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lunedì 30 gennaio 2012

UN CONSIGLIO COMUNALE SUL DISSESTO IDROGEOLOGICO ... APERTO ALMENO AI PARROCI DELLA CITTA' !!!


Gazzetta del Sud di oggi 


E così, nuovamente, assistiamo inebetiti al diniego di un Consiglio Comunale Aperto sul tema del dissesto idrogeologico del territorio. Nuovamente, perché su questo tema il Consiglio aveva già detto di no a discuterne a Vibo Marina, qualche mese dopo la ferita mortale del 6 luglio 2006. Perché un simile argomento deve rimanere un “tabù istituzionale” nei rapporti tra cittadini ed amministrazione locale? 
Quantunque ci si sforzi, non riusciamo a trovarne ragioni.
A nostro soccorso è utile richiamare alla memoria quanto scrisse, circa 40 anni fa, lo scrittore Ennio Flaiano  nel libro “Le ombre bianche” (Editore Rizzoli, Milano, 1972), con il quale vinse il Premio Estense. Con la sua incisiva penna di uomo di cultura affronta il tema del dissesto idrogeologico della Calabria, ambientando il suo racconto in un paese dell’Appennino calabrese “dove tutti sono in allarme perché da qualche tempo il paese sta franando a valle. Questione di qualche centimetro al mese, di qualche casa che si spacca, di qualche strada che cede. Le piogge, ma soprattutto il taglio indiscriminato dei boschi, che prima facevano corona al paese, sta ora producendo i suoi effetti”.
Flaiano descrive lo stato d’animo dei cittadini, che cercano di correre ai ripari: “Un rimedio forse ci sarebbe: rimboschire presto, attivamente. Soltanto dopo si potrà pensare a rimettere in sesto le case pericolanti.” 
Ma chi si accolla la spesa enorme di un rimboschimento così esteso? Il Comune non ha soldi, la Provincia nemmeno, il Governo ha promesso aiuti, ma non manda niente. Tutta la lotta politica di quegli anni, si svolgeva attorno all’unico tema del rimboschimento, con la stessa litania di parole della politica vibonese: “Promesse, promesse, promesse. I partiti promettono moltissimo. L’onorevole monarchico accusa i repubblicani, anzi la Repubblica; i comunisti accusano i signori; i signori accusano i contadini che hanno tagliato i boschi per coltivare il grano. Tutti parlano”.
Ennio Flaiano
Dunque, chiacchiere, tante chiacchiere. Fatti? Nessuno. 
A questo punto l’incisiva satira di Flaiano inventa la soluzione possibile, inattesa quanto efficace e concreta:  “Un bel giorno si vede infatti una donna che va a piantar un albero nelle forre della strada di circonvallazione. Il giorno dopo, le piantatrici, sono due, tre, cinque. Nei giorni seguenti vediamo anche qualche uomo. Cosa è successo? Gli alberi piantati sono quasi un centinaio, e il loro numero aumenta ogni giorno, come mai questo nuovo senso negli abitanti?
Al lettore che, durante la lettura fa suoi questi interrogativi,  lo scrittore fornisce una risposta che è possibile solo "riaccendendo" con ironia un possibile legame tra uomo e territorio: 
la risposta è semplice. Il vecchio parroco, un uomo poverissimo, quando confessa i suoi fedeli invece di dar loro per penitenza qualche preghiera, ha pensato che è più utile impegnarli a piantare alberi. I peccati così serviranno a qualcosa, da ora in poi”. 
Tra qualche anno - dice il parroco- se i miei fedeli seguiteranno a peccare come sempre hanno fatto, il rimboschimento sarà completo”. E il sindaco? Non protesta per quell’occupazione di suolo pubblico? 
No, anzi il sindaco va anche lui a piantare il suo alberello senza dare alla cerimonia un carattere ufficiale”.
Fantastico Flaiano! L’esempio positivo del fare, contro la negatività del disinteresse per il proprio territorio. È davvero straordinaria la lezione! 
Al prossimo Consiglio Comunale Aperto … magari negato a tutti i cittadini, ma aperto almeno i Parroci della città!

domenica 26 dicembre 2010

QUANDO LA CITTA' ERA ... UNA CARTOLINA!

Splendido libro quello di Antonio Manco, che dire. “La cartolina. Monteleone – Porto Santa Venere, Vibo Valentia - Vibo Valentia Marina Testimonianze del Novecento”.

Attraverso questa raccolta di cartoline viaggiate e non, si percorrono due secoli, due monarchie, una in macerie e già cancellata da qualche decennio, quella dei Borbone delle Due Sicilie, un’altra in auge ma destinata a perire per contrappasso della storia, quella dei Savoia. C’è la dittatura fascista, regime d’operetta e cartapesta, ed una repubblica nata sulle speranze e agonizzante poi nell’inganno. Non si trovano in questa raccolta, grazie a Dio, le moderne vedute, quelle dove non si trovano più gli antichi declivi, i giardini, le colline, gli alberi, le spiagge, le belle facciate dei palazzi ed alcuni vicoli, i basolati, le antiche illuminazioni. Non ci sono le cartoline vista tangenziale indicata dai cartelli stradali ma mai aperta perché costruita sulle sabbie mobili. Non c’è l’ospedale nuovo panoramicissimo non costruito con fior fiore di mazzette, passate, presenti e future. Non ci sono i quartieri nuovi senza un negozio, una chiesa, un bar, un giardinetto dove portare il proprio bambino a giocare o il cane a pisciare. Ci sono però cartoline che hanno immortalato epoche e momenti di vita della nostra comunità, comunità devastata da cataclismi naturali, il terremoto del 1905, e umani, una classe dirigente inadeguata che ne ha determinato lo scempio e la distruzione di quanto di bello ci fosse e non c’è più. Del “Giardino sul Mare” è rimasto solo lo slogan pubblicitario. Cartoline che testimoniano la perdita del nome da parte di Porto Santa Venere trasformato senza alcun atto amministrativo in quello di Vibo Marina. Perse anche le persone, le barche, le reti stese ad asciugare, persi gli antichi mestieri, le arti e tutto quanto era frutto del sudore e del sacrificio. Appare arduo ritrovare alcuni scorci, facciate di palazzi o l’antico Teatro Comunale, detto il piccolo San Carlo per la sua acustica perfetta. Su qualche facciata si intravedono i faccioni di Mussolini e le scritte inneggianti al duce e al regime. Il teatro non c’è più, ed oggi in un capoluogo immiserito e triste ci si accapiglia su dove costruirne uno nuovo. Che miseria. In qualche cartolina appaiono uomini eleganti con bastone e paglietta, donne nei costumi tipici e bambini sulla spiaggia sotto ombrelloni colorati. Dov’è tutta questa gente, che fine ha fatto, cosa ha fatto per il nostro paese, com’è vissuta, dov’è andata, chissà cos’è diventata e ora non è più. Inclemenza dell’anagrafe e del tempo. Amarezza e gioia sfogliando le pagine di questo libro, amarezza per un’epoca in cui si guardava al futuro con speranza, e noi, che siamo quel futuro che anelavano i nostri antenati, ci rendiamo conto che qualcosa forse non è andato come doveva andare. Viviamo il futuro guardando un passato che pur non essendo stato esaltante, pur nella pochezza di mezzi e risorse, aveva ideali, coraggio, voglia di fare. C’era l’entusiasmo del vivere e del realizzare, la forza nel credere nelle idee e la consapevolezza della certezza del progresso. L’eleganza dei palazzi pur nella modestia dei materiali. Oggi tutto è cambiato. I nostri padri sicuramente non avrebbero approvato o forse neanche immaginato una Vibo com’è quella di oggi. Disordinata, sporca, maleducata, cresciuta a dismisura senza regole morali ed estetiche. Nelle vecchie cartoline tutto è ordinato, pulito. Oggi sarebbe difficile scattare una foto non includendovi un sacco della spazzatura, cartacce o altri rifiuti abbandonati o qualche SUV sul marciapiedi o qualche insegna al neon su una facciata ottocentesca. Facciate violentate dalla sventura e dall’ignoranza, antichi infissi in legno hanno lasciato il posto a volgare alluminio anodizzato, nuovi balconi a devastare rigore e stile. Sfogliare questo libro è come aprire un cassetto e trovarvi dentro le foto dei nonni, dei bisnonni, dei propri genitori o di noi stessi, quando eravamo giovani, sani, belli, magari con tanti capelli e pure magri. Oggi, facendo il confronto tra la Vibo che fu e quella che è, siamo di fronte ad un anziano decaduto nel corpo e nella mente, dove i nipoti scappano per un futuro migliore in altri luoghi ed altre terre, recidendo radici, sogni e speranze di una rinascita che stenta a trovare humus, contadino e bastone adatto a dargli una crescita dritta e rigogliosa. La fascetta con il Patrocinio di Comune e Provincia di Vibo Valentia non importa se solo morale o anche pecuniario. Non vale né il primo, né il secondo. È un ulteriore arrogante e vergognoso limite dei nostri piccoli amministratori. Segno di un declino inarrestabile, controsenso quasi volgare poiché la memoria non la si tutela solo con un libro, per quanto nobile e utile. La memoria si tutela, giusto per fare un esempio, salvando magari le barche logorate dalle intemperie fuori dalla Tonnara di Bivona. Quelle barche che hanno scritto la storia della marineria calabrese, bagnate di sangue di tonni e sudore di pescatori, quelle barche che hanno sfidato i flutti del mare ma sono invece affondate sulla terraferma, nella procella dell’ignoranza dell’amministrazione comunale vibonese. Barche che noi non vedremo più in un museo, ma forse in una prossima pubblicazione di un altro romantico Antonio Manco, magari tra 100 anni. Ed i nostri discendenti si chiederanno come noi oggi che fine abbiano fatto quelle barche, che fine abbia fatto la nostra memoria.

Roberto Maria Naso

lunedì 8 dicembre 2008

LA TONNARA... DI SCALFARI: UN RACCONTO DEL PASSATO PER GUARDARE AL NOSTRO FUTURO

E' possibile che la prossima settimana saremo impegnati ad organizzare l'anniversario della proposta di legge per l'istituzione del Comune di Porto Santa Venere. Nell'attesa di darvi informazioni più precise è il caso di intrattenervi con un regalo. Un racconto molto bello, scritto tra il 1916 ed il 1921 da un vibonese che scelse di trascorrere gli ultimi suoi anni di vita a Bivona. Si chiamava Antonino Scalfari... ed il racconto s'intitola "LA TONNARA". La sua biografia è ben riassunta dai suoi familiari in premessa... ed il suo racconto era a noi sconosciuto fin quando un amico del web, noto come "vento di Calabria", non ci ha dato la possibilità di conoscerlo, condividendo la scelta di renderlo noto a tutti i nostri amici.
Buona lettura.