CAPIALBI, Vito
CAPIALBI, Vito. - Nacque a Monteleone di Calabria (oggi Vibo Valentia) il 30 ott. 1790 da Vincenzo e da Anna Marzano; la famiglia, ascritta al patriziato di Benevento e poi di Stilo, era giunta a Monteleone alla fine del secolo XV, e vi vantava una lunga tradizione culturale.
Un Galeazzo Capialbi aveva istituito nella sua casa monteleonese, nel 1514, un museo lapidario; Giovanni Antonio (1540-1593), giureconsulto e poeta, era stato fra i promotori dell'Accademia degli Incostanti, che ebbe vita in Monteleone per circa un secolo; Giuseppe (1636-1675), giureconsulto, aveva pubblicato nel 1659 una storia di Monteleone.
Il C., rimasto presto orfano del padre, fu dalla madre affidato (1798) ai basiliani del collegio di S. Spirito; il C. vi ebbe maestri l'abate F. I. Pignatari, arcade, G. De Luca, M. Clari, che sarà arcivescovo di Bari, R. Potenza. Tornato in casa nel 1804, intraprese studi di diritto civile e canonico, sotto la guida del giureconsulto E. Pisani, mentre l'arciprete Cesare Crispo lo indirizzava nello studio della teologia. Il suo ingresso nella ristretta élite culturale di Monteleone è segnato dall'ammissione (1809) all'Accademia Florimontana Vibonese, che era stata fondata nel 1765, e della quale era allora principe l'abate Pignatari.
Un momento cruciale nella vita del C. è segnato dal decennio francese, durante il quale Monteleone divenne capoluogo della Calabria Ulteriore. In quegli anni il C. ricoprì numerose cariche pubbliche, e dovette attivamente interessarsi della pubblica amministrazione e dell'economia della regione. La restaurazione borbonica segna la fine di questo impegno del C. nella vita pubblica; e scrivendo nel 1848 a G. Melzi, egli lo assicurerà che, "trovandosi nell'età di anni 57, non si farà saltare certo il grillo di scrivere su soggetti politici"; "la mia applicazione innocua, dal 1815 fin ora, si è rivolta all'Archeologia, ed alla Storia specialmente ecclesiastica di queste provincie" (Epistole, p. 329). All'amico F. S. Petroni aveva dichiarato nel 1833 di voler stare procul civilibus undis, col "triplice vantaggio d'accrescere le mie sostanze, e i miei capitali; educare i miei figli; ed aumentare ed estendere le conoscenze letterarie"; ma a questa dichiarata scelta di una vita tutta intorno alle occupazioni domestiche e di studioso si accompagna un accorato rimpianto dei "beati giorni di gioia, ed ilarità" di Monteleone: quelli del Regno francese, per reazione ai quali la città era stata poi del tutto trascurata dal governo borbonico (Epistole, pp. 383 ss.).
Agli interessi di questo periodo si rifà una lettera scritta nel 1833 all'abate D. Sonni (pubblicata nelle Epistole, pp. 123-131), sulla Vera sorgente,e lo stato attuale della mendicità nelle Calabrie ...e i mezzi più conducenti onde riparare alla pubblica miseria. Causa della povertà non è per il C. né la né la scarsa fertilità della terra; né ancora l'insufficiente esercizio di arti e mestieri, o l'insalubrità dei luoghi; le vere cause sono invece indicate nella "mancanza d'istruzione, di vita metodica, e di virtù pubblica nel basso popolo"; nei "pesi, che direttamente gravitano sul popolo", fra cui specialmente le imposte sul macinato e sul sale; nella mancanza di "incoraggiamenti, senza di cui non si possono perfezionare le arti, e i mestieri"; infine nella "mancanza de' soccorsi accortamente somministrati". Nella polemica contro chi "meschinamente dilapida" i fondi di beneficenza il C. trova accenti di violento sdegno che erano, forse, quelli della sua giovinezza: e non meno netta è la condanna di chi dona alle chiese e ai conventi senza preoccuparsi del "sollievo dei poveri", cui "poco, o nulla siffatte donazioni influiscono". Come primo rimedio è indicata l'abolizione dell'imposta sul macinato, e una forte riduzione di quella sul sale; ma ad esse si deve accompagnare, per il C., un'accorta distribuzione delle opere pubbliche e ne' siti, ove il bisogno de' popoli è più urgente"; un'organizzazione di pubblica assistenza indipendente da ogni autorità sia amministrativa che ecclesiastica; infine la fondazione del grande orfanotrofio delle Calabrie, al quale il C. vede affidata l'utopistica funzione di "accrescere, e perfezionare le arti, ed i mestieri..., diffondendo col mezzo de' suoi alunni la istruzione, i principi della morale, ed i metodi di vita".
Dal 1815 in poi gli studi del C. sono inestricabilmente connessi con la sua attività di collezionista, che lo portò a formarsi una larga biblioteca con un cospicuo fondo di incunaboli e manoscritti, in grandissima parte provenienti dai monasteri soppressi, e un notevole museo di iscrizioni e antichità greche, romane e medievali. Intorno a problemi di storia locale principia ad esercitarsi il C. come studioso, con memorie lette nell'Accademia Florimontana, prime fra le quali sembrano essere - da una sua lettera al numismatico viennese A. Steinbüchel, del 1819 - una sulle stamperie esistite in Monteleone, un'altra sulla storia dell'Accademia stessa (Epistole, p. 33). Di qui il C. passò alle biografie di suoi concittadini (primi F. I. e D. Pignatari), cominciando, nel vol. VIII, la collaborazione alla Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, per la quale scriverà alcune decine di vite, estendendo a mano a mano la sua competenza all'intera Calabria; e anche la sua collaborazione a giornali comincia con un necrologio dell'abate Pignatari (Mercurio messinese del 7 marzo 1827). Ma l'amicizia di Karl Witte, iniziata quando questi si era recato a Monteleone nel 1819, e durata assai a lungo, mette in contatto il C. con gli archeologi tedeschi che, a Roma, avevano fondato il circolo degli Iperborei, E. Gerhard e Th. Panofka; sicché, dopo uno scambio di lettere durato alcuni anni, il Gerhard invitava, il 26 maggio 1829, il C. ad entrare nell'appena fondato Instituto di corrispondenza archeologica come socio corrispondente, offrendogli di scrivere per le Memorie dell'Instituto "illustrazioni appoggiate sopra monumenti d'arte, e di epigrafia finora incogniti..., specialmente... le produzioni archeologiche della sua patria". Nasce così la prima memoria del C., il Cenno sulle mura d'Ipponio, seguito da un Giornale degli scavi di Montelione - che eran poi le casuali scoperte donde eran venuti oggetti della collezione del C. - e dai Monumenti letterati, in gran parte della sua stessa raccolta (tutto nelle Memorie dell'Instituto, II, [1832], pp. 159, 193). A questo stesso filone, nato dal desiderio del C. di illustrare l'antica storia della sua patria e insieme gli oggetti del suo privato museo, apparterranno ancora altre opere degli anni seguenti, come la memoria su Mesma e Medama (quattro edizioni fra il 1838 e il 1848).
Anche quest'opera - dove il C. avanza la non più sostenibile ipotesi della duplicità di Mesma e Medma - Medama - nasceva dal desiderio di illustrare una moneta della sua collezione, della quale già nel 1825 aveva scritto al canonico Andrea De Jorio (Epistole, p. 53) e nel 1827 a Melchiorre Delfico (Mesma e Medama..., Napoli 1848, p. 4). Nella quarta ediz. il C. aggiungeva Nuovi motivi comprovanti ladualità delle medesime; e, ripubblicando questi separatamente l'anno successivo, vi aggiungeva una biografia dell'abate N. M. Pacifico, già possessore di un'altra moneta mesmea. Solo per questa tenue ragione il C. introduce nel suo libro la figura dell'abate Pacifico, ma in realtà egli ne prende l'occasione per pronunciare un'amara e dura condanna dell'uccisione del Pacifico nella reazione napoletana del 1799, congiungendogli nel rimpianto il Conforti, D. Cirillo, E. Fonseca Pimentel: "quasi unico accenno di un sentire politico, che per il resto si limita a espressioni di lealismo verso la Sede apostolica (p. es. rifiutando le tesi lamennaisiane del Livre du peuple: Epistole, p. 19).Ma già nella lettera al Gerhard del 24 ott. 1829 affiorava un diverso modo di intendere la propria missione di dotto: "sento come l'idea dell'Istituto è di escludere i monumenti della bassa antichità dal suo lavoro;... ad ogni modo ella ignora che nelle raccolte vi è bisogno di tutto, anche del Medio Evo (Epistole, p. 77). Anche questo interesse del C. sorgeva dalle mura domestiche, che avevano accolto numerosissimi documenti e manoscritti da conventi soppressi, e insieme oggetti e iscrizioni e sculture medievali; e proprio il carattere e la provenienza di tutto ciò porterà il C. specialmente verso la storia ecclesiastica.
A questo settore della sua attività appartiene la prima opera del C. di vasto respiro, le Memorie per servire alla storiadella santaChiesa miletese (Napoli 1835), che oltre alla più antica storia delle due diocesi di Vibona e Tauriana, che nel 1081 furon riunite a formare la nuova di Mileto, e alla serie cronologica dei vescovi miletesi (con relative notizie biografiche) contiene una raccolta di quarantatré diplomi e documenti, metà dei quali inediti, e dieci conservati nella sua stessa biblioteca. Secondo identico schema saranno poi costruite le Memorie per servire alla storia della santa Chiesa tropeana (Napoli 1852), a cui sono unite quelle della diocesi di Amantea, aggregata a Tropea nel sec. XI; qui il C. pubblica numerosi altri documenti, dei quali nove exdomestico archivo. Com'è scritto nella prefazione a queste ultime, analoghe opere progettava il C. per le diocesi di Catanzaro, di Squillace, di Oppido e di Reggio; da questo ed altro materiale nasce La continuazione dell'Italia Sacra dell'Ughelli per i vescovadi di Calabria, che sarà pubblicata postuma, a cura del nipote Hettore Capialbi, nell'Archivio storico della Calabria (1912-16: estr. anticip., Napoli 1913), e completata con frammenti inediti per cura di L. Franco, Pagine inedite di V. C. sulla storia dei vescovadi diCalabria, in Archivio storico per la Calabria e la Lucania, IV (1934), pp. 181-194. Fra le altre sue opere si ricorderà la Lettera... sopra alcunimonumenti del Medioevo esistenti in Calabria, pubbl. nel giornale messinese IlFaro, IV (1836), 11-12, in cui si dà notizia per la prima volta della Cattolica di Stilo, e le Mem. delle tipografie calabresi (Napoli 1834), pubbl. poi con quelle delle Biblioteche di Calabria (Napoli 1836; ripubbl. a cura di C. F. Crispo, nell'Archivio storico per la Calabria e la Lucania, IX-XI [1939-1941], e poi in vol., Tivoli 1941).
Queste ricerche fecero scoprire al C. il miserevole stato e la continua dispersione degli archivi calabresi, specialmente ecclesiastici e su questi egli volle riferire al VII congresso degli scienziati, che si tenne in Napoli nell'autunno 1845 (la sua relaz. è ristampata nel cit. volume Memorie delle tipografie calabresi, 1941). Nella stessa occasione il C. pubblicava, dedicandoli agli scienziati del congresso, i Documenti inediti circa la voluta ribellione di Fra' Tommaso Campanella (Napoli 1845), dove erano per prima volta editi, di su un ms. dal C. ricuperato, e da lui ritenuto autografo, un'autodifesa del Campanella - che l'Amabile riconoscerà scritta nel 1620 - e frammenti delle sole autodifese di laici che di quel processo siano note, Giov. Paolo e Muzio de Cordova.
Il C. aveva avuto il ms. dell'autodifesa del Campanella - la cui autografia attende ancora di esser verificata - da un Conestabile stilese, discendente di Giov. Battista Conestabile, a cui il Campanella lo aveva dato nel 1626. Incerta invece è la provenienza dell'altro ms., quello dell'autodifesa dei due de Cordova, non più conservato nella Biblioteca Capialbi, dov'è però l'apografo che il C. ne aveva tratto per la stampa. Il censore Biagio Roberti costrinse il C. a sopprimere alcune frasi dell'autodifesa del Campanella, facendo figurare illeggibile il ms. in quei luoghi, e vietò la pubblicazione integrale dell'autodifesa dei de Cordova: di tutto ciò diede poi avviso il C. in un foglio stampato e diffuso nel 1848. Tutto il materiale da lui approntato per la stampa sarà in seguito raccolto ed edito da L. Franco, Documenti campanelliani, Parma 1935.
Nel 1846 doveva recarsi a Genova, per l'VIII congresso degli scienziati italiani; ma non risulta che abbia compiuto il viaggio, come nulla si sa di sue escursioni fuori del Regno. Del resto, se numerosi furono i suoi viaggi in Calabria, non sembra che abbia visitato altre regioni, mentre si recò più volte a Napoli (almeno nel 1820, 1840, 1842, 1845, 1847), e sempre con buon frutto per le ricerche che andava compiendo.
Anche se non seguendo un filo unico, l'operosità del C. fu interamente volta, dopo gli interessi politici della giovinezza, all'illustrazione di tutti i possibili aspetti, fino i più minuti, della storia locale prima di Monteleone, poi via via dell'intera Calabria. L'unione degli studi di archeologia ed epigrafia classica con quelli di diplomatica medievale e di storia ecclesiastica, e di storia della cultura calabrese nell'età umanistica (Memorie di Rutilio Zeno e Aurelio Bienato, Napoli 1848), degli archivi, delle biblioteche (raccolse testi dialettali ad es. delle prefiche di Pizzo: Epistole, p. 319 ss.), appare in lui frutto di meditato senso della continuità di genti e civiltà sulla stessa terra: quasi ne scrivesse, egli estensore di quasi cento vite di uomini illustri, altrettanti capitoli di una gigantesca biografia. Ma sdegnando "il desiderio sposato dagli scrittori municipali di nobilitare il proprio paese", poteva scrivere: "Mi ho stabilito io un canone rigoroso di raffrenare siffatta municipal passione, e ridurre nelle meschine mie scritture la Storia al fatto" (Memoriesul clero di Montelione, Napoli 1843, p. 20). Il senso del provinciale isolamento è in lui più forte di quello dell'immensa utilità del suo lavoro; e si traduce in continue richieste di aiuto bibliografico ai dotti di tutta Italia, ai quali però di continuo fornisce a sua volta indicazioni e notizie. Questa fitta corrispondenza, poi in parte pubblicata (fra i suoi destinatari A. Mai, T. Mommsen, B. Borghesi, il duca di Luynes, P. S. Mancini, P. Galluppi, oltre a quelli già nominati), e le opere a stampa gli valsero a Monteleone la carica di segretario perpetuo dell'Accademia Florimontana, e fuori la nomina a socio di moltissime accademie, fra cui la Pontaniana e l'Ercolanese in Napoli, i Georgofili e la Colombaria in Firenze, l'Acc. Lucchese di scienze lettere ed arti. Nel 1842 Gregorio XVI lo nominò cavaliere di S. Gregorio Magno; nel 1847 Pio IX gli conferì il titolo, trasmissibile, di conte. L'opera vasta e varia e la grande rinomanza ne hanno fatto, si può dire fino ad oggi, un modello ideale per gli studiosi calabresi di storia locale; dalla massa dei quali però sempre il C. si distingue se non altro per l'ampiezza degli interessi e la consapevolezza del carattere di evasione e disimpegno politico (seppure talora ostentato come un traguardo positivo) che aveva assunto per lui l'attività erudita: ma sempre in mezzo al rimpianto per i pensieri e le idee del decennio francese.
Il C. morì nella sua casa di Monteleone il 30 ott. 1853. La sua biblioteca, ancora raccolta nella sede originaria ( e dopo un suo spostamento ad altra parte del palazzo riordinata da Luigi Franco nel 1932), resta, coll'archivio e la collezione archeologica, il miglior monumento dell'attività del C., anche se sinora tutto, o quasi, ciò ch'egli stesso non pubblicò può dirsi inedito. E l'unico suo ritratto mai pubblicato è quello - tuttora conservato a Vibo in casa Capialbi - che si trova riprodotto, in antiporta alla seconda ediz. (Tivoli 1941) delle Memorie delle tipografie calabresi.
Oltre alle opere citate e ad altre minori molto pubblicò il C. nei giornali Il Maurolico e Il Faro di Messina, nel Calabrese e in altri giornali napoletani; questi ed altri scritti furono per sua cura riuniti nei primi due volumi di Opuscoli varii (Napoli 1840 e 1849; per il III volume, cfr. infra).
Fonti e Bibl.: Fonte primaria per la vita e le relazioni culturali del C. sono le sue Epistole, stampate come tomo III degli Opuscolivari, (Napoli 1849); altre lettere sono state poi pubblicate da D. Zangari, V. C.ad Agostino Gervasio (Lettere inedite), in Riv.critica di cultura calabrese, II (1922), estratto; cfr. anche L. Franco, Lettere inedite di Pasquale Galluppi a V. C., in Arch. stor. per la Calabria e la Lucania, XXII (1953), pp. 113-34; e cfr. ancora Componimenti inmorte di Anna Marzano Capialbi da Montelione,scritti da vari amici a conforto del Cav. V. C. perla morte dell'ottima sua madre, Napoli 1841; e, sulla figlia premortagli, Annetta, Ilmodello dellefanciulle,delle matrone e delle vedove, Napoli 1850. Manca una biografia del C. compilata sui numerosi documenti e lettere conservate ancora nella sua biblioteca. Di lui hanno dato notizie biobibliografiche G. Giucci, Degli scienziati italiani formanti parte del VII Congresso in Napolinell'Autunno del MDCCCXLV notizie biografiche, Napoli 1845, pp. 188-190; F. S. Palomba, Notizie storiche sulla vita del conte V. C., Messina 1854; O. Simonetti, Funebre laudaziono del conte V. C., Monteleone 1892 (con la più ampia bibliografia, ma ricca di errori ed anche incompleta); O. Dito, La storia calabrese..., Rocca San Casciano 1916, pp. 82-87; V. Galati, Lastoriografia calabrese..., in Arch. stor. per la Calabria e la Lucania, I (1931), pp. 32-34; L. Aliquò Lenzi-F. Aliquò Taverriti, Gli scrittoricalabresi, Reggio Calabria 1955, I, pp. 142-144. In gen. sulla biblioteca Capialbi, cfr. L. Franco, V. C. e la sua biblioteca in Vibo Valentia, in Arch.stor. per la Calabria e la Lucania, XXIII (1955), pp. 485-488. Dei manoscritti, solo 42 (prob. meno della metà di quelli esistenti) sono stati descritti da F. Carabellese, in G. Mazzarinti, Inventarii..., VII, pp. 195-205 (il n. 34, Expositio super Canticha cantichorum, risulta donato a B. Mussolini e da questo a M. Horthy, essendone autore un certosino ungherese). Un catalogo degli incunaboli è stato pubblicato in Boll.della Soc. di storiapatria per leCalabrie, I (1944), 3-4. Le iscrizioni furono viste dal Mommsen nel 1873 e si trovano nel Corpus inscript. Lat., X. Alcuni bronzi greci furono pubblicati da P. E. Arias, Bronzetti ined.di provenienza italiota, in La Critica d'arte, V (1940), pp. 1-5 (cfr. U. Zanotti-Bianco, in Arch.stor. per la Calabria e la Lucania, X [1940], pp. 367-372). Alcune gemme sono state studiate da Gr. Pugliese Carratelli, Gemme magiche in Calabria, in Arch. stor. per la Calabria e la Lucania, XXII (1953), pp. 23-30. Infine, per le monete (quasi tutte passate per eredità in proprietà Patroni-Griffi a Napoli), G. Procopio, Il medagliere dellacollezione Capialbi a Vibo Valentia, in Annali dell'Istituto ital. di numismatica, II (1955), pp. 172-181. La grandissima parte del materiale, ivi comprese le lettere dei corrispondenti del C., è tuttora inedita e inesplorata; un prezioso saggio di ciò che ancora vi si può trovare è la serie di documenti pubblicati da A. Guillou, La Théotokosd'Agia-Agathé (Oppido)..., Paris 1972. Sul ms. di T. Campanella, v. L. Amabile, Fra' T. Campanella..., I, Napoli 1882, pp. VII ss.