concordataria. In Italia (come pure nella Spagna) il concorso è obbligatorio anche per la prebenda canonicale del teologo e del penitenziere, in forza della cost. Pastoralis officii di Benedetto XIII del 19 maggio 1725 (cfr. can. 399, § 2).
Diritto dello Stato. - Sebbene durante gli anni del Risorgimento non mancassero incitamenti allo Stato perché sovvertisse profondamente l'ordinamento patrimoniale della Chiesa, sopprimendo i benefici e affidando l'amministrazione del patrimonio della Chiesa a corporazioni di laici, tali aspirazioni non ebbero attuazione, e l'istituto del beneficio continuò a vivere nel nostro diritto positivo.
Lo Stato riconobbe dunque di regola come persone giuridiche i benefici ecclesiastici: ma avocò con la legge sarda 9 aprile 1850 (estesa poi a tutte le regioni del regno) ai proprî tribunali la cognizione di ogni causa concernente il diritto di nomina ai benefici o i beni di questi. Tale norma non è stata neppur oggi abrogata, ma la sua portata resta limitata all'art. 23 cap. del concordato 11 febbraio 1929 per cui debbono avere piena efficacia giuridica, anche a tutti gli effetti civili, le sentenze e i provvedimenti emanati da autorità ecclesiastiche o religiose e concernenti materie spirituali o disciplinari.
Fin dalla prima legge eversiva, quella piemontese 29 maggio 1855, lo Stato cessava però di riconoscere "i benefici semplici i quali non hanno annesso alcun servizio religioso che debba compiersi personalmente dal provvisto", come pure i benefici delle collegiate che non avessero cura d'anime né esistessero in città con oltre ventimila abitanti. Ciò rispondeva al concetto del legislatore, che, dovendosi addivenire a un'equa ripartizione dei redditi ecclesiastici, bisognasse cominciare col sopprimere i benefici semplici che non rispondevano a un interesse generale della Chiesa, ma solo all'interesse di chi aveva titolo a occuparli, traendone mezzo di sostentamento, senza coadiuvare i parroci nella cura delle anime.
Con la legge 15 agosto 1867, oltre ad altre categorie di benefici (da considerarsi sotto le rispettive voci) furono soppressi in tutto il regno "i benefici ai quali, per la loro fondazione, non sia annessa cura d'anime attuale, o l'obbligazione principale permanente di coadiuvare il parroco nell'esercizio della cura", con facoltà ai patroni laicali di rivendicarne i beni entro un anno (termine prorogato poi al 15 agosto 1869), pagando il 30% del valore dei beni.
Gli articoli 833 e 1075 cod. civ. stabilirono poi la nullità delle disposizioni di ultima volontà e delle donazioni ordinate al fine o aventi per oggetto di istituire o dotare benefici semplici: è però dubbio se tali articoli siano tuttora in vigore, o se siano stati tacitamente abrogati dall'art. 29 del concordato 11 febbraio 1929 e dall'art. 4 della legge 27 maggio 1929, n. 848.
Le autorità ecclesiastiche possono creare, modificare, estinguere benefici, ma i loro atti non hanno effetti civili se lo Stato non provvede in conformità con regio decreto, udito il parere del Consiglio di stato.
I benefici possono venir conferiti soltanto a cittadini italiani, salvo che a Roma e nelle sedi suburbicarie (art. 22 concordato 11 febbraio 1929), e il loro conferimento (fuori che in dette località), secondo gli articoli 19 e 21 del detto concordato e gli articoli 1 e 2 della legge 27 maggio 1929, n. 848, e 1 e 3 del regolamento 2 dicembre 1929, n. 2262, segue previa comunicazione allo Stato del nome del designato, onde gli appositi organi dello Stato possano fare presenti all'autorità ecclesiastica le eventuali ragioni di opposizione.
I rapporti tra il beneficio e il beneficiato sono regolati, per quanto tocca i reciproci diritti e obblighi, dal diritto della Chiesa: ed è questo diritto che disciplina l'amministrazione e il godimento delle rendite dei benefici durante i periodi di vacanza (art. 26 concordato 11 febbraio 1929).
Bibl.: N. Garcias, Tractatus de beneficiis, Magonza 1614; C. Pyrrhus, Praxis beneficiaria, Napoli 1656; P. Sobuf, Praxis beneficiorum, Lione 1675; L. Thomassin, Ancienne et nouvelle discipline de l'Église touchant les bénéfices et les bénéficiers, Parigi 1679; P. Leuren, Forum beneficiale, Colonia [Venezia] 1742; C. M. Sguanin, Tactatus beneficiarius, Roma 1752; J. Imbart de la Tour, Les origines religieuses de la France. Les paroisses du IV au XI siècle, Parigi 1885; C. Gross, Das Recht an der Pfründe, Graz 1887; U. Stutz, Geschichte des kirchlichen Benefizialwesen, Berlino 1895; id., Die Eigenkirche als Element des m. a.-german. Kirchenrechts, Berlino 1895; A. Galante, Il beneficio ecclesiastico, Milano 1895; H. Schaefer, Pfarrkirche und Stift in deutschen Mittelalter, Stoccarda 1903; Stutz, Eigenkirche, Enginekloster, Lipsia 1912.
Beneficio di legge. - Beneficio di legge è il vantaggio accordato da una norma di diritto singolare a una determinata classe di persone, o di cose, o di rapporti giuridici. Si vuol distinguere dai più il beneficio di legge dal privilegio, intendendo per privilegio il beneficio concesso dal potere legislativo a una determinata persona o cosa, o a un determinato rapporto giuridico.
I benefici di legge si manifestano specie in due campi del diritto: in quello del diritto processuale e in quello del diritto ereditario.
Nel diritto romano i benefici più importanti erano: il beneficium separationis, il beneficium inventarii, il beneficium abstinendi, il beneficio della cessio bonorum, il cosiddetto beneficium competentiae, il beneficium excussionis, e il beneficium divisionis.
Il beneficio di separazione consiste nella facoltà di domandare la separazione dei beni ereditarî dalla massa dei beni dell'erede in modo che i creditori del de cuius possano soddisfarsi sui suoi beni, senza subire il concorso dei creditori dell'erede.
Il beneficio d'inventario, introdotto da Giustiniano, è fornito all'erede che voglia limitare la propria responsabilità, nei confronti dei creditori del de cuius, intra vires hereditatis: l'erede può raggiungere tale scopo compiendo sotto date condizioni e con l'osservanza di determinate formalità l'inventario dei beni ereditarî (v. anche successione).
In base al beneficium abstinendi, l'heres suus et necessarius, finché non si fosse immischiato nell'eredità, era considerato erede soltanto di nome, e non rispondeva col proprio patrimonio di fronte ai creditori del defunto.
Mediante il beneficio della cessio bonorum, il debitore poteva evitare l'esecuzione personale, abbandonando i proprî beni a favore dei creditori, perché questi procedessero alla vendita.
In virtù del beneficium competentiae una data categoria di debitori, quando fosse convenuta in giudizio, non poteva essere condannata al pagamento d'una somma eccedente le proprie sostanze.
Per il beneficio di escussione il fideiussore convenuto in giudizio può respingere temporaneamente il creditore, chiedendo che questi chiami prima in giudizio il debitore principale.
Infine, il beneficio di divisione è quel beneficio in virtù del quale l'obbligazione contratta da più fideiussori viene divisa, per quote virili, tra i varî garanti (v. successione).
Tra i benefici sinora ricordati perdurano sostanzialmente nel diritto moderno quelli di separazione (art. 1032 cod. civ.), di inventario (art. 955 segg. cod. civ.), di escussione (art. 1907 cod. civ.), di divisione (art. 1912 cod. civile).
Bibl.: Sul concetto di beneficio di legge v. B. Windscheid, Pand., I, Francoforte s. M. 1906, ¿ 29, p. 123 segg. e utori ivi cit.; per il dir. rom., P. Girard, Manule di dir. rom., trad. it., Milano 1909, luoghi cit. nell'indice alfabetico, voce Beneficio, e per il dir. moderno, F. Ricci, Corso di diritto civile, 3ª ed., Torino 1923, luoghi cit. nell'indice alfabetico, voce Beneficio.
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