MARAINI. Dacia Maraini. Marianna D_Ucrìa. Romanzo. 1990.
Brano tratto dal romanzo "La lunga vita di Marianna Ucrìa" (1990) di Dacia Maraini
Brano tratto dal romanzo "La lunga vita di Marianna Ucrìa" (1990) di Dacia Maraini
Un'ora dopo, Marianna si sveglia nella camera da letto dei genitori con una pezzuola fradicia che le pesa sulla fronte. L'aceto le cola fra le ciglia bruciandole gli occhi. La signora madre è china su di lei: l'ha riconosciuta prima ancora di aprire le palpebre dall'odore forte di trinciato al miele.
La figlia guarda alla madre da sotto in su: le labbra tonde e appena velate da una peluria bionda, le narici annerite dalle tante prese di tabacco, gli occhi grandi gentili e bui; non saprebbe dire se sia bella oppure no, certo c'è qualcosa in lei che la indispone, ma cosa? forse quel suo cedere a ogni spinta, quella quiete inamovibile, quel suo sprofondare nei fumi dolciastri del tabacco, indifferente a tutto.
Ha sempre sospettato che la signora madre, in un lontano passato in cui era giovanissima e immaginosa, ha scelto di farsi morta per non dovere morire. Da lì deve venire quella sua speciale capacità di accettare ogni noia col massimo della accondiscendenza e il minimo dello sforzo.
La nonna Giuseppa prima di morire le scriveva qualche volta della madre sul quaderno dai gigli di Francia: "Era così bella che tutti la volevano a tua madre, ma lei non voleva nessuno. "Cabeza de cabra" come quella testarda di sua madre, Giulia che veniva dalle parti di Granada. Non voleva sposare il cugino, non lo voleva a tuo padre Signoretto. E tutti ci dicevano: ma è un beddu pupu, e veramente beddu è, non perché è figlio mio ma ci si sciacqua gli occhi a guardarlo. Si sposò con la "funcia" tua madre che pareva andasse al funerale e poi dopo un mese di matrimonio si innamorò del marito e tanto lo amava che cominciò a fumare... la notte non dormiva più e perciò prendeva il laudano...".
Quando la duchessa Maria vede che la figlia si riprendeva verso lo scrittoio, afferra un foglio di carta e vi scrive sopraqualcosa. Asciuga l'inchiostro con la cenere e porge il foglio alla ragazzina.
"Come stai figghiuzza?"
Marianna tossisce sputando l'aceto che le è colato fra i denti nel tirarsi su. La signora madre le toglie ridendo lo straccio bagnato dalla faccia. Poi si dirige alla scrivania, scarabocchia ancora qualcosa e torna col foglio verso il letto.
"Ora hai tredici anni approfitto per dirtelo che ti devi maritari che ti avimu trovato uno zito per te perché non ti fazzu monachella come è destino di tua sorela Fiametta."
La figlia guarda alla madre da sotto in su: le labbra tonde e appena velate da una peluria bionda, le narici annerite dalle tante prese di tabacco, gli occhi grandi gentili e bui; non saprebbe dire se sia bella oppure no, certo c'è qualcosa in lei che la indispone, ma cosa? forse quel suo cedere a ogni spinta, quella quiete inamovibile, quel suo sprofondare nei fumi dolciastri del tabacco, indifferente a tutto.
Ha sempre sospettato che la signora madre, in un lontano passato in cui era giovanissima e immaginosa, ha scelto di farsi morta per non dovere morire. Da lì deve venire quella sua speciale capacità di accettare ogni noia col massimo della accondiscendenza e il minimo dello sforzo.
La nonna Giuseppa prima di morire le scriveva qualche volta della madre sul quaderno dai gigli di Francia: "Era così bella che tutti la volevano a tua madre, ma lei non voleva nessuno. "Cabeza de cabra" come quella testarda di sua madre, Giulia che veniva dalle parti di Granada. Non voleva sposare il cugino, non lo voleva a tuo padre Signoretto. E tutti ci dicevano: ma è un beddu pupu, e veramente beddu è, non perché è figlio mio ma ci si sciacqua gli occhi a guardarlo. Si sposò con la "funcia" tua madre che pareva andasse al funerale e poi dopo un mese di matrimonio si innamorò del marito e tanto lo amava che cominciò a fumare... la notte non dormiva più e perciò prendeva il laudano...".
Quando la duchessa Maria vede che la figlia si riprendeva verso lo scrittoio, afferra un foglio di carta e vi scrive sopraqualcosa. Asciuga l'inchiostro con la cenere e porge il foglio alla ragazzina.
"Come stai figghiuzza?"
Marianna tossisce sputando l'aceto che le è colato fra i denti nel tirarsi su. La signora madre le toglie ridendo lo straccio bagnato dalla faccia. Poi si dirige alla scrivania, scarabocchia ancora qualcosa e torna col foglio verso il letto.
"Ora hai tredici anni approfitto per dirtelo che ti devi maritari che ti avimu trovato uno zito per te perché non ti fazzu monachella come è destino di tua sorela Fiametta."
La ragazzina rilegge le parole frettolose della madre che scrive ignorando le doppie, mescolando il dialetto con l'italiano, usando una grafia zoppicante e piena di ondeggiamenti. Un marito? ma perché? pensava che mutilata com'è, le fosse interdetto il matrimonio. E poi ha appena tredici anni. La signora madre ora aspetta una risposta. Le sorride affettuosa ma di una affettuosità un poco recitata. A lei questa figlia sordomuta mette addosso un senso di pena insostenibile, un imbarazzo che la gela.
Non sa come prenderla, come farsi intendere da lei. Già lo scrivere le piace poco: leggere poi la grafia degli altri è una vera tortura. Ma con abnegazione materna si dirige docile verso la scrivania, afferra un altro foglio, prende la penna d'oca e la boccetta dell'inchiostro e porta ogni cosa alla figlia distesa sul letto.
"Alla mutola un marito?" scrive Marianna appoggiandosi su un gomito e macchiando nella confusione, il lenzuolo di inchiostro .
"Il signor padre tutto fici per farti parlari portandoti cu iddu perfino alla Vicaria ché ti giovava lo scantu ma non parlasti perché sei una testa di balata, non hai volontà... tua sorella Fiammetta si sposa con Cristo, Agata è promessa col figghiu del principe di Torre Mosca, tu hai il dovere di accettare lu zitu che ti indichiamo perché ti vogliamo bene e perciò non ti lasciamo niescere dalla familia per questo ti diamo allo zio Pietro Ucrìa di Campo Spagnolo, barone della Scannatura, di Bosco Grande e di Fiume Mendola, conte della Sala di Paruta, marchese di Sollazzi e di Taya. Che poi oltre a essere mio fratello è pure cugino di tuo padre e ti vuole bene e in lui solo ci puoi trovare un ricetto all'anima."
Marianna legge accigliata non facendo più caso agli errori di ortografia della madre né alle parole in dialetto gettate lì a manciate. Rilegge soprattutto le ultime righe: quindi il fidanzato, lo "zitu", sarebbe lo zio Pietro? quell'uomo triste, ingrugnato, sempre vestito di rosso che in famiglia chiamano"il gambero"?
"Non mi marito", scrive rabbiosa dietro il foglio ancora umido delle parole della madre.
La duchessa Maria torna paziente allo scrittoio, la fronte cosparsa di goccioline di sudore: che fatica le fa fare questa figlia mutola: non vuole capire che è un impiccio e basta.
"Nessuno ti prende attia Mariannina mia. E per il convento ci vuole la dote, lo sai. Già stiamo preparando i soldi per Fiammetta, costa caro. Lo zio Pietro ti prende senza niente perché ti vuole bene e tutte le sue terre seriano le tue, intendisti?"
Ora la signora madre ha posato la penna e le parla fitto fitto come se lei potesse sentirla, accarezzandole con un gesto distratto i capelli bagnati di aceto. Infine strappa la penna dalle mani della figlia che sta per scrivere qualcosa e traccia rapida, con orgoglio, queste parole: "In contanti e subito quindicimila scudi."
"Alla mutola un marito?" scrive Marianna appoggiandosi su un gomito e macchiando nella confusione, il lenzuolo di inchiostro .
"Il signor padre tutto fici per farti parlari portandoti cu iddu perfino alla Vicaria ché ti giovava lo scantu ma non parlasti perché sei una testa di balata, non hai volontà... tua sorella Fiammetta si sposa con Cristo, Agata è promessa col figghiu del principe di Torre Mosca, tu hai il dovere di accettare lu zitu che ti indichiamo perché ti vogliamo bene e perciò non ti lasciamo niescere dalla familia per questo ti diamo allo zio Pietro Ucrìa di Campo Spagnolo, barone della Scannatura, di Bosco Grande e di Fiume Mendola, conte della Sala di Paruta, marchese di Sollazzi e di Taya. Che poi oltre a essere mio fratello è pure cugino di tuo padre e ti vuole bene e in lui solo ci puoi trovare un ricetto all'anima."
Marianna legge accigliata non facendo più caso agli errori di ortografia della madre né alle parole in dialetto gettate lì a manciate. Rilegge soprattutto le ultime righe: quindi il fidanzato, lo "zitu", sarebbe lo zio Pietro? quell'uomo triste, ingrugnato, sempre vestito di rosso che in famiglia chiamano"il gambero"?
"Non mi marito", scrive rabbiosa dietro il foglio ancora umido delle parole della madre.
La duchessa Maria torna paziente allo scrittoio, la fronte cosparsa di goccioline di sudore: che fatica le fa fare questa figlia mutola: non vuole capire che è un impiccio e basta.
"Nessuno ti prende attia Mariannina mia. E per il convento ci vuole la dote, lo sai. Già stiamo preparando i soldi per Fiammetta, costa caro. Lo zio Pietro ti prende senza niente perché ti vuole bene e tutte le sue terre seriano le tue, intendisti?"
Ora la signora madre ha posato la penna e le parla fitto fitto come se lei potesse sentirla, accarezzandole con un gesto distratto i capelli bagnati di aceto. Infine strappa la penna dalle mani della figlia che sta per scrivere qualcosa e traccia rapida, con orgoglio, queste parole: "In contanti e subito quindicimila scudi."
Brano tratto dal romanzo "La lunga vita di Marianna Ucrìa" (1990) di Dacia Maraini
[...]
Fuori è buio. Il silenzio avvolge Marianna sterile e assoluto. Fra le sue mani un libro d'amore. Le parole, dice lo scrittore, vengono raccolte dagli occhi come grappoli di una vigna sospesa, vengono spremuti dal pensiero che gira come una ruota di mulino e poi, in forma liquida si spargono e scorrono felici per le vene. E questa la divina vendemmia della letteratura?
Trepidare con i personaggi che corrono fra le pagine, bere il succo del pensiero altrui, provare l'ebbrezza rimandata di un piacere che appartiene ad altri. Esaltare i propri sensi attraverso lo spettacolo sempre ripetuto dell'amore in rappresentazione, non è amore anche questo? Che importanza ha che questo amore non sia mai stato vissuto faccia a faccia direttamente? assistere agli abbracci di corpi estranei, ma quanto vicini e noti per via di lettura, non è come viverlo quell'abbraccio, con un privilegio in più, di rimanere padroni di sé?
Un sospetto le attraversa la mente: che il suo sia solo uno spiare i respiri degli altri. Così come cerca di interpretare sulle labbra di chi le sta accanto il ritmo delle frasi, rincorre su queste pagine il farsi e il disfarsi degli amori altrui. Non è una caricatura un po' penosa?
Quante ore ha trascorso in quella biblioteca, imparando a cavare l'oro dalle pietre, setacciando e pulendo per giorni e giorni, gli occhi a mollo nelle acque torbide della letteratura.Che ne ha ricavato? qualche granello di ruvido bitorzoluto sapere. Da un libro all'altro, da una pagina all'altra. Centinaia di storie d'amore, di allegria, di disperazione, di morte,di godimenti, di assassinii, di incontri, di addii. E lei sempre lì seduta su quella poltrona dal centrino ricamato e consunto dietro la testa.
La parte bassa degli scaffali, quelli raggiungibili da mani infantili contengono soprattutto vite di santi: La sequenza di santa Eulalia, La vita di san Leodegario, qualche libro in francese Le jeu de saint Nicolas, il Cymbalum mundi, qualche libro in spagnolo come il Rimado de palacio o il Lazarillo de Tormes. Una montagna di almanacchi: della Luna nuova, degli Amori sotto Marte, del Raccolto, dei Venti; nonché storie di paladini di Francia e alcuni romanzi per signorine che parlano d'amore con ipocrita licenza.
Più sopra, negli scaffali ad altezza d'uomo si possono trovare i classici: dalla Vita nuova all'Orlando furioso, dal De rerum natura ai Dialoghi di Platone nonché qualche romanzo alla moda come il Colloandro fedele e La leggenda delle vergini. Questi erano i libri della biblioteca di villa Ucrìa quando l'ha ereditata Marianna. Ma da quando la frequenta assiduamente i libri sono raddoppiati. Da principio la scusa era lo studio dell'inglese e del francese. E quindi vocabolari, grammatiche, compendii. Poi, qualche libro di viaggi con disegni di mondi lontani e infine, con sempre più ardimento,romanzi moderni, libri di storia, di filosofia.
Da quando i figli sono andati via ha molto più tempo a disposizione. E i libri non le bastano mai. Li ordina a dozzine ma spesso ci mettono dei mesi per arrivare. Come il pacchetto che conteneva il Paradise Lost che è rimasto cinque mesi al porto di Palermo senza che nessuno sapesse dove fosse andato a finire. Oppure la Histoire comique de Francion che è andato perso nel tragitto fra Napoli e la Sicilia in un battello che è affondato al largo di Capri.
Altri li ha prestati e non ricorda più a chi; come i Lais di Maria di Francia che non sono più tornati indietro. O il Romance de Brut che deve essere nelle mani di suo fratello Carloal convento di San Martino delle Scale.
Queste letture che si protraggono fino a notte fonda sono prostranti ma anche dense di piaceri. Marianna non riesce mai a decidersi ad andare a letto. E se non fosse per la sete che quasi sempre la strappa alla lettura continuerebbe fino a giorno.
Uscire da un libro è come uscire dal meglio di sé. Passare dagli archi soffici e ariosi della mente alle goffaggini di un corpo accattone sempre in cerca di qualcosa è comunque una resa. Lasciare persone note e care per ritrovare una se stessa che non ama, chiusa in una contabilità ridicola di giornate che si sommano a giornate come fossero indistinguibili. La sete ha messo il suo zampino in quella quiete sensuale togliendo profumo ai fiori, ispessendo le ombre. Il silenzio di questa notte è soffocante.
Trepidare con i personaggi che corrono fra le pagine, bere il succo del pensiero altrui, provare l'ebbrezza rimandata di un piacere che appartiene ad altri. Esaltare i propri sensi attraverso lo spettacolo sempre ripetuto dell'amore in rappresentazione, non è amore anche questo? Che importanza ha che questo amore non sia mai stato vissuto faccia a faccia direttamente? assistere agli abbracci di corpi estranei, ma quanto vicini e noti per via di lettura, non è come viverlo quell'abbraccio, con un privilegio in più, di rimanere padroni di sé?
Un sospetto le attraversa la mente: che il suo sia solo uno spiare i respiri degli altri. Così come cerca di interpretare sulle labbra di chi le sta accanto il ritmo delle frasi, rincorre su queste pagine il farsi e il disfarsi degli amori altrui. Non è una caricatura un po' penosa?
Quante ore ha trascorso in quella biblioteca, imparando a cavare l'oro dalle pietre, setacciando e pulendo per giorni e giorni, gli occhi a mollo nelle acque torbide della letteratura.Che ne ha ricavato? qualche granello di ruvido bitorzoluto sapere. Da un libro all'altro, da una pagina all'altra. Centinaia di storie d'amore, di allegria, di disperazione, di morte,di godimenti, di assassinii, di incontri, di addii. E lei sempre lì seduta su quella poltrona dal centrino ricamato e consunto dietro la testa.
La parte bassa degli scaffali, quelli raggiungibili da mani infantili contengono soprattutto vite di santi: La sequenza di santa Eulalia, La vita di san Leodegario, qualche libro in francese Le jeu de saint Nicolas, il Cymbalum mundi, qualche libro in spagnolo come il Rimado de palacio o il Lazarillo de Tormes. Una montagna di almanacchi: della Luna nuova, degli Amori sotto Marte, del Raccolto, dei Venti; nonché storie di paladini di Francia e alcuni romanzi per signorine che parlano d'amore con ipocrita licenza.
Più sopra, negli scaffali ad altezza d'uomo si possono trovare i classici: dalla Vita nuova all'Orlando furioso, dal De rerum natura ai Dialoghi di Platone nonché qualche romanzo alla moda come il Colloandro fedele e La leggenda delle vergini. Questi erano i libri della biblioteca di villa Ucrìa quando l'ha ereditata Marianna. Ma da quando la frequenta assiduamente i libri sono raddoppiati. Da principio la scusa era lo studio dell'inglese e del francese. E quindi vocabolari, grammatiche, compendii. Poi, qualche libro di viaggi con disegni di mondi lontani e infine, con sempre più ardimento,romanzi moderni, libri di storia, di filosofia.
Da quando i figli sono andati via ha molto più tempo a disposizione. E i libri non le bastano mai. Li ordina a dozzine ma spesso ci mettono dei mesi per arrivare. Come il pacchetto che conteneva il Paradise Lost che è rimasto cinque mesi al porto di Palermo senza che nessuno sapesse dove fosse andato a finire. Oppure la Histoire comique de Francion che è andato perso nel tragitto fra Napoli e la Sicilia in un battello che è affondato al largo di Capri.
Altri li ha prestati e non ricorda più a chi; come i Lais di Maria di Francia che non sono più tornati indietro. O il Romance de Brut che deve essere nelle mani di suo fratello Carloal convento di San Martino delle Scale.
Queste letture che si protraggono fino a notte fonda sono prostranti ma anche dense di piaceri. Marianna non riesce mai a decidersi ad andare a letto. E se non fosse per la sete che quasi sempre la strappa alla lettura continuerebbe fino a giorno.
Uscire da un libro è come uscire dal meglio di sé. Passare dagli archi soffici e ariosi della mente alle goffaggini di un corpo accattone sempre in cerca di qualcosa è comunque una resa. Lasciare persone note e care per ritrovare una se stessa che non ama, chiusa in una contabilità ridicola di giornate che si sommano a giornate come fossero indistinguibili. La sete ha messo il suo zampino in quella quiete sensuale togliendo profumo ai fiori, ispessendo le ombre. Il silenzio di questa notte è soffocante.
Tornata alla biblioteca, alle candele consumate, Marianna si chiede perché queste notti le stanno diventando strette. E perché ogni cosa tenda a precipitare verso l'interno della sua testa come dentro un pozzo dalle acque scure in cui ogni tanto echeggia un tonfo, una caduta,ma di che?
I piedi scivolano delicati e silenziosi sui tappeti che coprono il corridoio; raggiungono la sala da pranzo, attraversano il salone giallo, quello rosa; si fermano sulla soglia della cucina. La tenda nera che nasconde il grande orcio dove si conserva l'acqua da bere è scostata. Qualcuno è sceso a bere prima di lei. Per un momento è presa dal panico di un incontro notturno col signor marito zio. Da quella notte del rifiuto non l'ha più cercata. Le sembra di avere intuito che amoreggi con la moglie di Cuffa. Non la vecchia Severina che è morta ormai da un po', ma la nuova moglie, una certa Rosalia dalla folta treccia nera che le ciondola sulla schiena.
Ha una trentina d'anni, è di temperamento energico, ma col padrone sa essere dolce e lui ha bisogno di qualcuno che accolga i suoi assalti senza raggelarsi. Marianna ripensa ai loro frettolosi accoppiamenti al buio, lui armato e implacabile e lei lontana, impietrita. Dovevano essere buffi a vedersi, stupidi come possono esserlo coloro che ripetono senza un barlume di discernimento un dovere che non capiscono e per cui non sono tagliati. Eppure hanno fatto cinque figli vivi e tre morti prima di nascere che fanno otto; otto volte si sono incontrati sotto le lenzuola senza baciarsi né carezzarsi. Un assalto, una forzatura, un premere di ginocchia fredde contro le gambe, una esplosione rapida e rabbiosa.
Qualche volta chiudendo gli occhi al suo dovere si è di era distratta pensando agli accoppiamenti di Zeus e di Io, di Zeus e di Leda come sono descritti da Pausania o da Plutarco. Il corpo divino sceglie un simulacro terreno: una volpe, un cigno un’aquila, un toro. E poi, dopo lunghi appostamenti fra i sugheri e le querce, l'improvvisa apparizione. Non c'è il tempo di dire una parola. L'animale curva i suoi artigli, in chioda col becco la nuca della donna, e la ruba a se stessa e al suo piacere. Un battere di ali, un fiato ansante sul collo, il taglio dei denti su una spalla ed è finito. L'amante se ne va lasciandoti dolorante e umiliata.
I piedi scivolano delicati e silenziosi sui tappeti che coprono il corridoio; raggiungono la sala da pranzo, attraversano il salone giallo, quello rosa; si fermano sulla soglia della cucina. La tenda nera che nasconde il grande orcio dove si conserva l'acqua da bere è scostata. Qualcuno è sceso a bere prima di lei. Per un momento è presa dal panico di un incontro notturno col signor marito zio. Da quella notte del rifiuto non l'ha più cercata. Le sembra di avere intuito che amoreggi con la moglie di Cuffa. Non la vecchia Severina che è morta ormai da un po', ma la nuova moglie, una certa Rosalia dalla folta treccia nera che le ciondola sulla schiena.
Ha una trentina d'anni, è di temperamento energico, ma col padrone sa essere dolce e lui ha bisogno di qualcuno che accolga i suoi assalti senza raggelarsi. Marianna ripensa ai loro frettolosi accoppiamenti al buio, lui armato e implacabile e lei lontana, impietrita. Dovevano essere buffi a vedersi, stupidi come possono esserlo coloro che ripetono senza un barlume di discernimento un dovere che non capiscono e per cui non sono tagliati. Eppure hanno fatto cinque figli vivi e tre morti prima di nascere che fanno otto; otto volte si sono incontrati sotto le lenzuola senza baciarsi né carezzarsi. Un assalto, una forzatura, un premere di ginocchia fredde contro le gambe, una esplosione rapida e rabbiosa.
Qualche volta chiudendo gli occhi al suo dovere si è di era distratta pensando agli accoppiamenti di Zeus e di Io, di Zeus e di Leda come sono descritti da Pausania o da Plutarco. Il corpo divino sceglie un simulacro terreno: una volpe, un cigno un’aquila, un toro. E poi, dopo lunghi appostamenti fra i sugheri e le querce, l'improvvisa apparizione. Non c'è il tempo di dire una parola. L'animale curva i suoi artigli, in chioda col becco la nuca della donna, e la ruba a se stessa e al suo piacere. Un battere di ali, un fiato ansante sul collo, il taglio dei denti su una spalla ed è finito. L'amante se ne va lasciandoti dolorante e umiliata.
Brano tratto dal romanzo "La lunga vita di Marianna Ucrìa" (1990) di Dacia Maraini
[...]
Marianna si scuote dai suoi pensieri quando Saro le stringe una mano con una forza nuova. Sta guarendo, sembra proprio che stia guarendo.
Saro apre gli occhi. Uno sguardo fresco, nudo, uscito allora dal chiuso di un baccello, come un fagiolo ancora morbido di sonno. Marianna gli si avvicina, appoggia due dita sulle labbra screpolate di lui. Il fiato leggero, umido e regolare si insinua nel palmo cavo di lei. Una sensazione di allegria tiene Marianna ferma in quel gesto di tenerezza respirando il fiato amaro del ragazzo.
Ora la bocca di Saro si spinge contro le dita di quella mano e la baciano all'interno, con trepidazione. Marianna perla prima volta non lo respinge. Anzi, chiude gli occhi come per assaporare meglio quel tocco. Sono baci che vengono da lontano, da quella prima sera che si sono visti alla luce fluttuante della candela, dentro lo specchio macchiato nella camera di Fila.
Ma il gesto sembra averlo stancato. Saro continua a tenere le dita di Marianna contro la bocca ma non le bacia più. Il suo fiato è tornato irregolare, appena un poco affrettato e convulso.
Marianna ritira la mano, ma senza fretta. Da seduta che era sulla poltrona, si inginocchia per terra accanto al letto,allunga il busto sulle coperte e con un gesto che ha spesso immaginato ma mai compiuto, appoggia la fronte sul petto del ragazzo. Sotto l'orecchio sente lo spessore delle fasciature impregnate di canfora e sotto di esse le mezzelune delle costole? sotto, ancora il fragore del sangue in tempesta.
Saro giace immoto, preoccupato che un suo gesto possa interrompere i timidi movimenti di Marianna verso di lui,spaventato che possa scappare via da un momento all'altro come ha sempre fatto. Perciò aspetta che sia lei a decidere:trattiene il fiato e tiene gli occhi chiusi sperando, disperatamente sperando che lei lo stringa a sé.
Le dita di Marianna scorrono lungo la fronte, le orecchie,il collo di Saro come se ormai non si fidasse neanche della sua vista. Scivolando sui capelli incollati dal sudore, si soffermano sul rigonfio di cotone che nasconde l'orecchio sinistro, riprendono il contorno delle labbra, scendono verso il mento ispido di una barba da convalescente, tornano al naso come se la conoscenza di quel corpo potesse passare solo attraverso la punta dei polpastrelli, tanto curiosi e mobili quanto lo sguardo è pusillanime e riottoso.
L'indice, dopo avere percorso la lunga strada che da una tempia conduce all'altra tempia, scendendo lungo le pinne del naso, risalendo sulle colline delle gote, sfiorando i cespugli delle sopracciglia, si trova quasi per caso a premere nel punto in cui le labbra si congiungono, si apre un varco fra i denti, raggiunge la punta della lingua. Solo allora Saro azzarda un movimento impercettibile:chiude i denti, ma con una pressione lievissima, attorno al dito che rimane prigioniero fra palato e lingua e viene avvolto nel calore febbrile della saliva. Marianna sorride. E con l'indice e il pollice dell'altra mano stringe le narici del ragazzo. Finché lui non lascia la presa e apre la bocca per respirare. Allora lei ritira il dito fradicio e ricomincia l'esplorazione. Lui la guarda beato come a dirle che il sangue gli si sta sciogliendo. Le mani della signora ora si afferrano alla trapunta e la fanno scivolare giù dal letto. Poi è la volta del lenzuolo che a pieghe disordinate viene buttato da un lato per terra. Ed ecco davanti agli occhi sorpresi dal proprio ardimento il corpo nudo del ragazzo che conserva solo le fasciature lungo i fianchi,sul petto e sulla testa.
Le costole sono lì, sporgenti quarti di luna che raccontano come su un atlante le fasi delle rotazioni dell'astro viste in progressione, una accanto all'altra, una sopra l'altra.
Le mani di Marianna si posano senza peso sulle ferite appena rimarginate, ancora rosse e dolenti. La ferita sulla coscia pare quella di Ulisse assalito dal cinghiale, così come deve essere apparsa alla nutrice stupefatta che per prima riconosce il suo padrone tornato dopo tanti anni di guerra, quando ancora tutti lo credevano un mendicante straniero.
Marianna vi fa scorrere le dita, leggere, mentre il respiro di Sarino si fa frettoloso e dalle sue labbra chiuse sbucano delle minuscole stille che fanno pensare al dolore ma anche a una gioia sconosciuta e selvaggia, a una resa felice.
Come abbia fatto a trovarsi spogliata accanto al corpo spogliato di Saro, Marianna non saprebbe dirlo. Sa che è stato semplicissimo e che non ha provato vergogna. Sa che si sono abbracciati come due corpi amici e accoglierlo dentro di sé è stato come ritrovare una parte del proprio corpo che credeva perduta per sempre.
Sa che non aveva mai pensato di racchiudere nel proprio ventre una carne maschile che non fosse un figlio o un invasore nemico.
I figli si trovano nel ventre della donna senza che lei li abbia chiamati, così come la carne del signor marito zio stava al caldo dentro di lei senza che lo avesse mai desiderato né voluto.
Questo corpo invece lei lo ha chiamato e voluto come si chiama e si vuole il proprio bene e non le avrebbe portato dolore e lacerazione come avevano fatto i figli uscendo da lei,ma sarebbe scivolato via, una volta condiviso "lu spasimu",con la promessa gioiosa di un ritorno.
Aveva pensato in tanti anni di matrimonio che il corpo dell'uomo fosse fatto per dare tormento. E a quel tormento si era arresa come al "maliceddu di Diu", un dovere che ogni donna "di sentimento" non può non accettare pur inghiottendo fiele. Non aveva inghiottito fiele anche nostro Signore nell'orto di Getsemani? non era morto sulla croce senza una parola di recriminazione? cos'era la piccolezza di un dolore da letto rispetto alle sofferenze di Cristo?
E invece ecco qui ora un grembo che non le è estraneo, non la assale, non la deruba, non chiede sacrifici e rinunce ma le va incontro con piglio sicuro e dolce. Un grembo che sa aspettare, che prende e sa farsi prendere senza nessuna forzatura. Come potrà più farne a meno? (Da: http://www.daciamaraini.it/romanzi/brani/lalungavita.htm)
Saro apre gli occhi. Uno sguardo fresco, nudo, uscito allora dal chiuso di un baccello, come un fagiolo ancora morbido di sonno. Marianna gli si avvicina, appoggia due dita sulle labbra screpolate di lui. Il fiato leggero, umido e regolare si insinua nel palmo cavo di lei. Una sensazione di allegria tiene Marianna ferma in quel gesto di tenerezza respirando il fiato amaro del ragazzo.
Ora la bocca di Saro si spinge contro le dita di quella mano e la baciano all'interno, con trepidazione. Marianna perla prima volta non lo respinge. Anzi, chiude gli occhi come per assaporare meglio quel tocco. Sono baci che vengono da lontano, da quella prima sera che si sono visti alla luce fluttuante della candela, dentro lo specchio macchiato nella camera di Fila.
Ma il gesto sembra averlo stancato. Saro continua a tenere le dita di Marianna contro la bocca ma non le bacia più. Il suo fiato è tornato irregolare, appena un poco affrettato e convulso.
Marianna ritira la mano, ma senza fretta. Da seduta che era sulla poltrona, si inginocchia per terra accanto al letto,allunga il busto sulle coperte e con un gesto che ha spesso immaginato ma mai compiuto, appoggia la fronte sul petto del ragazzo. Sotto l'orecchio sente lo spessore delle fasciature impregnate di canfora e sotto di esse le mezzelune delle costole? sotto, ancora il fragore del sangue in tempesta.
Saro giace immoto, preoccupato che un suo gesto possa interrompere i timidi movimenti di Marianna verso di lui,spaventato che possa scappare via da un momento all'altro come ha sempre fatto. Perciò aspetta che sia lei a decidere:trattiene il fiato e tiene gli occhi chiusi sperando, disperatamente sperando che lei lo stringa a sé.
Le dita di Marianna scorrono lungo la fronte, le orecchie,il collo di Saro come se ormai non si fidasse neanche della sua vista. Scivolando sui capelli incollati dal sudore, si soffermano sul rigonfio di cotone che nasconde l'orecchio sinistro, riprendono il contorno delle labbra, scendono verso il mento ispido di una barba da convalescente, tornano al naso come se la conoscenza di quel corpo potesse passare solo attraverso la punta dei polpastrelli, tanto curiosi e mobili quanto lo sguardo è pusillanime e riottoso.
L'indice, dopo avere percorso la lunga strada che da una tempia conduce all'altra tempia, scendendo lungo le pinne del naso, risalendo sulle colline delle gote, sfiorando i cespugli delle sopracciglia, si trova quasi per caso a premere nel punto in cui le labbra si congiungono, si apre un varco fra i denti, raggiunge la punta della lingua. Solo allora Saro azzarda un movimento impercettibile:chiude i denti, ma con una pressione lievissima, attorno al dito che rimane prigioniero fra palato e lingua e viene avvolto nel calore febbrile della saliva. Marianna sorride. E con l'indice e il pollice dell'altra mano stringe le narici del ragazzo. Finché lui non lascia la presa e apre la bocca per respirare. Allora lei ritira il dito fradicio e ricomincia l'esplorazione. Lui la guarda beato come a dirle che il sangue gli si sta sciogliendo. Le mani della signora ora si afferrano alla trapunta e la fanno scivolare giù dal letto. Poi è la volta del lenzuolo che a pieghe disordinate viene buttato da un lato per terra. Ed ecco davanti agli occhi sorpresi dal proprio ardimento il corpo nudo del ragazzo che conserva solo le fasciature lungo i fianchi,sul petto e sulla testa.
Le costole sono lì, sporgenti quarti di luna che raccontano come su un atlante le fasi delle rotazioni dell'astro viste in progressione, una accanto all'altra, una sopra l'altra.
Le mani di Marianna si posano senza peso sulle ferite appena rimarginate, ancora rosse e dolenti. La ferita sulla coscia pare quella di Ulisse assalito dal cinghiale, così come deve essere apparsa alla nutrice stupefatta che per prima riconosce il suo padrone tornato dopo tanti anni di guerra, quando ancora tutti lo credevano un mendicante straniero.
Marianna vi fa scorrere le dita, leggere, mentre il respiro di Sarino si fa frettoloso e dalle sue labbra chiuse sbucano delle minuscole stille che fanno pensare al dolore ma anche a una gioia sconosciuta e selvaggia, a una resa felice.
Come abbia fatto a trovarsi spogliata accanto al corpo spogliato di Saro, Marianna non saprebbe dirlo. Sa che è stato semplicissimo e che non ha provato vergogna. Sa che si sono abbracciati come due corpi amici e accoglierlo dentro di sé è stato come ritrovare una parte del proprio corpo che credeva perduta per sempre.
Sa che non aveva mai pensato di racchiudere nel proprio ventre una carne maschile che non fosse un figlio o un invasore nemico.
I figli si trovano nel ventre della donna senza che lei li abbia chiamati, così come la carne del signor marito zio stava al caldo dentro di lei senza che lo avesse mai desiderato né voluto.
Questo corpo invece lei lo ha chiamato e voluto come si chiama e si vuole il proprio bene e non le avrebbe portato dolore e lacerazione come avevano fatto i figli uscendo da lei,ma sarebbe scivolato via, una volta condiviso "lu spasimu",con la promessa gioiosa di un ritorno.
Aveva pensato in tanti anni di matrimonio che il corpo dell'uomo fosse fatto per dare tormento. E a quel tormento si era arresa come al "maliceddu di Diu", un dovere che ogni donna "di sentimento" non può non accettare pur inghiottendo fiele. Non aveva inghiottito fiele anche nostro Signore nell'orto di Getsemani? non era morto sulla croce senza una parola di recriminazione? cos'era la piccolezza di un dolore da letto rispetto alle sofferenze di Cristo?
E invece ecco qui ora un grembo che non le è estraneo, non la assale, non la deruba, non chiede sacrifici e rinunce ma le va incontro con piglio sicuro e dolce. Un grembo che sa aspettare, che prende e sa farsi prendere senza nessuna forzatura. Come potrà più farne a meno? (Da: http://www.daciamaraini.it/romanzi/brani/lalungavita.htm)
Testi critici sul romanzo "La lunga vita di Marianna Ucrìa" (1990) di Dacia Maraini (da: http://www.daciamaraini.it/romanzi/testi_critici/lalungavita.htm)
Il Gazzettino, 5 settembre 1990
Il Gazzettino, 5 settembre 1990
Messaggi dal silenzio
di Dacia Maraini
di Dacia Maraini
Perché hai scritto questo romanzo e non un altro? perché hai scelto questo personaggio e non un altro? perché hai ambientato la storia nel passato, non è una fuga? perché il Settecento? perché la Sicilia? eccetera.
Sono domande che mi vengono fatte in continuazione. E hanno un sapore di affettuosa curiosità, ma anche a volte di una pizzuta maliziosa volontà indagatoria. Un romanzo è un romanzo, mi verrebbe di rispondere, alla maniera di Gertrude Stein. Ma anche lei, col suo ampio corpo materno, l'occhio di falco e la scrittura da acrobata; anche lei, poi, con pazienza, si accingeva a spiegare. Magari mettendo In bocca le sue risposte alla cara amica Alice Toklas.
Si è mai sentito di un autore che scrive l'autobiografia di un altro? che poi questo altro non è che lei stessa vista in terza persona, attraverso un gioco di specchi scaltro e Incantatore. Gertrude Stein insiste sul suono delle parole. Non a caso la sto citando. Avendo lavorato in questo mio romanzo con particolare puntiglio sul «cantabile e il ballabile» dello stile. Ad aiutarmi è stato il fatto che Marianna fosse sorda. Può sembrare un paradosso: "lucus et non lucendo", come si diceva del bosco che ha nome "lucus" ma, non dà luce, al contrario è un Intrico di bui.
Sono domande che mi vengono fatte in continuazione. E hanno un sapore di affettuosa curiosità, ma anche a volte di una pizzuta maliziosa volontà indagatoria. Un romanzo è un romanzo, mi verrebbe di rispondere, alla maniera di Gertrude Stein. Ma anche lei, col suo ampio corpo materno, l'occhio di falco e la scrittura da acrobata; anche lei, poi, con pazienza, si accingeva a spiegare. Magari mettendo In bocca le sue risposte alla cara amica Alice Toklas.
Si è mai sentito di un autore che scrive l'autobiografia di un altro? che poi questo altro non è che lei stessa vista in terza persona, attraverso un gioco di specchi scaltro e Incantatore. Gertrude Stein insiste sul suono delle parole. Non a caso la sto citando. Avendo lavorato in questo mio romanzo con particolare puntiglio sul «cantabile e il ballabile» dello stile. Ad aiutarmi è stato il fatto che Marianna fosse sorda. Può sembrare un paradosso: "lucus et non lucendo", come si diceva del bosco che ha nome "lucus" ma, non dà luce, al contrario è un Intrico di bui.
Non ci sono dialoghi parlati nel mio libro ma sono comunicazioni scritte a penna; frasi ricostruite, vergate su un foglio, oltre a citazioni, ricostruzioni mnemoniche, pensieri imprigionati. E spesso il dialetto vi regna come un piccolo mistero linguistico.
Una convenzione, si dirà; Perché In un romanzo, comunque, i dialoghi sono sempre scritti. Tutto è scritto anche ciò che vuole darsi come parlato. Ma chi incastona nella prosa dei dialoghi che vogliono apparire «colti ai volo», si mette in piedi su una lama di rasoio che sta fra la scivolosa mimesi del lessico quotidiano e l'artificioso impegno costruttivo e ritmico che la parola scritta richiede.
Nel caso in cui la parola scritta però diventi uno dei personaggi stessi del romanzo, essa deve in qualche modo farsi balla di se stessa e rendersi consapevole delle sue capacità di darsi latte. I silenzi di Marianna non possono che essere contagiati da un certo gusto leggero e metodico di comporre le geometrie linguistiche. Geometrie che non nascono da esigenze artistiche ma di sopravvivenza. E In questo sta la contraddizione sotterranea e la scommessa del libro. Marianna ha avuto in regalo dal padre una completa attrezzatura per scrivere: un calamaio d'argento, una penna d'oca col collarino d'oro, un astuccio per la cenere, una retina di maglia per reggere ogni cosa, da appendere alla cintura.
I genitori, i fratelli, I figli quando vogliono farsi Intendere da lei, tracciano rapidamente delle frasi sul foglietti di Marianna. E così fa lei per rispondere o porre a sua volta delle domande., La sua gonna è spesso Ingombra di pezzetti di carta scritta che lei getta via o conserva secondo una valutazione di «durata» che è legata agli affetti e alle emozioni del momento. Comunque cercherò di risponder anche alle altre domande.
Perché hai scritto il libro? non lo so veramente, mi sono sentita tirare per la manica da una donna dai capelli grigi e una rosa malinconica appiccicata sopra. Una donna gli occhi duri ma anche gioiosi. Pirandello l'ha detto molto bene: spesso sono loro, i personaggi che vengono 1 a cercarti e insistono, con quella petulanza leggermente ricattatoria che è tipica di chi vuole a tutti i costi camminare nelle fantasie altrui… Perché il Settecento?
Non è una fuga dal presente? Il fatto è che Marianna, la donna del quadro, è nata agli inizi del Settecento e la villa in cui è vissuta è la stessa in cui ho trascorso gli anni della mia adolescenza. In quanto alla fuga, mi sembra un falso problema. Se io parlassi di mia nonna che è nata alla fine dell'ottocento, fuggirei lo stesso? E se parlassi della guerra e degli anni Quaranta? sarebbe sempre una scappatoia? Quando comincia un romanzo storico? A volte sembra che sia questione di «costumi». Ma anche I vestiti di venti anni fa sono dei costumi per chi li guarda con gli occhi di oggi.
A me sembra che tutti i romanzi parlino del passato, più o meno recente. L'argomento più frequente, anche se non sempre esplicito, delle grandi imprese narrative, e quasi sempre lo scorrere dei tempo. Il passaggio dallo ieri all'oggi al domani. Come avviene e perché e cosa significano le trasformazioni di cui tutti siamo oggetto? In quanto all'ultima domanda: perché la Sicilia? devo fare un passo indietro. Sono nata a Firenze da padre mezzo toscano e mezzo inglese.
Ma a un anno sono stata portata in Giappone. Al ritorno, dopo due anni di campo di concentramento, mi sono trasferita con la famiglia a Palermo dove è nata e cresciuta mia madre. Fra Palermo e Bagheria ho trascorso otto anni della mia vita di ragazza. Ma appena ho potuto sono scappata. L'educazione sentimentale di una ragazza nella Sicilia degli anni Cinquanta era a dir poco schizofrenica. Il candore veniva ucciso da una sublime e sensuale ipocrisia. Quella dei personaggi di Brancati per intenderci. Solo che lui vedeva il tutto dal punto di vista di un giovanotto sognante e desideroso.
Per anni, vivendo a Roma, non ho voluto più pensare alla Sicilia. L'ho forzatamente dimenticata. Quasi che ci si possa disfare di una parte di noi. Fatto sta che ho scritto sette romanzi senza mai nominarla. Tornando qualche anno fa a Palermo, ho sentito la voglia di rivedere i luoghi della mia goffa «educazione al mondo».
C'era di che farsi venire il mal di pancia: il mare imbrigliato In colate di cemento, su cui spiccavano orribili villini; i giardini distrutti, i parchi devastati, le vigne divelte, gli ulivi bruciati; alcune meravigliose ville settecentesche rase al suolo per mettere al loro posto palazzi e palazzetti costruiti solo secondo principi di puro abuso.
Me ne sarei tornata dritta a Roma cercando di seppellire, questa volta piú in profondità, le rovine assieme con i ricordi del «prima». Peggio, molto peggio che vedere invecchiare, ammalare e morire una persona amata. Perché a questo non c'è rimedio mentre alla morte della bellezza architettonica e urbanistica il rimedio c'è. Marianna mi ha trattenuta dal voltare le spalle un'altra volta; ed eccomi qui col libro. Devo dire che mi sono i anche molto divertita a scriverlo. Ho provato tanto gusto a sprofondare in quella Sicilia da non poterne più uscire. Come un personaggio di Calvino, di cui adesso non ricordo il nome, che si affaccia sulla minestra che sta In fondo ad un orcio e a furia di guardarla ci casca dentro. Ho fatto lo stesso: ho guardato con tanto piacere la Sicilia di Marianna che ci sono cascata dentro. E adesso mi è difficile uscirne.
Una convenzione, si dirà; Perché In un romanzo, comunque, i dialoghi sono sempre scritti. Tutto è scritto anche ciò che vuole darsi come parlato. Ma chi incastona nella prosa dei dialoghi che vogliono apparire «colti ai volo», si mette in piedi su una lama di rasoio che sta fra la scivolosa mimesi del lessico quotidiano e l'artificioso impegno costruttivo e ritmico che la parola scritta richiede.
Nel caso in cui la parola scritta però diventi uno dei personaggi stessi del romanzo, essa deve in qualche modo farsi balla di se stessa e rendersi consapevole delle sue capacità di darsi latte. I silenzi di Marianna non possono che essere contagiati da un certo gusto leggero e metodico di comporre le geometrie linguistiche. Geometrie che non nascono da esigenze artistiche ma di sopravvivenza. E In questo sta la contraddizione sotterranea e la scommessa del libro. Marianna ha avuto in regalo dal padre una completa attrezzatura per scrivere: un calamaio d'argento, una penna d'oca col collarino d'oro, un astuccio per la cenere, una retina di maglia per reggere ogni cosa, da appendere alla cintura.
I genitori, i fratelli, I figli quando vogliono farsi Intendere da lei, tracciano rapidamente delle frasi sul foglietti di Marianna. E così fa lei per rispondere o porre a sua volta delle domande., La sua gonna è spesso Ingombra di pezzetti di carta scritta che lei getta via o conserva secondo una valutazione di «durata» che è legata agli affetti e alle emozioni del momento. Comunque cercherò di risponder anche alle altre domande.
Perché hai scritto il libro? non lo so veramente, mi sono sentita tirare per la manica da una donna dai capelli grigi e una rosa malinconica appiccicata sopra. Una donna gli occhi duri ma anche gioiosi. Pirandello l'ha detto molto bene: spesso sono loro, i personaggi che vengono 1 a cercarti e insistono, con quella petulanza leggermente ricattatoria che è tipica di chi vuole a tutti i costi camminare nelle fantasie altrui… Perché il Settecento?
Non è una fuga dal presente? Il fatto è che Marianna, la donna del quadro, è nata agli inizi del Settecento e la villa in cui è vissuta è la stessa in cui ho trascorso gli anni della mia adolescenza. In quanto alla fuga, mi sembra un falso problema. Se io parlassi di mia nonna che è nata alla fine dell'ottocento, fuggirei lo stesso? E se parlassi della guerra e degli anni Quaranta? sarebbe sempre una scappatoia? Quando comincia un romanzo storico? A volte sembra che sia questione di «costumi». Ma anche I vestiti di venti anni fa sono dei costumi per chi li guarda con gli occhi di oggi.
A me sembra che tutti i romanzi parlino del passato, più o meno recente. L'argomento più frequente, anche se non sempre esplicito, delle grandi imprese narrative, e quasi sempre lo scorrere dei tempo. Il passaggio dallo ieri all'oggi al domani. Come avviene e perché e cosa significano le trasformazioni di cui tutti siamo oggetto? In quanto all'ultima domanda: perché la Sicilia? devo fare un passo indietro. Sono nata a Firenze da padre mezzo toscano e mezzo inglese.
Ma a un anno sono stata portata in Giappone. Al ritorno, dopo due anni di campo di concentramento, mi sono trasferita con la famiglia a Palermo dove è nata e cresciuta mia madre. Fra Palermo e Bagheria ho trascorso otto anni della mia vita di ragazza. Ma appena ho potuto sono scappata. L'educazione sentimentale di una ragazza nella Sicilia degli anni Cinquanta era a dir poco schizofrenica. Il candore veniva ucciso da una sublime e sensuale ipocrisia. Quella dei personaggi di Brancati per intenderci. Solo che lui vedeva il tutto dal punto di vista di un giovanotto sognante e desideroso.
Per anni, vivendo a Roma, non ho voluto più pensare alla Sicilia. L'ho forzatamente dimenticata. Quasi che ci si possa disfare di una parte di noi. Fatto sta che ho scritto sette romanzi senza mai nominarla. Tornando qualche anno fa a Palermo, ho sentito la voglia di rivedere i luoghi della mia goffa «educazione al mondo».
C'era di che farsi venire il mal di pancia: il mare imbrigliato In colate di cemento, su cui spiccavano orribili villini; i giardini distrutti, i parchi devastati, le vigne divelte, gli ulivi bruciati; alcune meravigliose ville settecentesche rase al suolo per mettere al loro posto palazzi e palazzetti costruiti solo secondo principi di puro abuso.
Me ne sarei tornata dritta a Roma cercando di seppellire, questa volta piú in profondità, le rovine assieme con i ricordi del «prima». Peggio, molto peggio che vedere invecchiare, ammalare e morire una persona amata. Perché a questo non c'è rimedio mentre alla morte della bellezza architettonica e urbanistica il rimedio c'è. Marianna mi ha trattenuta dal voltare le spalle un'altra volta; ed eccomi qui col libro. Devo dire che mi sono i anche molto divertita a scriverlo. Ho provato tanto gusto a sprofondare in quella Sicilia da non poterne più uscire. Come un personaggio di Calvino, di cui adesso non ricordo il nome, che si affaccia sulla minestra che sta In fondo ad un orcio e a furia di guardarla ci casca dentro. Ho fatto lo stesso: ho guardato con tanto piacere la Sicilia di Marianna che ci sono cascata dentro. E adesso mi è difficile uscirne.
Dacia Maraini
Aquario n° 0 1991
Dacia Maraini presenta Dacia Maraini in La lunga vita di Marianna Ucrìa
[...]
E adesso la parola a Dacia:
«La lunga vita di Marianna Ucrìa è un libro che nasce da molta notte; è come se molte notti si fossero accavallate nascondendo qualcosa che, evidentemente, faceva parte della mia memoria, e che faticava a venir fuori, infatti ho scritto molti romanzi, ma non avevo mai parlato della Sicilia, e però questa notte si è trasformata in un mattino quando ho incontrato questo personaggio di sordomuta del '700 che poi era una mia antenata, in un quadro, e allora le è venuto fuori il bisogno di raccontarlo, e quindi dalla notte dell'oblìo sono passata alla mattina del ricordo, ed è perciò che mi sono messa a scrivere di questo personaggio, ed è venuto fuori questo libro che forse, penso, è sovraccarico di memorie, che sono memorie personali, ma che si sono trasferite su questo personaggio ormai morto da molto tempo, e questo mi ha permesso una distanza,
perché altrimenti, forse sarei stata troppo ingolfata da queste memorie. E però per me questo libro è importante perchè appunto nasce da una serie di dimenticanze volute o non volute, non lo so, comunque che hanno creato in me come una notte che riguardava la Sicilia. Il fatto quindi che questa notte si sia trasformata in giorno dopo tanti anni, saranno trenta anni: per me è stata una lunga notte, evidentemente è un mattino abbastanza felice.
Il personaggio principale, che poi è l'asse portante del libro, è Marianna Ucrìa, che è sordomuta, e pur essendo aristocratica parte da una condizione di difficoltà, di emarginazione, di impedimento, di minorazione che sembra le escluda ogni partecipazione alla vita del suo ambiente e della sua epoca, e invece lei che ha molto desiderio di capire, di apprendere attraverso lo studio (impara l'inglese e il francese), attraverso i libri, attraverso la scrittura, perché lei scrive biglietti per intendersi con i parenti e con gli amici, recupera piano piano, costruisce uno spazio di libertà, che poi la renderà vincente, infatti questa è una donna che parte completamente perdente e poi, invece, si trasforma in vincente, proprio grazie a quello che io dico simbolicamente la chiave della biblioteca. Ci sono voluti cinque anni per scrivere questo libro, cinque anni di lavoro intenso: ha avuto inizio praticamente quando mi sono recata in Sicilia, a Bagheria, dove ho vissuto gli anni della mia adolescenza e precisamente a villa Valguarnera dove in quegli anni avevo abitato, e dove ho rivisto il ritratto di Marianna Ucrìa. Ho fatto moltissime ricerche in biblioteca, in librerie, libri del '700. Sul '700 di allora, di oggi.
II Pitré è stato importante in questa mia ricerca, perché credo che il primo grande sociologo siciliano sia il Pitré che è stato un umile osservatore della vita dei siciliani ed ha segnato sulla carta, con una pazienza incredibile, tutto, perfino i nomi dei vasi di coccio che si usavano in quell'epoca. Questa sua mentalità di sociologo è stata, secondo me, fondamentale, perché noi, attraverso il Pitré, possiamo conoscere la vita quotidiana del '700, quella dei piccoli fatti.
Il suo lavoro di ricerca è un po’ posteriore alla data del mio romanzo, ma per me è stata una miniera. Sono tornata varie volte nei luoghi che ho descritto nel libro, anche perché nessuno sapeva i nomi delle montagne. È una cosa stranissima, stando lì a Bagheria, io chiedevo il nome delle montagne che avevo visto da bambina, che io conoscevo, che avevo nella mia memoria, ma che non sapevo come si chiamassero, e nessuno ne sapeva niente. Nelle carte non c'era nulla, quindi sono dovuta andare a cercare le carte topografiche locali, militari; è stato un lavoro incredibile. Ho dovuto cercare per avere ragguagli sui dati, sull'orografia della zona, e com'essa si chiamava allora.
Nel romanzo oltre a Marianna ci sono tantissimi personaggi, perché allora la famiglia era una famiglia allargata; c'erano parenti, zii, zie, nipoti, cugini, sorelle, fratelli, e tutto un mondo femminile, molto solidale. Quindi ci sono parecchie persone, naturalmente i personaggi più importanti sono i genitori che accompagnano per lunga parte la vita di Marianna, il marito a cui lei viene sposata a tredici anni, che è un personaggio difficile, cupo, solitario, che conosce solo la violenza, non certo la tenerezza; il padre che lei ama molto, la madre, ed una nonna che le insegna la storia di Bagheria e di Palermo e che impara a scrivere per scrivere alla nipote, perché Marianna non sente, per cui lei gliele deve scrivere le cose.
Importanti sono anche i figli: la figlia che si fa monaca, un'altra che si sposa, e l'altra che sembra disperata, malata di mente e che invece alla fine ritrova se stessa attraverso l'amore, ed importante è anche il rapporto con il suo bambino, un rapporto fatto di tenerezza, di baci, di abbracci, per cui lei avverte di avere un corpo che può godere dell'amore, E c'è l'uomo di cui lei si innamora ad un certo punto, quindi una marea di personaggi, ma c'era anche questo mio desiderio di raccontare il barocco, il piacere di recuperare certe forme dialettali e di fermarle nel tempo attraverso molte parole di questo libro.
Nel romanzo mi sento molto vicina alla storia degli Uzeda del primo Viceré di Federico De Roberto; il De Roberto mi ha aiutato molto perché il '700 è un secolo che lui conosce bene, e che racconta con una grande capacità di immersione storica in un rapporto di spirito con la terra.
Il personaggio principale, che poi è l'asse portante del libro, è Marianna Ucrìa, che è sordomuta, e pur essendo aristocratica parte da una condizione di difficoltà, di emarginazione, di impedimento, di minorazione che sembra le escluda ogni partecipazione alla vita del suo ambiente e della sua epoca, e invece lei che ha molto desiderio di capire, di apprendere attraverso lo studio (impara l'inglese e il francese), attraverso i libri, attraverso la scrittura, perché lei scrive biglietti per intendersi con i parenti e con gli amici, recupera piano piano, costruisce uno spazio di libertà, che poi la renderà vincente, infatti questa è una donna che parte completamente perdente e poi, invece, si trasforma in vincente, proprio grazie a quello che io dico simbolicamente la chiave della biblioteca. Ci sono voluti cinque anni per scrivere questo libro, cinque anni di lavoro intenso: ha avuto inizio praticamente quando mi sono recata in Sicilia, a Bagheria, dove ho vissuto gli anni della mia adolescenza e precisamente a villa Valguarnera dove in quegli anni avevo abitato, e dove ho rivisto il ritratto di Marianna Ucrìa. Ho fatto moltissime ricerche in biblioteca, in librerie, libri del '700. Sul '700 di allora, di oggi.
II Pitré è stato importante in questa mia ricerca, perché credo che il primo grande sociologo siciliano sia il Pitré che è stato un umile osservatore della vita dei siciliani ed ha segnato sulla carta, con una pazienza incredibile, tutto, perfino i nomi dei vasi di coccio che si usavano in quell'epoca. Questa sua mentalità di sociologo è stata, secondo me, fondamentale, perché noi, attraverso il Pitré, possiamo conoscere la vita quotidiana del '700, quella dei piccoli fatti.
Il suo lavoro di ricerca è un po’ posteriore alla data del mio romanzo, ma per me è stata una miniera. Sono tornata varie volte nei luoghi che ho descritto nel libro, anche perché nessuno sapeva i nomi delle montagne. È una cosa stranissima, stando lì a Bagheria, io chiedevo il nome delle montagne che avevo visto da bambina, che io conoscevo, che avevo nella mia memoria, ma che non sapevo come si chiamassero, e nessuno ne sapeva niente. Nelle carte non c'era nulla, quindi sono dovuta andare a cercare le carte topografiche locali, militari; è stato un lavoro incredibile. Ho dovuto cercare per avere ragguagli sui dati, sull'orografia della zona, e com'essa si chiamava allora.
Nel romanzo oltre a Marianna ci sono tantissimi personaggi, perché allora la famiglia era una famiglia allargata; c'erano parenti, zii, zie, nipoti, cugini, sorelle, fratelli, e tutto un mondo femminile, molto solidale. Quindi ci sono parecchie persone, naturalmente i personaggi più importanti sono i genitori che accompagnano per lunga parte la vita di Marianna, il marito a cui lei viene sposata a tredici anni, che è un personaggio difficile, cupo, solitario, che conosce solo la violenza, non certo la tenerezza; il padre che lei ama molto, la madre, ed una nonna che le insegna la storia di Bagheria e di Palermo e che impara a scrivere per scrivere alla nipote, perché Marianna non sente, per cui lei gliele deve scrivere le cose.
Importanti sono anche i figli: la figlia che si fa monaca, un'altra che si sposa, e l'altra che sembra disperata, malata di mente e che invece alla fine ritrova se stessa attraverso l'amore, ed importante è anche il rapporto con il suo bambino, un rapporto fatto di tenerezza, di baci, di abbracci, per cui lei avverte di avere un corpo che può godere dell'amore, E c'è l'uomo di cui lei si innamora ad un certo punto, quindi una marea di personaggi, ma c'era anche questo mio desiderio di raccontare il barocco, il piacere di recuperare certe forme dialettali e di fermarle nel tempo attraverso molte parole di questo libro.
Nel romanzo mi sento molto vicina alla storia degli Uzeda del primo Viceré di Federico De Roberto; il De Roberto mi ha aiutato molto perché il '700 è un secolo che lui conosce bene, e che racconta con una grande capacità di immersione storica in un rapporto di spirito con la terra.
Dacia Maraini
Giorno, 10 settembre 1991
Perché questa donna? Mi è venuta a cercare
di Filippo Abbiati
Il Premio Campiello 1990 è andato a Dacia Maraini e al suo La lunga vita di Marianna Ucrìa. I capelli color Tiziano, gli occhi azzurri, il sorriso che illumina un incarnato pallido, la vincitrice accoglie i cronisti con un: «Non ci credevo, ma ci speravo...».
Contenta di essere «arrivata prima» con un romanzo storico?
«Non è propriamente un romanzo storico... Perché hai scritto questo romanzo e non un altro? Perché hai scelto questo personaggio di una sordomuta e non un altro?
«Non è propriamente un romanzo storico... Perché hai scritto questo romanzo e non un altro? Perché hai scelto questo personaggio di una sordomuta e non un altro?
Perché hai ambientato la storia nel passato? Non è, la tua, una fuga? E perché il Settecento? Perché la Sicilia? Queste le domande che da settimane mi arrivano, affettuose e inquisitorie, da ogni parte... A me verrebbe da rispondere che un romanzo è un romanzo, ricalcando ciò che amava sostenere Gertrude Stein...».
L'allusione a Gertrude Stein è casuale?
«La Stein insiste sul suono delle parole e io nel mio romanzo ho lavorato con particolare puntiglio sul "cantabile e il ballabile" dello stile».
Nel suo libro non ci sono dialoghi parlati...
«Certo che no, ma ci sono comunicazioni scritte, scritte a penna: frasi ricostruite, vergate su un foglio, oltre a citazioni, pensieri imprigionati. E spesso il dialetto vi regna come un piccolo mistero linguistico».
«La Stein insiste sul suono delle parole e io nel mio romanzo ho lavorato con particolare puntiglio sul "cantabile e il ballabile" dello stile».
Nel suo libro non ci sono dialoghi parlati...
«Certo che no, ma ci sono comunicazioni scritte, scritte a penna: frasi ricostruite, vergate su un foglio, oltre a citazioni, pensieri imprigionati. E spesso il dialetto vi regna come un piccolo mistero linguistico».
Ma un romanzo è comunque "scrittura"...
«Tutto è scritto, anche ciò che vi si vuole dare come parlato. Ma chi incastona nella prosa dei dialoghi che vogliono apparire "colti al volo", si mette in piedi su una lama di rasoio che sta fra la scivolosa mimesi del lessico quotidiano e l'artificioso impegno costruttivo e ritmico che la parola scritta richiede...».
«Tutto è scritto, anche ciò che vi si vuole dare come parlato. Ma chi incastona nella prosa dei dialoghi che vogliono apparire "colti al volo", si mette in piedi su una lama di rasoio che sta fra la scivolosa mimesi del lessico quotidiano e l'artificioso impegno costruttivo e ritmico che la parola scritta richiede...».
Ci sembra che Dacia Maraini abbia camminato con grande sicurezza "sulla lama del rasoio"...
«In questo contrasto stava la scommessa del mio libro. Marianna ha avuto dal padre in regalo una completa attrezzatura per scrivere, un calamaio d'argento, una penna d'oca col collarino d'oro, un astuccio per la cenere, una retina di maglia per reggere ogni cosa, da appendere alla cintura.. I genitori, i fratelli, i figli, quando vogliono farsi intendere da lei, tracciano rapidamente delle frasi sui foglietti di Marianna. E così fa lei per rispondere o porre a sua volta delle domande. La sua gonna è spesso ingombra di pezzetti di carta scritta che lei getta via o conserva secondo una valutazione di "durata" che è legata agli affetti e alle emozioni del momento...».
«In questo contrasto stava la scommessa del mio libro. Marianna ha avuto dal padre in regalo una completa attrezzatura per scrivere, un calamaio d'argento, una penna d'oca col collarino d'oro, un astuccio per la cenere, una retina di maglia per reggere ogni cosa, da appendere alla cintura.. I genitori, i fratelli, i figli, quando vogliono farsi intendere da lei, tracciano rapidamente delle frasi sui foglietti di Marianna. E così fa lei per rispondere o porre a sua volta delle domande. La sua gonna è spesso ingombra di pezzetti di carta scritta che lei getta via o conserva secondo una valutazione di "durata" che è legata agli affetti e alle emozioni del momento...».
Emozioni... Perché questo libro? La Sicilia?
«Mi sono sentita tirare per la manica da una donna con i capelli grigi e una rosa malinconica appiccicata sopra. Una donna dagli occhi duri ma anche gioiosi.. Pirandello lo ha detto molto bene: spesso sono loro, i personaggi che vengono a cercarti e insistono, con quella petulanza leggermente ricattatoria che è tipica di chi vuole a tutti i costi camminare nelle fantasie altrui...».
«Mi sono sentita tirare per la manica da una donna con i capelli grigi e una rosa malinconica appiccicata sopra. Una donna dagli occhi duri ma anche gioiosi.. Pirandello lo ha detto molto bene: spesso sono loro, i personaggi che vengono a cercarti e insistono, con quella petulanza leggermente ricattatoria che è tipica di chi vuole a tutti i costi camminare nelle fantasie altrui...».
Il tutto immerso nel Settecento...
«Il fatto è che Marianna, la donna del quadro, è nata agli inizi del Settecento e la villa in cui è vissuta è la stessa in cui ho trascorso gli anni della mia adolescenza. Il Settecento come fuga? Non direi proprio. Se avessi parlato di mia nonna, nata alla fine dell'Ottocento, sarei stata sempre in fuga? A me sembra che tutti i romanzi parlino del passato, più o meno recente. L'argomento, più frequente, anche se non sempre esplicito, delle grandi imprese narrative è quasi sempre lo scorrere del tempo...».
«Il fatto è che Marianna, la donna del quadro, è nata agli inizi del Settecento e la villa in cui è vissuta è la stessa in cui ho trascorso gli anni della mia adolescenza. Il Settecento come fuga? Non direi proprio. Se avessi parlato di mia nonna, nata alla fine dell'Ottocento, sarei stata sempre in fuga? A me sembra che tutti i romanzi parlino del passato, più o meno recente. L'argomento, più frequente, anche se non sempre esplicito, delle grandi imprese narrative è quasi sempre lo scorrere del tempo...».
È il suo primo romanzo ambientato in Sicilia. Come mai?
«Sono nata a Firenze da padre mezzo toscano e mezzo inglese. A un anno so no stata portata in Giappone. Al ritorno dopo due anni di campo di concentramento, mi sono trasferita con la famiglia a Palermo, dove è nata e cresciuta mia madre. Fra Palermo e Bagheria ho trascorso otto anni della mia vita di ragazza. Ma appena ho potuto sono scappata. L'educazione sentimentale di una ragazza nella Sicilia degli anni Cinquanta era a dir poco schizofrenica. Il candore veniva ucciso da una sublime e sensuale ipocrisia. Per anni, vivendo a Roma, non ho più voluto pensare alla Sicilia. L'ho forzatamente dimenticata. Ho scritto sette romanzi senza mai nominarla. Quasi ci si potesse liberare di una parte di noi... Tornando qualche anno fa a Palermo ho voluto rivisitare la "mia" Sicilia... Un disastro. Il mare e la natura uccisi dal cemento. A questo punto volevo seppellire i miei ricordi in fondo all'anima, ma è arrivata Marianna, il personaggio del futuro libro, a tirarmi per la manica, ad impedirmi di voltare le spalle alla Sicilia un 'altra volta.. Così ho scritto della Sicilia. E ho provato tanto gusto a sprofondare in quella Sicilia, al punto da non poterne più uscire...».
«Sono nata a Firenze da padre mezzo toscano e mezzo inglese. A un anno so no stata portata in Giappone. Al ritorno dopo due anni di campo di concentramento, mi sono trasferita con la famiglia a Palermo, dove è nata e cresciuta mia madre. Fra Palermo e Bagheria ho trascorso otto anni della mia vita di ragazza. Ma appena ho potuto sono scappata. L'educazione sentimentale di una ragazza nella Sicilia degli anni Cinquanta era a dir poco schizofrenica. Il candore veniva ucciso da una sublime e sensuale ipocrisia. Per anni, vivendo a Roma, non ho più voluto pensare alla Sicilia. L'ho forzatamente dimenticata. Ho scritto sette romanzi senza mai nominarla. Quasi ci si potesse liberare di una parte di noi... Tornando qualche anno fa a Palermo ho voluto rivisitare la "mia" Sicilia... Un disastro. Il mare e la natura uccisi dal cemento. A questo punto volevo seppellire i miei ricordi in fondo all'anima, ma è arrivata Marianna, il personaggio del futuro libro, a tirarmi per la manica, ad impedirmi di voltare le spalle alla Sicilia un 'altra volta.. Così ho scritto della Sicilia. E ho provato tanto gusto a sprofondare in quella Sicilia, al punto da non poterne più uscire...».
Filippo Abbiati
La Sicilia, 11 maggio 1990
La donna non parla
di Sebastiano Addamo
La storia può essere lontana come favola; una retrospettiva di ciò che è stato, un interminabile cimitero. Essa non va da nessuna parte, non porta in nessun posto.
Cos'è la storia? Talora è intesa come profezia del passato; o può essere una metafora del presente.
Credo che in questa seconda valenza, vanno visti alcuni romanzi di argomento storico di scrittori italiani pubblicati in questi mesi.
Per esempio: Pece greca di Luigi Malerba, pubblicato da Mondadori. Ha a oggetto il lontano impero bizantino o, meglio, la burocrazia politico-amministrativa che lo governava. Una burocrazia che si era sviluppata come una immensa pianta in cui lo stesso impero si identificava e si risolveva, il cui solo scopo sembrava di preoccuparsi a permanere, a riprodurre perpetuamente se stessa.
Una macchina enorme del tutto scissa dalla vita e dal destino dei sudditi. Un po' come si dice che stia accadendo in Italia, dato il distacco sempre più palese della classe politica rispetto ai bisogni e alle esigenze dei cittadini.
Ma con tutto questo, l'impero bizantino durò mille anni.
A onta di questo comportamento della burocrazia, o a causa di esso? Può darsi sia un bene che i politici non si occupino della gente.
C'è il romanzo: La Chimera di Sebastiano Vassalli, pubblicato a Einaudi, e ha a oggetto il Seicento italiano, il tempo della Riforma e della Controriforma, dei processi e delle torture, di terrori e di vittime.
Vassalli si occupa di una di queste vittime, Antonia, accusata di stregoneria a causa di certi vasetti di erbe, a causa di certi capelli, o «crini» di color rossiccio che forse erano di Satana; o perché era bella, perché aveva incontrato qualche uomo. Venne suppliziata e uccisa.
Dacia Maraini col romanzo: La lunga vita di Marianna Ucrìa, pubblicato da Rizzoli, si occupa di storia e di una donna, appunto Marianna.
Il tempo è la Sicilia degli autodafè. dei nobili, dei delitti e delle miserie. In controluce appare David Hume, richiamato nei suoi testi che trattano di un razionalismo scrupoloso e ardito, quasi a rendere più oscuro il tempo oscuro di quella nobiltà palermitana a cui Marianna apparteneva. E c'è Palermo, i suoi palazzi, la gente e la sua folle nobiltà, i riti di questa con funerali e matrimoni che duravano nove giorni, e anche le Catacombe dei Cappuccini dove i nobili morti vengono imbalsamati, rivestiti, appesi a un chiodo a fingere l'eternità che non c'è.
Cos'è la storia? Talora è intesa come profezia del passato; o può essere una metafora del presente.
Credo che in questa seconda valenza, vanno visti alcuni romanzi di argomento storico di scrittori italiani pubblicati in questi mesi.
Per esempio: Pece greca di Luigi Malerba, pubblicato da Mondadori. Ha a oggetto il lontano impero bizantino o, meglio, la burocrazia politico-amministrativa che lo governava. Una burocrazia che si era sviluppata come una immensa pianta in cui lo stesso impero si identificava e si risolveva, il cui solo scopo sembrava di preoccuparsi a permanere, a riprodurre perpetuamente se stessa.
Una macchina enorme del tutto scissa dalla vita e dal destino dei sudditi. Un po' come si dice che stia accadendo in Italia, dato il distacco sempre più palese della classe politica rispetto ai bisogni e alle esigenze dei cittadini.
Ma con tutto questo, l'impero bizantino durò mille anni.
A onta di questo comportamento della burocrazia, o a causa di esso? Può darsi sia un bene che i politici non si occupino della gente.
C'è il romanzo: La Chimera di Sebastiano Vassalli, pubblicato a Einaudi, e ha a oggetto il Seicento italiano, il tempo della Riforma e della Controriforma, dei processi e delle torture, di terrori e di vittime.
Vassalli si occupa di una di queste vittime, Antonia, accusata di stregoneria a causa di certi vasetti di erbe, a causa di certi capelli, o «crini» di color rossiccio che forse erano di Satana; o perché era bella, perché aveva incontrato qualche uomo. Venne suppliziata e uccisa.
Dacia Maraini col romanzo: La lunga vita di Marianna Ucrìa, pubblicato da Rizzoli, si occupa di storia e di una donna, appunto Marianna.
Il tempo è la Sicilia degli autodafè. dei nobili, dei delitti e delle miserie. In controluce appare David Hume, richiamato nei suoi testi che trattano di un razionalismo scrupoloso e ardito, quasi a rendere più oscuro il tempo oscuro di quella nobiltà palermitana a cui Marianna apparteneva. E c'è Palermo, i suoi palazzi, la gente e la sua folle nobiltà, i riti di questa con funerali e matrimoni che duravano nove giorni, e anche le Catacombe dei Cappuccini dove i nobili morti vengono imbalsamati, rivestiti, appesi a un chiodo a fingere l'eternità che non c'è.
E la campagna di Palermo, l'arte sapiente di una cucina fastosa, Bagheria e le sue splendide ville, compresa la villa dei Palagonia con le sue stranezze che sembrano confutare il razionalismo del Settecento e in un certo senso lo portano alle estreme conseguenze, lo ribaltano fino alla follia. Il libro comincia con un viaggio in carrozza da Bagheria a Palermo e con una visita al carcere della Vicaria con le finestre «tutte uguali, irte di grate arricciolate che finiscono con delle punte minacciose»; il libro termina con una conclusione diciamo inconclusiva se la risposta che si cerca ridiventa una domanda, «ed è muta».
Nel mezzo c'è la storia di Marianna, figlia del duca Ucrìa, la sua storia esterna e quella segreta delle umiliazioni, dei soprusi, degli ardori, dei pensieri e dei desideri, delle passioni e delle rimozioni, dei figli avuti in un rapporto matrimoniale arido dove perfino una carezza era «inammissibile»: Ma è pure la storia di una famiglia, di un costume, di un certo modo di vivere sfavillante e cupo.
Senza parere, a poco a poco la Maraini riesce a introdurre la tematica della condizione femminile, un filo denso che permea di sé le vicende, ne costituisce la ragione che dà a esse senso e necessità.
Marianna a cinque anni venne stuprata dallo zio e a causa del trauma subìto diventa muta, «mutala»: a tredici anni va sposa al medesimo zio il quale così diventa «il signor marito zio». È la condanna di una condizione che diventa destino.
Ci sono osservazioni finissime, come quella intorno alle mani delle nobildonne: «Mani che, pur maneggiando l'oro e l'argento, non hanno mai saputo come arrivasse fino a loro. Mani che non hanno mai percepito il peso di una pentola, di una brocca, di un catino, uno straccio... Hanno forse indugiato qualche volta sul costato piagato di Cristo in croce, ma non hanno mai percorso il corpo nudo di un uomo, sarebbe stato considerato indecente sia da lui che da lei. Certamente si sono posate, inerti, sul grembo, non sapendo dove rintanarsi, che cosa fare».
Concomitante, e atroce dentro il decoro, si profila la sorte di queste donne «dall'intelligenza lasciata a impigrire nei cortili» ...Di madre in figlia, di figlia in nipote, Sempre intente a girare intorno ai guai che portano i figli, i mariti, gli amanti, i servizi, gli amici, a inventare nuove astuzie per non farsi schiacciare. ..Sposare, figliare, fare sposare le loro figlie che a loro volta si sposano e figliano... voci dell'assennatezza familiare, voci zuccherine e suadenti che sono rotolate lungo i secoli conservando in un nido di piume quell'uovo prezioso che è la discendenza» . Strumenti, veicoli, pezzi accuratamente disposti nel mosaico, funzioni quasi invariabili, esistenze necessarie, produttrici e dimenticate, sono le donne che plasticamente popolano il bel romanzo della Maraini, un'angoscia che serpeggia, piega verso la malinconia perenne, verso la tristezza, verso la solitudine più cieca.
Il fatto che il personaggio-protagonista sia muto, è la escogitazione più producente della scrittrice. Una metafora dentro la metafora.
Marianna non parla, è «sempre dietro alle parole», non sente, però legge e capisce i gesti. Marianna ha un rapporto mediato e indiretto col mondo, con la casa, con la gente.
È la sua fatica di vivere. È una prigioniera.
Nel mezzo c'è la storia di Marianna, figlia del duca Ucrìa, la sua storia esterna e quella segreta delle umiliazioni, dei soprusi, degli ardori, dei pensieri e dei desideri, delle passioni e delle rimozioni, dei figli avuti in un rapporto matrimoniale arido dove perfino una carezza era «inammissibile»: Ma è pure la storia di una famiglia, di un costume, di un certo modo di vivere sfavillante e cupo.
Senza parere, a poco a poco la Maraini riesce a introdurre la tematica della condizione femminile, un filo denso che permea di sé le vicende, ne costituisce la ragione che dà a esse senso e necessità.
Marianna a cinque anni venne stuprata dallo zio e a causa del trauma subìto diventa muta, «mutala»: a tredici anni va sposa al medesimo zio il quale così diventa «il signor marito zio». È la condanna di una condizione che diventa destino.
Ci sono osservazioni finissime, come quella intorno alle mani delle nobildonne: «Mani che, pur maneggiando l'oro e l'argento, non hanno mai saputo come arrivasse fino a loro. Mani che non hanno mai percepito il peso di una pentola, di una brocca, di un catino, uno straccio... Hanno forse indugiato qualche volta sul costato piagato di Cristo in croce, ma non hanno mai percorso il corpo nudo di un uomo, sarebbe stato considerato indecente sia da lui che da lei. Certamente si sono posate, inerti, sul grembo, non sapendo dove rintanarsi, che cosa fare».
Concomitante, e atroce dentro il decoro, si profila la sorte di queste donne «dall'intelligenza lasciata a impigrire nei cortili» ...Di madre in figlia, di figlia in nipote, Sempre intente a girare intorno ai guai che portano i figli, i mariti, gli amanti, i servizi, gli amici, a inventare nuove astuzie per non farsi schiacciare. ..Sposare, figliare, fare sposare le loro figlie che a loro volta si sposano e figliano... voci dell'assennatezza familiare, voci zuccherine e suadenti che sono rotolate lungo i secoli conservando in un nido di piume quell'uovo prezioso che è la discendenza» . Strumenti, veicoli, pezzi accuratamente disposti nel mosaico, funzioni quasi invariabili, esistenze necessarie, produttrici e dimenticate, sono le donne che plasticamente popolano il bel romanzo della Maraini, un'angoscia che serpeggia, piega verso la malinconia perenne, verso la tristezza, verso la solitudine più cieca.
Il fatto che il personaggio-protagonista sia muto, è la escogitazione più producente della scrittrice. Una metafora dentro la metafora.
Marianna non parla, è «sempre dietro alle parole», non sente, però legge e capisce i gesti. Marianna ha un rapporto mediato e indiretto col mondo, con la casa, con la gente.
È la sua fatica di vivere. È una prigioniera.
Sebastiano Addamo
Giornale di Sicilia, 10 aprile 1990
Quando la donna è senza parola
La lunga vita di Marianna Ucrìa è il simbolo delle violenze siciliane (e non) sul modo femminile I risvolti autobiografici.
La lunga vita di Marianna Ucrìa è il simbolo delle violenze siciliane (e non) sul modo femminile I risvolti autobiografici.
di Antonella Caradonna
Oggi alle 17,30 nella sala delle capriate di Palazzo Steri, Dacia Maraini presenterà il suo: La lunga vita di Marianna Ucrìa. Interverranno Gioacchino Lanza Tomasi, Francesca Sanvitale ed Enzo Siciliano. L'autrice di romanzi, come L'Età del malessere, Donna in guerra, Il treno per Helsinki, di testi teatrali e di poesie, ha già incontrato lettori e giornalisti sabato scorso alla libreria Flaccovio. La scrittrice in quest'ultima prova narrativa sembra distaccarsi, per qualche verso, dalle sue opere precedenti. Si respira nel romanzo un'atmosfera diversa, più distesa e rilassata, data sia dall'impianto storico del libro, sia dalla narrazione scorrevole e in più parti descrittiva che rimanda al verismo siciliano dei Viceré e di Mastro don Gesualdo. «Il mio è un libro di odori, di sapori, di immagini», sottolinea la Maraini. Rimangono tuttavia presenti alcuni temi centrali della sua ispirazione.
Una donna sordomuta rimedia alla solitudine e alla parola che la natura le ha negato, rifugiandosi in una biblioteca regno di quel sapere che – a causa della sua condizione di donna – le sarebbe altrimenti precluso. La Maraini, che negli anni caldi del femminismo fu attivamente impegnata nella lotta per il riscatto della donna da una inferiorità in cui una tradizione di tipo maschilista l'aveva relegata, precisa: «Sono contraria alle etichette e rifuggo dalle ideologie prestabilite, ma ho sempre combattuto dalla parte della donna» .
Una "lunga vita", dunque, quella di Dacia Maraini, densa, com'è di ricordi, di esperienze, di incontri unici. Una vita ben diversa da quella di Marianna, «una bambina destinata, come le sorelle e le cugine a sposarsi e ad arricchire di nuovi eredi il casato, oppure a vestire il velo del monacato rifuggendo i piaceri del mondo per dedicarsi alle preghiere, a cuocere i dolci, a ricamare».
Una donna sordomuta rimedia alla solitudine e alla parola che la natura le ha negato, rifugiandosi in una biblioteca regno di quel sapere che – a causa della sua condizione di donna – le sarebbe altrimenti precluso. La Maraini, che negli anni caldi del femminismo fu attivamente impegnata nella lotta per il riscatto della donna da una inferiorità in cui una tradizione di tipo maschilista l'aveva relegata, precisa: «Sono contraria alle etichette e rifuggo dalle ideologie prestabilite, ma ho sempre combattuto dalla parte della donna» .
Una "lunga vita", dunque, quella di Dacia Maraini, densa, com'è di ricordi, di esperienze, di incontri unici. Una vita ben diversa da quella di Marianna, «una bambina destinata, come le sorelle e le cugine a sposarsi e ad arricchire di nuovi eredi il casato, oppure a vestire il velo del monacato rifuggendo i piaceri del mondo per dedicarsi alle preghiere, a cuocere i dolci, a ricamare».
Si parla di La lunga vita di Marianna Ucrìa come del romanzo della nobildonna sordomuta. Non le sembra questo un giudizio restrittivo che nega o per lo meno offusca gli splendidi squarci di vita popolare che pure nel romanzo hanno un certo peso?
«C'è sicuramente un filo conduttore che è la figura di Marianna, tuttavia io considero questo un romanzo corale, in cui gli altri personaggi non sono affatto figure secondarie ma fondamentali. Marianna rappresenta il punto di vista dell'autore e non esisterebbe se non esistessero intorno a lei tutta una serie di altri personaggi, anche popolari, come Fila, ad esempio, la donna regalatale dal padre e che diventerà più tardi la sua compagna di viaggio».
«C'è sicuramente un filo conduttore che è la figura di Marianna, tuttavia io considero questo un romanzo corale, in cui gli altri personaggi non sono affatto figure secondarie ma fondamentali. Marianna rappresenta il punto di vista dell'autore e non esisterebbe se non esistessero intorno a lei tutta una serie di altri personaggi, anche popolari, come Fila, ad esempio, la donna regalatale dal padre e che diventerà più tardi la sua compagna di viaggio».
Quanto si sente vicino alla sua protagonista?
«Credo di dividere con Marianna un grande amore per la lettura ed una odissiaca ansia di ricerca della conoscenza; inoltre ho in comune con lei una certa esperienza della afasia. Anch'io da bambina, al ritorno dal Giappone, scioccata dagli orrori della guerra e dalle privazioni dei campi di concentramento, ho sofferto un lungo periodo di rifiuto di contatto verbale, quasi un rifiuto di ritorno alla normalità. Vedendo, molto tempo dopo, il quadro in cui Marianna era ritratta con un foglietto tra le mani, proprio ad indicare la sua incapacità di comunicazione verbale, mi sono subito sentita vicino a lei. Sapevo quello che provava».
«Credo di dividere con Marianna un grande amore per la lettura ed una odissiaca ansia di ricerca della conoscenza; inoltre ho in comune con lei una certa esperienza della afasia. Anch'io da bambina, al ritorno dal Giappone, scioccata dagli orrori della guerra e dalle privazioni dei campi di concentramento, ho sofferto un lungo periodo di rifiuto di contatto verbale, quasi un rifiuto di ritorno alla normalità. Vedendo, molto tempo dopo, il quadro in cui Marianna era ritratta con un foglietto tra le mani, proprio ad indicare la sua incapacità di comunicazione verbale, mi sono subito sentita vicino a lei. Sapevo quello che provava».
Si è notato, in questi ultimi tempi, un ritorno al romanzo storico: anche lei ha sentito il richiamo del passato o la sua è una scelta casuale?
«Questo è il mio primo romanzo storico, in passato avevo scelto delle ambientazioni storiche, ma solo per quanto riguarda il teatro. Effettivamente è strano che ci siano in questo momento tutti questi romanzi a carattere storico. Non è facile capirne il perché; evidentemente però non è un caso, io non credo alle mode, credo invece che ci siano delle ragioni profonde, delle realtà culturali che determinano scelte precise. Sicuramente esiste un po' in tutto il mondo dell'arte una certa stanchezza del presente, in quanto il presente è continuamente indagato e analizzato dai mezzi di comunicazione di massa attraverso il cinema, la sociologia, la psicanalisi. Sembra che lo scrittore, non potendo più dire nulla di nuovo, scelga di rivolgersi al passato in cerca di ispirazione, una evidentemente però non è un caso, io non credo alle mode, credo invece che ci siano delle ragioni profonde, delle realtà culturali che determinano scelte precise. Sicuramente esiste un po' in tutto il mondo dell'arte una certa stanchezza del presente, in quanto il presente è continuamente indagato e analizzato dai mezzi di comunicazione di massa attraverso il cinema, la sociologia, la psicanalisi. Sembra che lo scrittore, non potendo più dire nulla di nuovo, scelga di rivolgersi al passato in cerca di ispirazione, una sorta di transavanguardia della letteratura».
«Questo è il mio primo romanzo storico, in passato avevo scelto delle ambientazioni storiche, ma solo per quanto riguarda il teatro. Effettivamente è strano che ci siano in questo momento tutti questi romanzi a carattere storico. Non è facile capirne il perché; evidentemente però non è un caso, io non credo alle mode, credo invece che ci siano delle ragioni profonde, delle realtà culturali che determinano scelte precise. Sicuramente esiste un po' in tutto il mondo dell'arte una certa stanchezza del presente, in quanto il presente è continuamente indagato e analizzato dai mezzi di comunicazione di massa attraverso il cinema, la sociologia, la psicanalisi. Sembra che lo scrittore, non potendo più dire nulla di nuovo, scelga di rivolgersi al passato in cerca di ispirazione, una evidentemente però non è un caso, io non credo alle mode, credo invece che ci siano delle ragioni profonde, delle realtà culturali che determinano scelte precise. Sicuramente esiste un po' in tutto il mondo dell'arte una certa stanchezza del presente, in quanto il presente è continuamente indagato e analizzato dai mezzi di comunicazione di massa attraverso il cinema, la sociologia, la psicanalisi. Sembra che lo scrittore, non potendo più dire nulla di nuovo, scelga di rivolgersi al passato in cerca di ispirazione, una sorta di transavanguardia della letteratura».
Quanto di storia e di autobiografia e quanto di finzione poetica c'è nel teatro della memoria di Dacia Maraini?
«I dati storici riguardano la nascita della protagonista, la sua condizione di sordomuta, il matrimonio con il marito, il resto è letteratura. Stavo già scrivendo di un personaggio siciliano e quando ho visto il ritratto ho capito che era lei, ho immediatamente identificato il quadro col mio personaggio. Mi sono messa a cercare notizie, che in fine ho trovato in casa di mio nonno Alliata. C'era un vecchio libro in biblioteca, scritto dalla sorella di lui, Felicita, la quale aveva raccolto informazioni sul passato della famiglia intitolandolo Cose che furono: tra queste c'era la storia di Marianna».
«I dati storici riguardano la nascita della protagonista, la sua condizione di sordomuta, il matrimonio con il marito, il resto è letteratura. Stavo già scrivendo di un personaggio siciliano e quando ho visto il ritratto ho capito che era lei, ho immediatamente identificato il quadro col mio personaggio. Mi sono messa a cercare notizie, che in fine ho trovato in casa di mio nonno Alliata. C'era un vecchio libro in biblioteca, scritto dalla sorella di lui, Felicita, la quale aveva raccolto informazioni sul passato della famiglia intitolandolo Cose che furono: tra queste c'era la storia di Marianna».
Che ricordi ha della Sicilia?
«Sono nata a Firenze, ma sin da piccola ho vissuto a Palermo: abitavamo in via Stabile e frequentavo il Garibaldi. Non ho un bel ricordo di quel periodo e avevo cercato di rimuovere gli anni della mia adolescenza, ma adesso sono qui con un libro sulla Sicilia. La morale è forse che nulla si cancella?».
«Sono nata a Firenze, ma sin da piccola ho vissuto a Palermo: abitavamo in via Stabile e frequentavo il Garibaldi. Non ho un bel ricordo di quel periodo e avevo cercato di rimuovere gli anni della mia adolescenza, ma adesso sono qui con un libro sulla Sicilia. La morale è forse che nulla si cancella?».
Moravia ha parlato di un "neo-realismo ormai fuori moda" riferendosi all'Oscar siciliano; lei condivide questo giudizio?
«Certo Nuovo cinema paradiso non è un film d'avanguardia, propone dei sentimenti tradizionali, però lo fa con molta freschezza e modernità. A me piace molto Tornatore, il suo non è un film vecchio».
«Certo Nuovo cinema paradiso non è un film d'avanguardia, propone dei sentimenti tradizionali, però lo fa con molta freschezza e modernità. A me piace molto Tornatore, il suo non è un film vecchio».
Qualche giorno fa Rai tre ha mandato in onda un servizio realizzato da Tornatore sulla vita di Renato Guttuso, un altro artista bagherese. Che ricordi ha del celebre pittore?
«Conservo ancora un pastello, fatto da Renato all'età di 16 anni, che ritrae appunto una villa di Bagheria. I ricordi su Guttuso mi arrivano comunque tramite mia madre, allora io ero molto piccola. Mia madre mi racconta che era un bellissimo ragazzo, uno sportivo, gli piaceva il mare e il nuoto; loro andavano spesso all'Aspra, quando l'Aspra era ancora una meraviglia».
«Conservo ancora un pastello, fatto da Renato all'età di 16 anni, che ritrae appunto una villa di Bagheria. I ricordi su Guttuso mi arrivano comunque tramite mia madre, allora io ero molto piccola. Mia madre mi racconta che era un bellissimo ragazzo, uno sportivo, gli piaceva il mare e il nuoto; loro andavano spesso all'Aspra, quando l'Aspra era ancora una meraviglia».
Quanto ha influito la sua famiglia, i viaggi con suo padre nella sua formazione di scrittrice?
«Io credo di avere ereditato da mio padre sia la passione per i viaggi che l'amore per la scrittura. La madre di mio padre era inglese ed era una scrittrice, ha pubblicato molti libri in Inghilterra e dunque io vengo da una famiglia in cui la scrittura è una attività naturale. Questa mia nonna, poi, già nel 1911 partì da sola per la Persia, a quei tempi cosa abbastanza inusuale per una donna. Anche mia madre, comunque, è una viaggiatrice, una donna curiosa, cosmopolita. Da lei ho ereditato una certa sensibilità barocca, tradizione tipicamente siciliana, che si svela sia nelle forme architettoniche che nella composizione dei dolci e dei giardini. Di siciliano ho inoltre certe predilezioni in cucina. Mio nonno Alliata scrisse all'inizio del secolo un libro di ricette vegetariane, da poco ristampato da Sellerio. Quando ho un po' di tempo mi diletto a fare la caponata».
«Io credo di avere ereditato da mio padre sia la passione per i viaggi che l'amore per la scrittura. La madre di mio padre era inglese ed era una scrittrice, ha pubblicato molti libri in Inghilterra e dunque io vengo da una famiglia in cui la scrittura è una attività naturale. Questa mia nonna, poi, già nel 1911 partì da sola per la Persia, a quei tempi cosa abbastanza inusuale per una donna. Anche mia madre, comunque, è una viaggiatrice, una donna curiosa, cosmopolita. Da lei ho ereditato una certa sensibilità barocca, tradizione tipicamente siciliana, che si svela sia nelle forme architettoniche che nella composizione dei dolci e dei giardini. Di siciliano ho inoltre certe predilezioni in cucina. Mio nonno Alliata scrisse all'inizio del secolo un libro di ricette vegetariane, da poco ristampato da Sellerio. Quando ho un po' di tempo mi diletto a fare la caponata».
Antonella Caradonna
Noi Donne, maggio 1990
Un silenzio che dice di più
La lunga vita di Marianna Ucrìa, storia di una muta che seppe emanciparsi. E di una aristocrazia al tramonto in una Sicilia struggente.
La lunga vita di Marianna Ucrìa, storia di una muta che seppe emanciparsi. E di una aristocrazia al tramonto in una Sicilia struggente.
di Maria Rosa Cutrufelli
Una figura femminile dall'insolito e straordinario destino vive nelle pagine dell'ultimo romanzo di Dacia Maraini.
È un atto di violenza uno stupro a segnare la vita della piccola Marianna Ucrìa, nata nella prima metà del settecento a Palermo, da ricca e nobile famiglia. Ed è a questo atto di violenza che la bambina reagisce con una prima, fondamentale, definitiva ribellione: Marianna si nega al mondo diventando sordomuta, chiudendosi in se stessa come a proteggere la propria intimità violata. Ma da questa menomazione volontaria seppure inconscia e inconsapevole la bambina trae subito tutti i vantaggi possibili: per comunicare con gli altri impara a leggere e scrivere, concedendosi in questo modo un lusso proibito alle altre donne del suo tempo, il lusso cioè di coltivare la propria mente con i libri. Impara anche a farsi obbedire e, quando il caso lo permetterà, ad amare senza pregiudizi un giovane servitore. Potrà viaggiare e interrogarsi sulle cose del mondo e sulla sua propria irrequietezza. «Dove andrà a casarsi che ogni casa le pare troppo radicata e prevedibile? Le piacerebbe mettersela sulle spalle come una chiocciola e andare senza sapere dove».
Il travaglio interno di Marianna, la sua lunga ricerca della verità, di una chiarezza interiore (è nata così, «mutola», o come le suggerisce una vaga e lontana memoria, lo è diventata per colpa di qualcuno? e di chi?) viene narrato con una pietà partecipe e commossa che rende il linguaggio di questo libro eccezionalmente denso, sensuale e delicato, corposo e immateriale al tempo stesso. Un linguaggio in cui sapientemente si fondono, riproducendo il colore di un'epoca e di un luogo, termini dialettali e termini colti, termini arcaici e moderne strutture sintattiche.
La vicenda di Marianna riempie di sé tutto il libro, che però non è soltanto questo: non è soltanto la storia tragica eppure, in qualche modo, positiva di una donna vissuta in un secolo lontano. È in realtà la saga di una famiglia e la rappresentazione emblematica di una società e di una cultura che non vogliono morire al cambiare dei tempi, che a ogni cambiamento si oppongono con lunga sapienza e tenacia. Solo le donne cambiano, e pretendono vendetta quando il marito le tradisce. «Che ci fai con la vendetta?»,
È un atto di violenza uno stupro a segnare la vita della piccola Marianna Ucrìa, nata nella prima metà del settecento a Palermo, da ricca e nobile famiglia. Ed è a questo atto di violenza che la bambina reagisce con una prima, fondamentale, definitiva ribellione: Marianna si nega al mondo diventando sordomuta, chiudendosi in se stessa come a proteggere la propria intimità violata. Ma da questa menomazione volontaria seppure inconscia e inconsapevole la bambina trae subito tutti i vantaggi possibili: per comunicare con gli altri impara a leggere e scrivere, concedendosi in questo modo un lusso proibito alle altre donne del suo tempo, il lusso cioè di coltivare la propria mente con i libri. Impara anche a farsi obbedire e, quando il caso lo permetterà, ad amare senza pregiudizi un giovane servitore. Potrà viaggiare e interrogarsi sulle cose del mondo e sulla sua propria irrequietezza. «Dove andrà a casarsi che ogni casa le pare troppo radicata e prevedibile? Le piacerebbe mettersela sulle spalle come una chiocciola e andare senza sapere dove».
Il travaglio interno di Marianna, la sua lunga ricerca della verità, di una chiarezza interiore (è nata così, «mutola», o come le suggerisce una vaga e lontana memoria, lo è diventata per colpa di qualcuno? e di chi?) viene narrato con una pietà partecipe e commossa che rende il linguaggio di questo libro eccezionalmente denso, sensuale e delicato, corposo e immateriale al tempo stesso. Un linguaggio in cui sapientemente si fondono, riproducendo il colore di un'epoca e di un luogo, termini dialettali e termini colti, termini arcaici e moderne strutture sintattiche.
La vicenda di Marianna riempie di sé tutto il libro, che però non è soltanto questo: non è soltanto la storia tragica eppure, in qualche modo, positiva di una donna vissuta in un secolo lontano. È in realtà la saga di una famiglia e la rappresentazione emblematica di una società e di una cultura che non vogliono morire al cambiare dei tempi, che a ogni cambiamento si oppongono con lunga sapienza e tenacia. Solo le donne cambiano, e pretendono vendetta quando il marito le tradisce. «Che ci fai con la vendetta?»,
scrive Marianna in uno di quei bigliettini per mezzo dei quali comunica col mondo rivolgendosi alla figlia Giuseppa, quando questa le chiede di far bastonare il marito. «Mi faccio pena e mi voglio ristorare», risponde Giuseppa con un 'antica arroganza di aristocratica ma, anche, con una nuova rabbia di donna.
Un romanzo «storico», dunque? Così potrebbe senz'altro definirsi per il rigore della ricostruzione ambientale e della psicologia dei personaggi, per l'accurata descrizione della vita quotidiana e dei costumi sociali della Sicilia del settecento. Eppure il libro sfugge a una catalogazione così precisa, troppo «stretta». Il fascino dell'invenzione è forte e rende marginale la ricerca e la presentazione di una «verità storica». In questo romanzo la storia non è protagonista ma si trasforma, anzi, in un pretesto per raccontare il grande silenzio di Marianna Ucrìa: un silenzio che non significa sconfitta e rassegnazione ma volontà di resistenza. La resistenza che tante donne, nel corso dei secoli, hanno opposto alla violenza del mondo.
Un romanzo «storico», dunque? Così potrebbe senz'altro definirsi per il rigore della ricostruzione ambientale e della psicologia dei personaggi, per l'accurata descrizione della vita quotidiana e dei costumi sociali della Sicilia del settecento. Eppure il libro sfugge a una catalogazione così precisa, troppo «stretta». Il fascino dell'invenzione è forte e rende marginale la ricerca e la presentazione di una «verità storica». In questo romanzo la storia non è protagonista ma si trasforma, anzi, in un pretesto per raccontare il grande silenzio di Marianna Ucrìa: un silenzio che non significa sconfitta e rassegnazione ma volontà di resistenza. La resistenza che tante donne, nel corso dei secoli, hanno opposto alla violenza del mondo.
Maria Rosa Cutrufelli
Corriere della Sera, 26 marzo 1990
"Marianna Ucrìa" e la memoria sepolta di Dacia Maraini
di Antonio Debenedetti
La Marianna di Dacia – «Un padre e una figlia eccoli lì: lui biondo, bello, sorridente, lei goffa, lentigginosa, spaventata. Lui elegante e trasandato, con le calze ciondolanti, la parrucca infilata di traverso, lei chiusa dentro un corsetto amaranto che mette in risalto la carnagione cerea». Incomincia cosi il nuovo romanzo, intitolato La lunga vita di Marianna Ucrìa, che Dacia Maraini ha ambientato in pieno secolo dei lumi. Un romanzo su scenario storico che, come ha scritto Enzo Siciliano, «va a situarsi di diritto in quella tradizione dove Verga, De Roberto, Lampedusa hanno generato spirito e stile». Ma che cosa racconta l'autrice in queste duecentosessantacinque pagine fitte d'avvenimenti? «Il romanzo narra la storia di una "mutola" che viene sposata a 13 anni allo zio, fratello della madre. Un uomo accidioso, cupo e solitario, che viene chiamato il "gambero" per la sua mania di vestire sempre di rosso» spiega la Maraini. «Ci sono molti fatti: figli che nascono e muoiono, monacazioni, impiccagioni, adulteri, fughe, innamoramenti, feste e funerali. Non si può tuttavia parlare di un vero e proprio intreccio anche se il libro, a detta di tutti, si beve d'un fiato. La lunga vita di
Marianna Ucrìa è anche un romanzo sulla scrittura. Marianna, che è esclusa dal mondo delle parole (perché muta), si accanisce sulla scrittura fino a tirarne fuori i succhi
più amari e segreti. E cosi quella che era una debolezza diventa una forza».
Lei ha mostrato fin qui di prediligere, come scrittrice, le storie che girano e s'incentrano su personaggi femminili. Perché?
«Scelgo personaggi femminili perché sono quelli con cui m'identifico meglio. L'altro da me è un'altra. Ancora non so identificarmi con un protagonista maschile. Forse un
Lei ha mostrato fin qui di prediligere, come scrittrice, le storie che girano e s'incentrano su personaggi femminili. Perché?
«Scelgo personaggi femminili perché sono quelli con cui m'identifico meglio. L'altro da me è un'altra. Ancora non so identificarmi con un protagonista maschile. Forse un
giorno lo farò».
Pur essendo lei di origine siciliana ha, lino adesso, fatto di Roma il centro dei suoi interessi artistici. Non è così?
«Si, certo. Per molti anni ho rifiutato la Sicilia. Mi sono immersa nella realtà romana e non ho mai scritto della Sicilia, esclusione fatta per alcune lontane poesie pubblicate
Pur essendo lei di origine siciliana ha, lino adesso, fatto di Roma il centro dei suoi interessi artistici. Non è così?
«Si, certo. Per molti anni ho rifiutato la Sicilia. Mi sono immersa nella realtà romana e non ho mai scritto della Sicilia, esclusione fatta per alcune lontane poesie pubblicate
da Feltrinelli con il titolo Crudeltà all'aria aperta. Un libro che non si trova più. Adesso, invecchiando, mi è tornata la voglia di ritrovare le mie radici. Questo mio nuovo
romanzo, La lunga vita di Mariana Ucrìa, nasce da una memoria sepolta: la Sicilia per me rappresenta una maternità linguistica e sensoriale mentre Roma è il difficile
presente che cambia tutti i giorni, anche linguisticamente».
Antonio Debenedetti
Corriere della Sera, 11 gennaio 1988
A caccia di passato
di Antonio Debenedetti
Una Marianna del 1700 per Dacia Maraini «Sto lavorando a un nuovo romanzo. Probabilmente, quando sarà finito, lo intitolerò Marianna. La vicenda è ambientata nella Sicilia del 1700 Mi riferisco, come già in un'altra mia opera, Isolina, a una storia vera: quella di una donna, una muta, discendente di una grande e nobile famiglia» racconta Dacia Maraini, riepilogando il suo lavoro. «Vivo, proprio in questi giorni, ore di dubbio: non so se scrivere direttamente di Marianna o se scrivere di me che scrivo di Marianna» precisa la Maraini, di cui è uscito recentemente Stravaganza. Un piccolo libro che ripropone il lavoro teatrale presentato dalla scrittrice al teatro Sala Umberto, lo scorso anno. Stravaganza è andato in scena, nella versione tedesca, proprio in questi giorni a Vienna: prima alla Kultler Haus poi, visto che si tratta d'un dramma sulla follia, è stato presentato all'ospedale psichiatrico della città» informa la Maraini. «Pubblicherò anche, quando avrò finito di correggerli, i testi d'un seminario sulla scrittura e le sue tecniche, che ho tenuto a Roma l'inverno scorso».
Antonio Debenedetti
Il Gazzettino 23 giugno 1990
Marianna
di Cesare De Michelis
«Chiusa in un corsetto amaranto che mette in risalto la carnagione cerea» una bambina guarda attenta, stupida, il padre che la sollecita a sbrigarsi: i suoi occhi indagano
attenti, le sue narici distinguono gli effluvi più diversi, le sue mani si agitano inquiete pronte ad afferrare la penna per intingerla nell'inchiostro. Marianna Ucrìa era «goffa,
lentigginosa», ma vivace e vitale, nonostante che un giorno, improvvisamente, le sue orecchie avessero smesso di sentire e la voce le fosse morta in gola, senza rimedio.
Sorda e muta, si era salvata perché sapeva leggere e scrivere e così il suo dialogo con il resto del monda era continuato in quel modo stravagante, attraverso biglietti e
bigliettini che lei poi conserva in piccole scatole che alimentano la memoria. Marianna era nata a Bagheria nei primi anni del XVIII secolo in una famiglia aristocratica e,
crescendo, diventerà una donna bellissima e una autorevole padrona di casa nonostante la mutilazione che la segna, tanto una donna nella Sicilia settecentesca deve
comunque subire un destino di marginalità se non di emarginazione.
Qualche anno fa due secoli e passa dopo la sua esistenza terrena Dacia Maraini incontra Marianna in un salone di un vecchio palazzo patrizio ritratta in un quadro, dove
Qualche anno fa due secoli e passa dopo la sua esistenza terrena Dacia Maraini incontra Marianna in un salone di un vecchio palazzo patrizio ritratta in un quadro, dove
solenne e altera, con un largo decolleté e una gran croce sul petto, tiene stretto tra le dita uno dei suoi foglietti e quindi ne ascolta la storia singolare da una zia che
raccontando la accompagna. E un vero colpo di fulmine: da quel giorno Dacia e Marianna confonderanno i loro destini, si scambieranno ricordi e pensieri, fino a quando,
compiuta e stampata, La lunga vita di Marianna Ucrìa non diventerà l'ottavo romanzo della Maraini; uno strano e inquietante romanzo storico nel quale finalmente si
sciolgono in una divertita e sapiente costruzione metaforica i nodi più ispidi e aggrovigliati del suo mondo interiore, quelli stessi che è possibile riconoscere in tutti gli altri
sui libri, ma li ancora polemicamente aggressivi, ruvidamente protestatari. Paradossalmente, nessun altro libro di Dacia Maraini è così immediatamente e candidamente
autobiografico come questa vita settecentesca, e la distanza temporale, anziché allontanare la figura di Marianna in uno scenario immaginoso, consente all'autrice di
svelarne i risvolti più umani e persino più teneramente femminili.
Quando, nel 1962, Dacia Maraini pubblicò il suo primo romanzo La vacanza Alberto Moravia definì subito la scrittrice«realista», nel senso che «ama la realtà per quello
Quando, nel 1962, Dacia Maraini pubblicò il suo primo romanzo La vacanza Alberto Moravia definì subito la scrittrice«realista», nel senso che «ama la realtà per quello
che è e non per quello che dovrebbe essere, cioè soltanto e appunto perché è realtà; e non si ritrae di fronte ad alcun aspetto per quanto «imprevisto di questa realtà». La
definizione vale ancora oggi, anzi, calza persino meglio nel caso di questo romanzo «storico», dove l'ossessione della polemica femminista, che, almeno da Memorie di una
ladra (1973) e Donna in guerra (1975), aveva decisamente preso il sopravvento è reimmersa nella varietà dell'esistenza e velata dall'invenzione metaforica. Nella luce
solare del paesaggio siciliano evocata con suggestivi squarci figurativi, nei quali trema l'emozione di una vivida nostalgia, il personaggio di Marianna si scontra con le regole
di un'educazione è di una cultura che imprigionano le donne in un ruolo passivo e subalterno.
La famiglia e, dentro di essa, il padre onnipotente, esercitano senza misericordia il loro potere oppressivo, la loro impietosa violenza, ma Marianna trasforma la sua
La famiglia e, dentro di essa, il padre onnipotente, esercitano senza misericordia il loro potere oppressivo, la loro impietosa violenza, ma Marianna trasforma la sua
mutilazione in un strumento di liberazione: sorda e muta com'è fa suo lo sconfinato universo della scrittura nel quale si deposita la sapienza degli uomini e le è possibile
esprimersi con straordinaria ricchezza. Avvolta nell'ovatta di un silenzio «sterile e assoluto» Marianna raccoglie con gli occhi le parole «come grappoli di una vigna
sospesa" e poi le spreme col pensiero "che gira come una ruota di mulino", finche «in forma liquida si spargano e scorrono felici per le vene». «Gli scritti, si sa, hanno la
pesantezza e la levigata goffaggine delle case imbalsamate», ma al tempo stesso durano intatti nel tempo e consentono di «trepidare con i personaggi che corrono fra le
pagine, bere il succo del pensiero altrui, provare l'ebbrezza rimandata di un piacere che appartiene ad altri».
E proprio a partire da questa trasparente opposizione tra silenzio e scrittura, nella quale si specchia il destino di una donna mutilata e ribelle, che La lunga vita di Marianna
E proprio a partire da questa trasparente opposizione tra silenzio e scrittura, nella quale si specchia il destino di una donna mutilata e ribelle, che La lunga vita di Marianna
Ucrìa si trasforma nel romanzo più sinceramente autobiografico di Dacia Maraini, nel quale i suoi temi più duraturi rivelano la loro interiore complessità: la figura patema
tanto teneramente amata con fanciullesco fervore quanto riconosciuta come «il responsabile della sua mutilazione»; la famiglia tanto ossessivamente violenta «la famiglia
può uccidere?» si domandava negli articoli raccolti sotto il titolo La bionda, la bruna e l'asino (1989) quanto calorosamente vitale; la sensualità tanto mostruosamente
subita quanto imprevedibilmente gratificante.
Affiorano persino, tra le pagine di questo libro, uno struggente desiderio di maternità, una tenerezza affettuosa, dei sospiri d'amore che finora la Maraini aveva
Affiorano persino, tra le pagine di questo libro, uno struggente desiderio di maternità, una tenerezza affettuosa, dei sospiri d'amore che finora la Maraini aveva
ostinatamente represso, restia com'è a qualsiasi vibrazione sentimentale: «non esiste al mondo un calore più dolce delle pietre arenarie di Bagheria che accolgono le luci e
le serbano in grembo come tante lampade cinesi». Marianna si sveglierà a quarant'anni l'età della scrittrice quando accadde che si incontrarono «come una rosa ritardata da
un letargo durato decenni», e pretenderà «la sua parte di miele». L'amore, la fuga, la libertà sono i segnali di questa nuova vita così ricca e piena da illuminare tutta la storia
del suo straordinario chiarore.
«Il passato era una coda che aveva raggomitolato sotto le gonne e solo a momenti si faceva sentire. Il futuro era una nebulosa dentro a cui si intravedevano delle luci da
«Il passato era una coda che aveva raggomitolato sotto le gonne e solo a momenti si faceva sentire. Il futuro era una nebulosa dentro a cui si intravedevano delle luci da
giostra. E lei stava lì, mezza volpe e mezza sirena, per una volta priva di gravami di testa, in compagnia di gente che se ne infischiava della sua sordità e le parlava
allegramente contorcendosi in smorfie generose e irresistibili».
Perché mai una scrittrice «realista», così tesa a scrutare la realtà per coglierne le contraddizioni e i movimenti, abbia trovato proprio in una vicenda del passato l'occasione
Perché mai una scrittrice «realista», così tesa a scrutare la realtà per coglierne le contraddizioni e i movimenti, abbia trovato proprio in una vicenda del passato l'occasione
per confessarsi con sincero candore, non è facile spiegare; non ci riesce neppure l'autrice che tutt'a più suggerisce l'idea di un'indecifrabilità del presente, logorato da troppe
riproduzioni e rappresentazioni. Eppure è proprio nel gioco dell'invenzione metaforica, delle suggestioni allusive, dei travestimenti settecenteschi che il sentimento della
vita di Dacia Maraini acquista nitore e consistenza, si rivela spesso e forte, mescolando dolori e stupori con toni persuasivi e suadenti.
Cesare De Michelis
Il nostro tempo, 6 maggio 1990
Storia di una donna "murata"
di Luca Desiato
Una bambina aspira avidamente profumi e odori: quello che di giaggiolo e sudore rappreso. della madre al risveglio, quello della cipria di riso della parrucca patema. «il
pizzicore della polvere della strada .. e un leggero sentore di mentuccia che sale dai prati di casa Palagonia». Con queste sensazioni olfattive avidamente captate si apre il
bel romanzo di Dacia Maraini "La lunga vita di Marianna Ucrìa. edito in questi giorni dalla Rizzoli. La protagonista. di nobile famiglia siciliana settecentesca ava
dell'autrice è sordomuta. Non lo è dalla nascita, ma. in seguito al trauma di uno stupro subito nella prima infanzia. Odori. sapori, immagini. sono i lacerti captati come un
risarcimento da una vita impedita di espandersi e di godere della normalità. Marianna allora, rivalsa geniale in un secolo che, sotto il velo della tolleranza era in realtà
oppressivo verso la donna, trova un modo di esistere e comunicare oltre l'isolamento imposto dalli menomazione: esiste leggendo libri, imparando lingue, costruendosi con
l'immaginazione e la cultura un mondo fantastico e al contempo reale. Marianna esiste inoltre comunicando con gli altri attraverso bigliettini scritti (una tavoletta taccuino e
calamo li porta appesi con una catenella alla cintura. e li usa di continuo).
La vicenda procede, oggettivai mente e sensorialmente narrata con delicati inserti dialettali nell’impasto della lingua. Per Marianna, secondo l’uso dell'epoca, si combina
La vicenda procede, oggettivai mente e sensorialmente narrata con delicati inserti dialettali nell’impasto della lingua. Per Marianna, secondo l’uso dell'epoca, si combina
un matrimonio. Non potendo essere accasata in modo «normale», a tredici anni nonostante tenti di ribellarsi. viene maritata al vecchio e ricchissimo zio il barone Pietro
Ucrìa. Iniziano le gravidanze e le nascite dei figli: tre femmine e due maschi, tra i quali l'amatissimo Signoretto che morrà precocemente. L'interesse verso le cose belle le
farà costruire una residenza di campagna a Bagheria, diversivo per tenere a distanza il vecchio marito misantropo, goloso e appassionato di araldica. Col passare degli anni,
di una realizzazione di sé, riesce a gustare dolcezza familiare, a frequentare persone umili come fantesche e serventi, a fare tesoro di passati consigli, a lei porti sempre in
forma scritta, da vecchie parenti, riesce a captare di certe persone, con una misteriosa capacità divinatoria il filo del pensiero.
Una comprensione oltre il normale c'è in essa, forse per il fatto di essere «diversa», sapiente nel distinguere il passare dei tempo, nel discernere sotto il formicolare della
Una comprensione oltre il normale c'è in essa, forse per il fatto di essere «diversa», sapiente nel distinguere il passare dei tempo, nel discernere sotto il formicolare della
vita il logorio di tutti: -quel crescere, agitarsi, spingersi, invecchiare e morire che, a prima vista. pare non avere alcun senso perché «il tempo è il segreto che Dio cola agli
uomini». I figli, cresciuti, seguendo la sorte predisposta per i rampolli nobili dell'epoca, verranno sistemati, adolescenti, nel matrimonio o nel convento. Appena
quarantenne Marianna rimane vedova. Ed ecco l'atroce rivelazione: il vecchio marito-zio, era stato lui ad abusare di lei bambina, originandole quel trauma di sordità e
mutismo. Dopo avere per anni resistito alle accensioni dei sensi Marianna si lascerà tentare da un giovane servitore, ma saprà esimersi, abbandonare al momento giusto,
schivare, magari in volontario esilio sotto altri cieli.
La Maraini in questo romanzo ha felicemente messo la sordina a certe asperità precedenti e si è lasciata coinvolgere da una ricca sfaccettata figura femminile, questa
La Maraini in questo romanzo ha felicemente messo la sordina a certe asperità precedenti e si è lasciata coinvolgere da una ricca sfaccettata figura femminile, questa
Marianna Ucrìa, donna murata che vive interiormente la sua menomazione come una sorta di dolce e pregnante pena di vivere.
Partecipe è inoltre la ricostruzione di un'epoca: quella prima metà dei settecento siciliano. sensuosa e ruvida. percorsa da aromi e fetori, mescolanza di raffinatezza e
Partecipe è inoltre la ricostruzione di un'epoca: quella prima metà dei settecento siciliano. sensuosa e ruvida. percorsa da aromi e fetori, mescolanza di raffinatezza e
orrore, non ancora attraversata dalla luce dell'illuminismo: dove l’inferno quotidiano dei poveri, dei malati, dei condannati a morte, dei diseredati è reso ancora più
corrusco dal contrasto col mondo levigato, in realtà tronfio e vessatorio dei nobili. Un mondo variato da un'impalpabile decadenza, consumato da «una sensuale volontà di
corruzione e annientamento». Una vicenda, c'è da aggiungere, che richiama certi romanzi sudamericani, perché sudamericano, per toni, vicende, tagli di luce è il nostro
antico mezzogiorno. Se vogliamo infine trovare un motivo costante di fondo, nella storia di Marianna Ucrìa, questo è In quel senso della morte, nello stordimento dei
profumi, delle immagini e sensazioni visive di un estenuato barocco siciliano. La nota luttuosa è la risonanza più vera: precaria è la vita come la felicità promessa. Una
disperazione dunque? Piuttosto, sembra suggerire la Maraini, un senso di stupore, di pietà viscerale che avvolge i personaggi e la loro concezione del mondo, forse pagana,
forse dolentemente cristiana.
Luca Desiato
L'Arena, 11 aprile 1990
Marianna, come s'affranca una donna
di Gabriella Filippini
Dacia Maraini è una scrittrice attenta ai problemi femminili: negli anni '60 i suoi libri rivelarono il desiderio di libertà e di autonomia della donna. Passando gli anni una
maturità sofferta ed attenta la portò ad analizzare con una nuova profondità le situazioni e soggetti dei suoi romanzi. Un primo romanzo a sfondo storico è stato Isolina, un
omicidio perpetrato contro una povera donna che la borghesia di una città di provincia cercò di far passare sotto silenzio ai primi del ‘900.
Tutto quanto è scrittura l'affascina: giornalista; autrice di testi teatrali: un ritratto di Eleonora de Fonseca Pimentel, e Maria Stuarda tradotto in 15 Paesi. Quest'anno ha
Tutto quanto è scrittura l'affascina: giornalista; autrice di testi teatrali: un ritratto di Eleonora de Fonseca Pimentel, e Maria Stuarda tradotto in 15 Paesi. Quest'anno ha
ritrovato la Sicilia della sua Infanzia, dopo averla per anni rifiutata.
«Quasi mi vergognavo della mia famiglia così antica, vecchio stile – dice la Maraini – poi ho capito la stupidità di questo atteggiamento; ho ritrovato certi luoghi, come
«Quasi mi vergognavo della mia famiglia così antica, vecchio stile – dice la Maraini – poi ho capito la stupidità di questo atteggiamento; ho ritrovato certi luoghi, come
questa bellissima villa costruita in pietra arenaria luminosa dal colore sabbia-arancione ed il ritratto della mia antenata. Questa donna sordomuta mi ha incuriosito, ed è
stato lo spunto per un racconto. divenuto poi un romanzo, La lunga vita di Marianna Ucrìa. Questa duchessa vissuta tra il '600 e il '700. "la mutola" che attraverso una
lunga dimestichezza con i libri della biblioteca scopre nel pensiero la possibilità di dare un valore alla propria esistenza. prima mortificata dalla famiglia, poi soffocata dal
vecchio marito-zio».
La lunga vita di Marianna Ucrìa edito da Rizzoli, è un libro colto e affascinante dove per immettere il lettore nello spirito della vicenda esistono squarci di costume crudi,
ma i punti essenziali potrebbero avvenire anche oggi.
«lnfatti non lo considero un libro storico, perché implicherebbe una impresa storicizzante con un adeguamento alla mentalità del tempo Marianna potrebbe essere una
«lnfatti non lo considero un libro storico, perché implicherebbe una impresa storicizzante con un adeguamento alla mentalità del tempo Marianna potrebbe essere una
donna d'oggi, come sensibilità, come pensiero. anche se è imbrigliata da una società di grande fascino, in un momento di transizione di grandi cambiamenti. Palermo era
una città cosmopolita con la grande esperienza dell'arte europea spagnola, mediterranea. Vi abitarono arabi e normanni perciò è stata anche punto di incontro di grandi
civiltà».
Marianna attraverso la lettura scopre sé stessa; soprattutto il leggere David Hume l'aiuta ad uscire razionalmente dai momenti difficili, che la sua menomazione
ingigantisce. «Cogito ergo cogito», quanto è fondamentale?
«L'affrancamento di Marianna avviene lentamente. E iniziato frequentando la biblioteca, perché essendo sordomuta, doveva imparare a scrivere per comunicare.
«L'affrancamento di Marianna avviene lentamente. E iniziato frequentando la biblioteca, perché essendo sordomuta, doveva imparare a scrivere per comunicare.
Attraverso i libri si crea una conoscenza, una esperienza superiore alle altre donne, cui era vietato istruirsi. La presenza di un pensiero che va in profondità le dà la certezza
che la sua vita non è inutile. Da bambina era considerata un corpo inutile perché "Mutola", ed era cresciuta in questa convinzione, perciò Hume con il suo pensiero le dà la
sensazione di poter esistere e contemporaneamente le infonde forza».
«La ragione è e deve essere schiava delle passioni» è un paradosso di Hume, che lascia sgomenta la protagonista...
«Questa provocazione le mette in moto una serie di pensieri, completamente nuovi, diversi, lontani, da quella che poteva essere la sua educazione. Sono i concetti più
«Questa provocazione le mette in moto una serie di pensieri, completamente nuovi, diversi, lontani, da quella che poteva essere la sua educazione. Sono i concetti più
profondi dell'arbitrio; la mettono di fronte al principio della libertà, che lei impara a conoscere appunto attraverso gli scritti di Hume. Marianna fa tesoro di tutte queste
sollecitazioni, soprattutto perché Hume le dà la misura della libertà del pensiero. Quando lo legge per la prima volta si terrorizza, nasconde il libretto fra le pieghe della
gonna, perché lei sa che per quei pensieri esiste la Santa Inquisizione e il rogo».
La descrizione dei feudi in collina con la natura aspra. ricorda i migliori quadri di Guttuso, quelli ispirati alla sua Sicilia. Esiste un legame tra il vedere e lo scrivere?
«L'immaginazione è legata allo sguardo, per me è fondamentale considerane l'importanza mentre scrivo. Cerco di ricostruire per il lettore un determinato mondo con il
«L'immaginazione è legata allo sguardo, per me è fondamentale considerane l'importanza mentre scrivo. Cerco di ricostruire per il lettore un determinato mondo con il
maggior numero di particolari possibili. Quelle campagne desolate sulle montagne le ho i conosciute nella Sicilia dei primi anni '50. Ho voluto rendere il confronto con la
ricchezza e la bellezza e questa povertà macerata, che improvvisamente si trova davanti questi semidèi con i piatti d'argento, gli abiti di seta: è uno scontro quasi
mitologico. I contadini si sentono mortificati e Marianna lo intuisce,la sua menomazione la rende sensibile al pensiero altrui. Alla fine questo incantesimo viene rotto da una
delle figlie e i diseredati accettano come una stranezza dei signori il loro arrivo in un luogo tanto squallido, quasi fosse una eccentricità. Ho insistito sui particolari,
specificatamente quando si riferivano a Marianna, vedendoli quasi in maniera pittorica: i paesaggi, la natura, le persone e poi gli odori, basilari per una persona sordomuta».
Esiste quasi un legame fra i suoi personaggi femminili di oggi e questa , Marianna in bilico fra due secoli.
«Credo in generale che le donne possano contare su poche cose: non consiglierei di fare affidamento né sui soldi, né sulla posizione sociale, né sul matrimonio. Se una
«Credo in generale che le donne possano contare su poche cose: non consiglierei di fare affidamento né sui soldi, né sulla posizione sociale, né sul matrimonio. Se una
donna vuole essere veramente libera deve basarsi sulla propria forza di carattere e il proprio intelletto, posizione che si ottiene approfondendo la conoscenza. Il pensiero
non è una astrazione, fa parte del corpo femminile, anche se ne siamo state considerate prive; questa è una fondamentale riacquisizione».
Marianna entra nella vita altrui, fruga, cammina nei lunghi corridoi del palazzo di notte. Scopre la propria sensualità, ignorata, fra le braccia di un servitorello. Solo nei
viaggi, nell'appassionata ricerca della novità trova finalmente uno scopo e una logica continuità.
«Credo non sia da sottovalutare l'amore per il servitore, perché lei viene da un'esperienza di negazione totale del proprio corpo. Era stata abituata a considerarsi un corpo
«Credo non sia da sottovalutare l'amore per il servitore, perché lei viene da un'esperienza di negazione totale del proprio corpo. Era stata abituata a considerarsi un corpo
morto, doveva obbedire al marito, occuparsi dei figli, senza mai vivere per se stessa: il suo desiderio era sepolto. L'esperienza che la risveglia da questa specie di letargo è
l'affetto del suo bambino che muore a quattro anni, legato a lei da un affetto assoluto. Il piccolo inventa un linguaggio per poter comunicare fatto con i gesti della tenerezza,
l'affetto materno le fa scoprire dei lati nuovi.
Perciò pensa anche di poter vivere una storia d'amore, anche se naturalmente ha sempre dei sensi di colpa, di inadeguatezza, come hanno spesso le donne. Riesce
Perciò pensa anche di poter vivere una storia d'amore, anche se naturalmente ha sempre dei sensi di colpa, di inadeguatezza, come hanno spesso le donne. Riesce
comunque a vivere questo legame senza sentirsi colpevole fino in fondo. Quando però vede negli occhi della giovane moglie del ragazzo l'accettazione del rapporto, In
cambio del benessere garantito, lei non può più accettare la situazione e parte. Questo andar via è un atto di coraggio, di forza, perché lei rinuncia ad una storia che la
appaga per qualche cosa di più profondo: la libertà».
Gabriella Filippini
Il Resto del Carlino, 25 aprile 1990
Silenzioso trionfo della nobildonna
di Claudio Marabini
Non è tanto la chiave del romanzo storico ad attrarre in questo nuovo libro di Dacia Maraini, quanto l’invenzione rischiosa ma redditizia di una sordomuta. Il romanzo
storico desta sempre qualche perplessità e oggi fa pensare a una fuga dalla realtà e dalle idee, naturalmente quando non sia retto da un forte sentimento e da profonde
ragioni, In questo denso romanzo – romanzo vero e proprio, rispettoso di tutte le norme narrative legate al "genere" – che sino dal titolo richiama le ampie vicende legato
all'esistenza di un personaggio e un ambiente (La lunga vita di Marianna Ucrìa), quello che attrae il lettore di oggi (un lettore che cerca nella narrativa qualcosa di nuovo, o
almeno il tentativo di rinnovare le antiche norme) è proprio il personaggio della protagonista, Marianna Ucrìa, e il suo "punto di vista" schermato dal mutismo e dalla
sordità, affossato in un silenzio tombale: un punto di vista focale, intorno al quale tutto ruota, centro della realtà e costante perno narrativo.
Marianna Ucrìa comunica col mondo solo attraverso bigliettini, e gli altri comunicano con lei alla stessa maniera, i suoi occhi vedono meglio degli occhi degli altri, e le sue
Marianna Ucrìa comunica col mondo solo attraverso bigliettini, e gli altri comunicano con lei alla stessa maniera, i suoi occhi vedono meglio degli occhi degli altri, e le sue
orecchie odono voci e rumori con maggiore acutezza. Ma non si tratta soltanto di un dato meramente fisico, col quale semmai le norme del romanzo tradizionale sarebbero
confermate: si tratta di una sorta di metafisica condizione che, da un iato, apre al personaggio porte inconsuete e, dall'altro, pone la sua femminilità a un vertice di
esaltazione insolita e per qualche verso simbolica, quasi la scrittrice avesse voluto elevare la condizione femminile oggettiva a storica alla condizione carceraria di chi non
può esprimersi e nemmeno ascoltare, e deve vincere l'isolamento e conquistarsi il mondo con mezzi eccezionali. Sia chiaro che la Maraini non fruga metafisicamente in
questa condizione la dipinge, invece, con oggettiva esattezza e con naturalistica "verve". Ma è l'assolutezza della stessa condizione, la sua totalità e la centralità del punto
di vista narrativo, a far sì che, alla lunga, il racconto acquisti una diversa dimensione e si proponga non solo come una vicenda storica ambientata nella Sicilia del
Settecento, ma anche come la rappresentazione di una condizione che scavalca la realtà e investe pienamente quella della donna vista per se stessa, padrona delle cose solo
in parte ma privata della parola e dell'udito Non è necessario conoscere la posizione della Maraini su certe questioni "civili" riguardanti la donna oggi per avvertire nelle
fibre del racconto qualcosa di più rispetto ai fatti e nel personaggio di Marianna quel che si deve proprio chiamare un "messaggio", reso peraltro implicitamente eloquente,
garbatamente positivo.
Ci troviamo dunque nei dintorni di Palermo e nella stessa capitale e il racconto accompagna la protagonista per i lunghi anni dell'infanzia, della giovinezza, sino al
Ci troviamo dunque nei dintorni di Palermo e nella stessa capitale e il racconto accompagna la protagonista per i lunghi anni dell'infanzia, della giovinezza, sino al
matrimonio con lo zio -marito, alla nascita dei non pochi figli, e sino alla scoperta del vero amore, amore "silenzioso" ma vivamente parlante, per il famiglio Saro, bellissimo
giovane, un amore che nell'intimo della grande casa si trasforma in tresca fatale, ragione per cui la forte sordomuta decide di partire. tagliare ogni filo con la sua terra. il suo
ambiente e il suo passato, e approdare a un altro avvenire. È l'avvenire infatti che le si para dinnanzi sulla riva romana del Tevere, non un possibile suicidio, un avvenire
tanto enigmatico quanto libero e gravato di ansia.
È ribadita qui la condizione femminile incarnata da Marianna? Diremmo di sì, essendo Marianna oramai sradicata, padrona di se stessa e del suo destino, e trovandosi
È ribadita qui la condizione femminile incarnata da Marianna? Diremmo di sì, essendo Marianna oramai sradicata, padrona di se stessa e del suo destino, e trovandosi
definitivamente alle spalle le vicende che hanno lacerato la sua vita e quella della sua città e della sua terra: le vicende che hanno aggrumato sulle pagine della Maraini
densi colori, alcuni molto vivi e violenti, fitti di autorità. di forche, di accoltellamenti e altro, magari con le catacombe dei Cappuccini sullo sfondo, rallegrate dei cadaveri
che tutti conoscono Vicende che la pagina e lo stile sapientemente delineano dietro quel velo perenne, che fa di Marianna un personaggio eccezionale.
E infatti Marianna non solo sta dietro questo velo naturale ma un altro se ne crea attraverso la lettura e la scrittura, diventando una persona colta, smaliziata sui libri,
E infatti Marianna non solo sta dietro questo velo naturale ma un altro se ne crea attraverso la lettura e la scrittura, diventando una persona colta, smaliziata sui libri,
conoscitrice, tra l'altro, della filosofia di Hume e dei testi poetici della grande tradizione cavalleresca. Emarginata dalla natura, questa femmina se la riconquista e
attraverso di essa si fa padrona della sua vita. Ciò che ha formato il contenuto della sua esistenza è caduto a terra come una crosta. Quello che rimane è un vero simulacro
di libertà. seppur dolorosa.
Claudio Marabini
Il Venerdì di Repubblica, 21 settembre 1990
Lunga vita al piccolo guerriero
di Daniela Pasti
Dice Dacia Maraini che il suo ultimo romanzo La lunga vita di Marianna Ucrìa, premiato i giorni scorsi con il premio Campiello, le è stato suggerito da un quadro che
decorava il salone di Villa Valguarnera a Bagheria. Era il ritratto di una nobildonna dallo sguardo intenso, che stringeva in mano un bigliettino scritto. La muta
provocazione di quello sguardo, la curiosità per quello strano foglietto la spinsero ad interessarsi del personaggio raffigurato: Marianna Alliata di Valguarnera, una antenata
di parte materna, vissuta a Palermo a cavallo fra il Sei e Settecento e andata sposa all'età di tredici anni. Sordomuta fin dall'infanzia, Marianna comunicava con gli altri per
scritto, seminando il suo passaggio di bigliettini.
L'incontro della scrittrice con la sua ava è stato fortunato: partendo da queste poche informazioni biografiche Dacia Maraini ha infatti costruito il suo romanzo più ricco e
L'incontro della scrittrice con la sua ava è stato fortunato: partendo da queste poche informazioni biografiche Dacia Maraini ha infatti costruito il suo romanzo più ricco e
uno dei personaggi più riusciti della galleria femminile che anima le sue opere. L'isolamento in cui è costretta Marianna la salva dall'ignoranza cui sono condannate le
donne; spinta dal silenzio proprio e del mondo verso i libri, la protagonista acquista sapienza e coscienza di sé e degli altri, smussa i suoi Iati più spigolosi, matura tenerezza
e comprensione. Il mutismo della protagonista può, volendo, essere preso a simbolo del silenzio storico delle donne, della loro cancellazione dalla scena del mondo; nella
condizione di Marianna, violentata a sei anni e precipitata nella menomazione dal violento choc, sposata a tredici anni contro il suo volere, costretta a subire i freddi
amplessi di un marito irrigidito in una stupidità arrogante, si possono cogliere i passaggi tragici di tante vite femminili non solo nel sud d'Italia e non solo del passato; della
sua finalmente libera maturità, della conseguente scoperta e accettazione dei propri desideri, della consapevole scelta dell'amore sensuale, colpisce il riconoscimento di
esperienze largamente condivise da donne che la crescita dei figli, il distacco dal compagno o semplicemente l'età matura liberano da ruoli costrittivi o condizionanti.
E tuttavia, per fortuna, La lunga vita di Marianna Ucrìa non è un pamphlet ideologico, non ha asprezze né forzature, è invece un romanzo affettuoso, soffice e ben lievitato
E tuttavia, per fortuna, La lunga vita di Marianna Ucrìa non è un pamphlet ideologico, non ha asprezze né forzature, è invece un romanzo affettuoso, soffice e ben lievitato
come un pane fragrante. Gli inizi letterari di Dacia Maraini furono segnati dalla polemica e dallo scandalo. Il pubblico borghese era choccato dal suo scrivere liberamente di
sesso; le sue poesie, dove erano citate parole come sperma, vennero perseguite nelle aule dei tribunali, e anche fra gli intellettuali la bella ragazza bionda e silenziosa era
guardata con diffidenza, sospettata di cercare nell'unione con Moravia, tanto più vecchio di lei, un appoggio autorevole per farsi strada nel mondo della letteratura. Il
premio Formentor che le venne assegnato nel 1963 per il romanzo L'età del malessere suscitò furibonde polemiche e vere aggressioni verbali nei confronti dell'autrice.
Dura come un piccolo guerriero, Dacia Maraini ha resistito ad attacchi che avrebbero distrutto altre volontà meno tenaci della sua. Ha continuato tranquillamente a
Dura come un piccolo guerriero, Dacia Maraini ha resistito ad attacchi che avrebbero distrutto altre volontà meno tenaci della sua. Ha continuato tranquillamente a
provocare con le sue allarmanti storie di donne, con le sue serene dichiarazioni di bisessualità, con la sua difesa intelligente e puntuale del femminismo anche quando è
sembrato un movimento fuori moda e fuori dai salotti. Dando prova di una straordinaria capacità di lavoro è stata in questi anni presente nei molti campi della scrittura: dal
giornalismo alle sceneggiature al teatro alla prosa alle traduzioni, ma senza mai perdere il suo amore per la letteratura, un amore che ci restituisce in questo romanzo della
maturità, vincitore di un premio che nessuno si è sognato di contestare.
Daniela Pasti
Europeo, 21 settembre 1990
Dacia Maraini vincitrice del campiello con "La lunga vita di Marianna Ucrìa"
Perché anch’io sono stata muta
Perché anch’io sono stata muta
di Stella Pende
Così Dacia Maraini, "piccolo e rosso scoiattolo» ha vinto il Campiello 1990. Il suo primo vero premio. E quando va sul palcoscenico dei giurati a prenderselo, fasciata
nell'abito nero senza mode, regala al pubblico un sorriso intero pieghettato di lentiggini. Poi scappa a nascondersi come sempre. I piccoli scoiattoli, si sa, non sopportano le
luci della ribalta.
Dacia ha vinto con un romanzo di storia e d'amore La lunga vita di Marianna Ucrìa. Racconto di una bambina principessa e siciliana, di una donna «mutola» che fa del suo
Dacia ha vinto con un romanzo di storia e d'amore La lunga vita di Marianna Ucrìa. Racconto di una bambina principessa e siciliana, di una donna «mutola» che fa del suo
silenzio una fontana di vita e di vitalità. Di libertà e di forza. Marianna non può dire, non può esprimere ma affina e affila i suoi sensi. Odora, sente, cattura i pensieri degli
altri, vive più degli altri. Guarda e si lascia guardare. Diventa signora di sé stessa. AI contrario di quella moltitudine di figli, di madri, di zii che le stanno intorno, piccoli
schiavi delle loro parole, prigionieri veri dei loro rumori. E tutto in quell'affresco terribile e meraviglioso di colori e di sensualità, di giardini e di palazzi, di aliti e di abiti, di
ricchezza e di miseria che è la Sicilia del primo Settecento. Marianna non potrà più parlare. «Quella cosa» le è accaduta una volta per sempre e l'ha chiusa nel silenzio. Ma
suo padre le fa dono di un astuccio d'argento c di una penna. Suo padre le regala la scrittura. E attraverso quella la piccola mutola parlerà. Urlerà i suoi sensi e la sua
intelligenza. Solo a chi sa scrivere però. A chi sente e cova dentro l'inchiostro e la carta.
«Questo», dicono Rossanda e Vigorelli e molti critici nobili, «è il primo grande romanzo di Dacia Maraini», quello che farà perfino rivivere i suoi testi di prima così poco
«Questo», dicono Rossanda e Vigorelli e molti critici nobili, «è il primo grande romanzo di Dacia Maraini», quello che farà perfino rivivere i suoi testi di prima così poco
considerati. Forse Marianna, dico io, è il libro che a Dacia assomiglia di più. Che per la prima volta ha vinto il pudore di toccarsi, di farsi vedere. Perché anche Dacia è
donna di silenzio, anche Dacia è stata tanto discreta di se stessa, dei sentimenti, dei lavori, da diventare quasi invisibile, indifferente. Muta. Ma la sua tenacia e la sua forza
Ci sono state sempre. Da sempre sta dentro all'impegno delle donne. Ha costruito luoghi, fondato gruppi, toccato temi coraggiosi.
Ogni volta conservando la misura e la voglia. di analisi, e quella fragile grazia di adolescente che l’ ha fatta sempre presente e mai protagonista.
Anche Dacia come Marianna ha trovato nella scrittura la voce. Quella voce balbettata, sputata dal cuore di una bimba tritata per sempre d'al campo di concentramento. Ha
Ogni volta conservando la misura e la voglia. di analisi, e quella fragile grazia di adolescente che l’ ha fatta sempre presente e mai protagonista.
Anche Dacia come Marianna ha trovato nella scrittura la voce. Quella voce balbettata, sputata dal cuore di una bimba tritata per sempre d'al campo di concentramento. Ha
trovato una via. Una via senza scorciatoie. I suoi sette romanzi (l'età del malessere, A memoria, Storia di Piera...), le opere di teatro (I sogni di Clitemnestra...), i saggi
d'avanguardia erano testi poco popolari, certo poco furbi. Ma erano I temi, le persone, le idee che toccavano i suoi veri interessi. «Erano», come dice lei, «la mia piccola e
cocciuta battaglia per la giustizia».
E infine una via invasa di ombre. L'uomo della vita, Alberto Moravia, grande scrittore, grande persona, la moglie di lui, Eisa Morante, unica scrittrice, unica donna.
E infine una via invasa di ombre. L'uomo della vita, Alberto Moravia, grande scrittore, grande persona, la moglie di lui, Eisa Morante, unica scrittrice, unica donna.
Caratteri, colori, successi forti. Fantasmi immortali. Che per anni forse hanno schiacciato la sua libera e discreta esistenza. Che forse hanno insidiato la tenacia e la cultura,
la fantasia e la passione. Talenti che oggi fioriscono insieme, improvvisamente liberati e ormai infrangibili in questo nuovo libro.
Dacia, è la prima grande vittoria. Come si sente?
«Più sicura... solo un filo però... Vede, io ho fatto un percorso al contrario. Per gli altri l'infanzia e l'adolescenza sono la culla fatata, il ricordo, poi arriva la maturità e con
«Più sicura... solo un filo però... Vede, io ho fatto un percorso al contrario. Per gli altri l'infanzia e l'adolescenza sono la culla fatata, il ricordo, poi arriva la maturità e con
quella le durezze della vita. Per me solo oggi, a cinquantatré anni, arriva un po’ di quiete. Oggi forse mi riprendo la spensieratezza e l'incoscienza di quella bambina che ha
visto l'inferno».
L'inferno?
«Avevo sei anni e stavamo in Giappone, Poi arrivò la guerra e ci portarono nel campo di concentramento di Nagoya. Due case nude come due lame. Un bombardamento
«Avevo sei anni e stavamo in Giappone, Poi arrivò la guerra e ci portarono nel campo di concentramento di Nagoya. Due case nude come due lame. Un bombardamento
eterno. Guardavo il cielo e le bombe che cadevano erano per me gli escrementi neri di quei terribili aerei. Avevamo tutte le malattie della fame: scorbuto, anemia, beri-beri.
Piccoli fantasmi viola. Le guardie giapponesi nascondevano i rifiuti piuttosto che darli a noi. Poi ci spiegavano come ci avrebbero sgozzati se la guerra fosse stata vinta.
Allora mia madre ci portava via e ci raccontava storie meravigliose, costruiva per noi giocattoli con i sassi. Ma non bastava. Il terrore di quegli anni mi ha tolto la certezza
di vivere. Di essere. Ero sicura che sarei morta o almeno rimasta storpia e inutile. E questa certezza me la sono portata dentro per tutta la vita. Dopo mi era impossibile
parlare. Un'afasia cronica. Balbettavo.»
Dunque è vero, Marianna è lei?
«Non proprio. Marianna è davvero esistita. Mia madre si chiamava Alliata, Avevamo una casa meravIgliosa in Sicilia a Bagheria: Villa Valguarnera. Li ho scovato un
«Non proprio. Marianna è davvero esistita. Mia madre si chiamava Alliata, Avevamo una casa meravIgliosa in Sicilia a Bagheria: Villa Valguarnera. Li ho scovato un
ritratto di una bambIna bella, rIgIda nel suo costume da cerimonia, Si chiamava Marianna Alliata e teneva stretto un foglietto in mano. Così ho cercato la storia, ho
scoperto l'enigma. Marianna parlava scrivendo. Sì, dentro di lei c'è un po' di me. Il mio patto col silenzio. Quella maniera di stare sempre dietro, di non potere apparire. Ma
soprattutto l'amore per il padre».
Ma il signor padre di Marianna è duro. inquietante. complice di violenze.
«A modo suo la guarda. La ama. E con il suo regalo di carte e penne la salva. Ero innamorata anche io di mio padre. Non della sua protezione, lui faceva l'antropologo. non
«A modo suo la guarda. La ama. E con il suo regalo di carte e penne la salva. Ero innamorata anche io di mio padre. Non della sua protezione, lui faceva l'antropologo. non
c'era mai, ma della sua assenza, degli odori che mi portava, di terre lontane, di stazioni, di mele. A lui devo la curiosità, il coraggio della diversità, dell'autonomia. La voglia
di sapere e di leggere».
I critici dicono che è solo questo il suo primo romanzo.
«Davvero? Non credo, Diciamo che questo mi ha portato fuori una parte di me che avevo censurato. La Sicilia che ho vissuto negli anni '50 era feroce. Mi avevano
«Davvero? Non credo, Diciamo che questo mi ha portato fuori una parte di me che avevo censurato. La Sicilia che ho vissuto negli anni '50 era feroce. Mi avevano
insegnato a scegliere, a sbagliare. Le ragazze siciliane stavano legate ai letti. E poi ipocrisia, violenza. orrori, mi hanno fatto cancellare quegli anni. Poi il viaggio sei anni fa
e la scoperta che quella terra, quei colori, quella sensualità crudele, quella gente erano ricordi vivi. Miei, E la resa».
[…]
Marianna è salvata dalla scrittura. E per Dacia cosa vuoi dire scrivere?
«Siciliano dice: "Scrivere è un destino. Un destino che nasce da un'amputazione che la vita ha inferto». È vero. Ma poi questa ferita la vita la chiude Potevo rimanere
«Siciliano dice: "Scrivere è un destino. Un destino che nasce da un'amputazione che la vita ha inferto». È vero. Ma poi questa ferita la vita la chiude Potevo rimanere
nevrotica, Impaurita. Muta. E invece oggi parlo, scrivo. Come Marianna. Scrivere è vincere».
Stella Pende
La Sicilia, 28 marzo 1990
Il riscatto dal silenzio
di Angelo Pizzuto
«È la prima volta che in un mio romanzo parlo della Sicilia; o meglio che vi stabilisco un'ambientazione capace di essere spazio della memoria, gioco evocativo,
rivisitazione di fantasmi arcani e vitalissimi, avvolti dal mistero ma nello tesso tempo accessibili alla mia fantasia». Alla vigilia di un tour di presentazioni, conferenze,
incontri con i lettori, in occasione del suo ultimo romanzo La lunga vita di Marianna Ucrìa, Dacia Maraini anticipa alcuni dei temi conduttori, degli avvincenti fili narrativi
che fanno da tessitura a questa lunga saga di vicissitudini isolane, ambientate nella Palermo della prima metà del Settecento e che hanno per protagonista una fanciulla
dell'aristocrazia isolana avviata al matrimonio di convenienza al compimento del tredicesimo anno.
Qual è stato il motivo di ispirazione di questo romanzo, che è in parte un grande affresco storico, in parte una delicata orditura di sentimenti, solitudini, amori incompresi?
«Tutto ebbe inizio oltre cinque anni fa, visitando la villa Valguarnera di Bagheria, dove da piccola avevo soggiornato con mia madre, che apparteneva alla famiglia degli
«Tutto ebbe inizio oltre cinque anni fa, visitando la villa Valguarnera di Bagheria, dove da piccola avevo soggiornato con mia madre, che apparteneva alla famiglia degli
Alliata proveniente dalla nativa Firenze A Villa Valguarnera vissi circa otto anni, prima di trasferirmi con la famiglia in Giappone Ma furono anni affascinanti, meravigliosi,
densi di incanto, di sortilegi, di profumi irripetibili. La mia adolescenza a Villa Valguarnera era popolata di parenti, cugini, zii, pronipoti; chi più chi meno latori di vicende e
leggende legate alla tradizione di famiglia. La fantasia di una ragazza fa presto ad infiammarsi e far tesoro di queste testimonianze Le quali finiscono, quasi sempre, per
essere rimosse dalle successive esperienze di vita; ma anche ridestate da episodi fulminei ed imprevedibili .»
Uno dei quali, se non erro, fu quello che diede l'incipit al romanzo?
«Accennavo al mio ritorno a Villa Valguarnera. Girando per stanze e saloni, accompagnata da una vecchia zia, mi trovai al cospetto di un ritratto suggestivo e sibillino,
«Accennavo al mio ritorno a Villa Valguarnera. Girando per stanze e saloni, accompagnata da una vecchia zia, mi trovai al cospetto di un ritratto suggestivo e sibillino,
intenso e remoto allo stesso tempo: era l'effige di Marianna antenata di famiglia, vestita in abito di cerimonia, poco più che bambina, con la mano stretta ad un foglietto
scritto».
Era quello un segreto di famiglia?
«Marianna, che nella finzione letteraria assume un altro cognome, era sordomuta ma dotata di straordinaria intelligenza e voglia di comunicare col mondo. Il foglio che
«Marianna, che nella finzione letteraria assume un altro cognome, era sordomuta ma dotata di straordinaria intelligenza e voglia di comunicare col mondo. Il foglio che
teneva in mano era il simbolo ed il mezzo del suo relazionare con gli altri.»
Il romanzo ha una cadenza soprattutto corale, pur mantenendo intatto il primato di Marianna Ucrìa. Si tratta di un personaggio, a suo modo, emblematico di una certa
condizione femminile?
«Indubbiamente Palermo, nel '700, era una città erudita, cosmopolita, ricca di fermenti culturali e di esperienze artistiche. Il rispetto che l'aristocrazia maschile nutriva nei
«Indubbiamente Palermo, nel '700, era una città erudita, cosmopolita, ricca di fermenti culturali e di esperienze artistiche. Il rispetto che l'aristocrazia maschile nutriva nei
confronti della donna era innegabile, ma circoscritto in un ambito di formalità, galanteria, buone maniere Alle donne, in sostanza, era precluso l'accesso al sapere, molte
volte l'alternativa al matrimonio restava la via del convento: e ciò era motivo di grande disagio e sperequazioni psicologiche. Ecco allora Marianna Ucrìa farsi simbolo di un
riscatto che passa attraverso la sete di conoscenza, l'accesso alla biblioteca di famiglia, il rifiuto del matrimonio quale tomba dei sentimenti e della gioia di vivere» .
Il suo personaggio vive una vita normale e rispettata, madre di otto figli e consorte di un uomo di prestigio. In realtà i suoi fermenti sono altri?
«Marianna impara di latino, di greco e di francese. La sua menomazione la induce ad essere una acuta osservatrice. Ed inoltre le letture che essa fa di autori come Vico,
«Marianna impara di latino, di greco e di francese. La sua menomazione la induce ad essere una acuta osservatrice. Ed inoltre le letture che essa fa di autori come Vico,
Pascal, David Hume non possiamo non ampliare gli orizzonti della sua coscienza. È a questo punto che nel romanzo insorge il gusto dell'intreccio, della trasgressione, del
grande amore: tutto scandito da un inesorabile alternarsi di giorni che parlano di nascite e di morti, di festeggiamenti e di lutti».
Il suo libro è solo frutto di fantasia?
«Molto più di quanto si possa credere. Certamente mi sono documentata il più possibile, sia percorrendo gli annali della mia famiglia materna, sia facendo tesoro di volumi
«Molto più di quanto si possa credere. Certamente mi sono documentata il più possibile, sia percorrendo gli annali della mia famiglia materna, sia facendo tesoro di volumi
del Pitré dedicati agli usi e costumi del popolo di Sicilia. Ma il contributo dell'immaginazione, dell'ipotesi letteraria restava insopprimibile».
Lei torna al romanzo dopo cinque anni di silenzio dall'ultimo Isolina, e qualche poesia pubblicata su riviste specializzate. Considera La lunga vita di Marianna Ucrìa un
momento di convergenza di esperienze precedenti?
«Sicuramente è stato necessario far coincidere l'ispirazione poetica con il gusto della descrizione e con la capacità evocativa di un affresco storico.»
«Sicuramente è stato necessario far coincidere l'ispirazione poetica con il gusto della descrizione e con la capacità evocativa di un affresco storico.»
Hai mai pensato a romanzi che hanno fatto scuola quali I Viceré o Il Gattopardo?
«Sono letture che ho apprezzato e maturato a tempo debito, e sarei felice se il mio romanzo potesse iscriversi nella grande tradizione del romanzo a sfondo meridionale. Le
«Sono letture che ho apprezzato e maturato a tempo debito, e sarei felice se il mio romanzo potesse iscriversi nella grande tradizione del romanzo a sfondo meridionale. Le
cornici storiche e la sensibilità di scrittura sono, nel mio caso, del tutto diverse ed autonome rispetto a questi grandi modelli Non tralascerei, tuttavia, la grande lezione
verghiana. Chi leggerà il mio romanzo si accorgerà che il giro d'orizzonte non comprende solo la cerchia dei nobili e dei possidenti, ma anche la miseria dei contadini, dei
salariati, di chi vive da sempre all'ombra del potere».
Lei di sovente torna in Sicilia. Cosa è rimasto e cosa è cambiato dagli anni della sua adolescenza?
«Molti sapori ed odori sono inalterati: soprattutto il profumo del mare e dei gelsomini. Ma lo scempio ecologico ha pressoché distrutto quei fiumi, quella vegetazione, quelle
«Molti sapori ed odori sono inalterati: soprattutto il profumo del mare e dei gelsomini. Ma lo scempio ecologico ha pressoché distrutto quei fiumi, quella vegetazione, quelle
ridenti vallate che rendevano la Sicilia uno spicchio di paradiso terrestre Lo dico con convinzione non per retorica o nostalgia».
Angelo Pizzuto
Il Gazzettino, 10 settembre 90
Donna Uomo Romanzo
di Ivo Prandin
Mentre il coro dei monaci di Mosca, l'altra sera nel cortile di Palazzo Ducale, pregava col canto profondo di una religiosità che risorge, e il ventottesimo Campiello si
chiudeva nel diminuendo delle luci televisive, Dacia Maraini assaporava, quasi rannicchiata nella sedia, il trionfo del suo romanzo La lunga vita di Marianna Ucrìa appena
proclamato vincitore del SuperCampiello: dieci milioni e una serigrafia di Vedova ma soprattutto una fortissima spinta alle vendite.
Proprio in quel momento magico abbiamo colto la scrittrice per riparlare del libro. «Sono contentissima», ha cominciato, e subito ha aggiunto: «Ho avuto un po' di angoscia
Proprio in quel momento magico abbiamo colto la scrittrice per riparlare del libro. «Sono contentissima», ha cominciato, e subito ha aggiunto: «Ho avuto un po' di angoscia
durante lo spoglio delle schede. Poi ho visto che i voti crescevano, crescevano e allora...»
È stato detto che questo libro è un documento poetico sulla scrittura. Si può aggiungere che è un libro sulla femminilità della scrittura?
«Forse, non so... Quello che si può dire con sicurezza è che Marianna Ucrìa mette in evidenza il punto di vista di una donna che ha a che fare con la scrittura, con i segni,
«Forse, non so... Quello che si può dire con sicurezza è che Marianna Ucrìa mette in evidenza il punto di vista di una donna che ha a che fare con la scrittura, con i segni,
col linguaggio del corpo. Ecco: più che la femminilità, è l'ottica di una donna nei riguardi del mondo».
Linguaggio del corpo: detto di una donna vissuta nella Sicilia del 1700 non è soltanto una invenzione letteraria, è qualche cosa che riflette un altro tempo, per esempio il
nostro?
«Si, c'è qualcosa che... diciamo che c'è la continuità»...
«Si, c'è qualcosa che... diciamo che c'è la continuità»...
Qualche cosa, o molto?
«Questo è il lettore che deve sentirlo. lo, più che suggerirlo... lo l'ho vissuto! E il lettore che lo sente, e non posso dire con quale intensità».
«Questo è il lettore che deve sentirlo. lo, più che suggerirlo... lo l'ho vissuto! E il lettore che lo sente, e non posso dire con quale intensità».
Vivere con un personaggio che appartiene a un altro tempo, a un' altra storia e dura, vero?
«È stata una grossa fatica, sì, perché ho dovuto immedesimarmi in quell'atmosfera, in quella certa persona vera e viva: ci ho messo anni per imparare, per entrare in quel
«È stata una grossa fatica, sì, perché ho dovuto immedesimarmi in quell'atmosfera, in quella certa persona vera e viva: ci ho messo anni per imparare, per entrare in quel
mondo».
Per imparare ad essere Marianna, cioè un' altra donna?
«Sì, per essere lei, senza orecchie e senza bocca. È stato arduo: ora che è finito, posso dirlo».
«Sì, per essere lei, senza orecchie e senza bocca. È stato arduo: ora che è finito, posso dirlo».
Insomma, hai dovuto diventare sordomuta.
«In un certo senso, sì. Però tutto questo processo di immedesimazione non è stato senza compenso, mi ha insegnato parecchie cose».
«In un certo senso, sì. Però tutto questo processo di immedesimazione non è stato senza compenso, mi ha insegnato parecchie cose».
Come, per esempio, sentire o vedere in modo diverso dall'ordinario?
«Beh, sì. C'è per esempio la faccenda della porta che per Marianna e motivo di angoscia: facendo il libro, io ho capito che un sordomuto non sa mai chi c'è dietro una porta
«Beh, sì. C'è per esempio la faccenda della porta che per Marianna e motivo di angoscia: facendo il libro, io ho capito che un sordomuto non sa mai chi c'è dietro una porta
chiusa. Noi di solito bussiamo e qualcuno ci risponde 'Chi è?' Ma questo è come se non avvenisse per chi non sente e non parla. Quindi la porta è una sorpresa, sempre. È
un piccolo particolare, ma non l' avrei saputo se non fossi entrata nella pelle di Marianna. C'è un cammino all'interno del libro, un cammino mio».
Il particolare della porta, però, diventa anche simbolico.
«Anche, sì. Sicuramente è simbolico di una situazione in cui il silenzio è metaforico, chiaramente».
«Anche, sì. Sicuramente è simbolico di una situazione in cui il silenzio è metaforico, chiaramente».
È il silenzio sulle donne?
«Sulle donne e delle donne».
«Sulle donne e delle donne».
Silenzio duro e traslucido come un blocco di ghiaccio...
«Un silenzio anche imposto, e diventato parte della cultura femminile».
Per chiudere, c' è una frase di Sebastiano Vassalli, il secondo autore più votato delle «cinquina» per La chimera (Einaudi). «Tracciando il bilancio della vita di un uomo»
«Un silenzio anche imposto, e diventato parte della cultura femminile».
Per chiudere, c' è una frase di Sebastiano Vassalli, il secondo autore più votato delle «cinquina» per La chimera (Einaudi). «Tracciando il bilancio della vita di un uomo»
dice «il poeta Gòngora diceva che restavano: terra, polvere, fumo, ombra, nulla. Io, che sono considerato pessimista, credo di essere straordinariamente ottimista perché a
quei cinque terribili sostantivi ne aggiungo un altro: cioè l'uomo è qualche volta romanzo, il suo romanzo».
Ivo Prandin
L'Unità, 7 marzo 1990
"Il Settecento delle donne? Un secolo muto"
di Monica Ricci Sargentini
Sicilia, prima metà del Settecento, una grande famiglia palermitana come tutte le altre, irrigidita nelle tradizioni e negli obblighi dell'epoca: una vita fatta di matrimoni,
banchetti, parti, monacazioni, impiccagioni e squartamenti. A rompere questa rigida,tranquillità, la presenza di una bambina sordomuta che riesce a fare della sua
menomazione una grande arma di libertà. Le vicende di questa donna straordinaria sono raccontate nel nuovo libro di Dacia Maraini: La lunga vita di Marianna Ucrìa,
edito da Rizzoli.
Come mai proprio un romanzo storico?
«È stato un caso – racconta l'autrice mi trovavo a Bagheria, vicino a Palermomo, nella Villa dei Valguarnera, dove ero già stata da piccola. In uno dei saloni c'era un quadro
«È stato un caso – racconta l'autrice mi trovavo a Bagheria, vicino a Palermomo, nella Villa dei Valguarnera, dove ero già stata da piccola. In uno dei saloni c'era un quadro
che rappresentava una donna. Mi colpì molto il suo sguardo un po' assente e al tempo stesso penetrante. La donna stringeva un foglietto fra le mani. Mi dissero che era
Marianna Alliata Valguarnera, la contessa che aveva fatto costruire la villa nel '700 I bigliettini erano il suo unico modo di comunicare perché era sordomuta. Questa cosa
mi colpì molto. pensai di scrivere un racconto».
Un personaggio realmente esistito di cui però non è rimasta alcuna traccia, quindi è una storia tutta inventata?
«Sì, la biografia di Marianna non c'è: ho trovato soltanto il ritratto e alcune notizie sul suo matrimonio e sulla sua mutilazione. Questa mancanza di dati mi ha aiutato perché
«Sì, la biografia di Marianna non c'è: ho trovato soltanto il ritratto e alcune notizie sul suo matrimonio e sulla sua mutilazione. Questa mancanza di dati mi ha aiutato perché
ho potuto inventare tutto. Non credo al romanzo storico come documento, credo sia piuttosto un atto di visionarietà. È stato come fare un viaggio all'indietro nel tempo, mi
sono dovuta trasferire in un'altra epoca, ho dovuto leggere montagne di libri sul Settecento e del Settecento. Ma non volevo fare un libro preciso, veristico. È stata
veramente una visione che mi ha incantato».
Il silenzio che circonda Marianna sembra diventare quasi un 'arma nelle sue mani: anche se inconsapevolmente, la bambina si serve della sua mutilazione per avere accesso
a quel sapere proibito alle donne del tempo. E così, mentre le sue sorelle sono allevate nell'ignoranza, lei cresce fra i libri, diventa una donna colta, riflessiva ed anche
potente. Dotata di poteri straordinari, riesce a carpire i segreti delle menti dei suoi familiari. Non potendo sentire le loro parole, registra i loro pensieri. Si direbbe quasi che
il suo non sia un mutismo ma un silenzio voluto. Hai forse pensato alla condanna al silenzio delle donne nella storia?
«In effetti il romanzo può essere letto come una metafora del silenzio, della mutilazione femminile. La storia delle donne che non hanno potuto parlare, che sono dovute
«In effetti il romanzo può essere letto come una metafora del silenzio, della mutilazione femminile. La storia delle donne che non hanno potuto parlare, che sono dovute
rimanere mute. Quando ho cominciato a scrivere il libro, a questo non ci pensavo, poi man mano che scrivevo ho cominciato a sentire un sottofondo che non apparteneva a
Marianna, una specie di ombra che rimandava a qualcos'altro. Il mutismo di Marianna nasce come disperazione, in conseguenza di una violenza carnale subita all'età di
cinque anni. È un destino quasi scelto anche se lei non ne è consapevole in quanto non ricorda l'episodio. È certo che la prigionia fisica le dona una libertà mentale, spesso
viene esclusa dai discorsi che si fanno in famiglia perché gli altri non la considerano, quasi fosse invisibile. Marianna fa di questo non esserci la sua forza».
Il distacco dal resto del mondo viene però intaccato dall'amore per il figlio Signoretto e per l'amante Saro. Una specie di riscoperta del linguaggio del corpo, anche questa è
un'esperienza tipicamente femminile.
«C'è un parallelismo fra la parola e il corpo, si potrebbe dire che è un'esperienza femminile quella di separare la parola dal corpo perché la parola come istituzione non ci
«C'è un parallelismo fra la parola e il corpo, si potrebbe dire che è un'esperienza femminile quella di separare la parola dal corpo perché la parola come istituzione non ci
appartiene storicamente. Per questo le donne sono state abituate a esprimersi con il corpo, hanno sempre usato le armi della seduzione, gli sguardi, i sorrisi. Nel caso di
Marianna, però, è come se con la parola se ne fosse andato anche il corpo. Proprio perché non è come le altre donne, non sa nemmeno usare il linguaggio del corpo. I
rapporti sessuali con il marito sono subiti come una violazione, i parti come un ingombro. Poi arriva il quarto figlio che si inventa un linguaggio fisico e la porta a
riconciliarsi con il suo corpo. E infine l'amante con cui scopre la tenerezza e l'amore». Però alla fine Marianna fugge, lascia Palermo proprio per negarsi al suo amante, per
chiudere quella relazione. Perché? «La sua non è una rigidezza ideologica, è una rigidezza che riguarda il suo rapporto con se stessa, questo si capisce quando diventa più
indulgente con le figlie: lascia che abbiano degli amanti, ne capisce le stranezze e gli atti di ribellione». Nella seconda parte del romanzo c'è un cambiamento di clima, si
sente un'aria nuova, quasi più libertina. Come mai? «È un cambiamento storico. All'inizio del romanzo si respira ancora l'atmosfera del Seicento, cioè di un mondo molto
rigido, religioso, chiuso. Quando il romanzo finisce, siamo nella seconda metà del Settecento, si parla di Voltaire, di Rousseau. Palermo a quel tempo era un grande centro, i
contatti con la Francia e l'Inghilterra erano frequenti. È un momento di immenso ripensa mento su tutto».
Monica Ricci Sargentini
Il Manifesto, 2 giugno 1990
Una sovrana solitudine come forma di vita
di Rossana Rossanda
Ho fra le mani l'ultimo libro di Dacia Maraini, La lunga storia di Marianna Ucrìa, così diverso dai suoi soliti, lavorato, amato e patito più di ogni altro, e mi viene in mente
quanto sono sorprendenti le relazioni fra noi donne.
Se chiedessi: che posto dai nel femminismo italiano a Dacia Maraini? molte mie giovani amiche risponderebbero sinceramente: Mah... nessuno. Eppure, da che mi ricordi, è
Se chiedessi: che posto dai nel femminismo italiano a Dacia Maraini? molte mie giovani amiche risponderebbero sinceramente: Mah... nessuno. Eppure, da che mi ricordi, è
una femminista militante, prima di moltissime altre; ha scritto da femminista, creato un luogo separato di donne, lavorato con loro; prima di altre è andata in fondo al tema
della sessualità femminile. Come è che il movimento oggi non la vede, di questo libro non parlerà?
Sta di fatto che la storia di Marianna Ucrìa è quella di una lunga solitudine di una outsider malgrado sé stessa e poco somiglia agli altri lavori di Dacia, tutti abili ed eleganti,
Sta di fatto che la storia di Marianna Ucrìa è quella di una lunga solitudine di una outsider malgrado sé stessa e poco somiglia agli altri lavori di Dacia, tutti abili ed eleganti,
fin troppo. Questo sembra un libro prima di tutto per sé, lavorato in cinque anni, e nel quale si può pensare che Dacia parli di sé, ma con il distacco, la padronanza e anche
la disperazione dello scrittore cui di assoluto non resta che la scrittura. È la storia d'una solitudine dominata.
Marianna Ucrìa, intravveduta nel passato d'una Sicilia riscoperta come terreno originario, e lungamente sedimentato dentro di sé, è una bambina -una gentildonna -sorda e
Marianna Ucrìa, intravveduta nel passato d'una Sicilia riscoperta come terreno originario, e lungamente sedimentato dentro di sé, è una bambina -una gentildonna -sorda e
muta che nelle prime pagine il padre, il quale esercita da nobile funzioni di giustizia, porta con sé ad assistere al giudizio e poi all'esecuzione d'un giovane, sperando che la
scossa emotiva le sblocchi quella sua interiore serratura: perché d'un trauma si tratta. Marianna tace e non sente da quando è stata stuprata dallo zio. In quel rito di ambigua
giustizia e messa a morte, il padre forse condanna anche sé stesso – è una figura inquieta, la sola che sta accanto a Marianna. Ma la visione dell'orrore resta inoperante,
Marianna non riconquista parola e udito – qualcosa le è accaduto una volta per sempre e l'ha isolata nel silenzio. Il padre le fa dono, come. d'un gioiello, d'un sistema di
flaconi d'argento e astucci per carta e penna da portare su di sé, collana, cintura. Attraverso di essi Marianna riceverà e trasmetterà comunicazioni – poche ed essenziali,
soltanto da chi sa scrivere, molto guardando e molto riflettendo.
Non so se sia lecito leggere in questa mancanza della parola detta e ascoltata, antica ed elementare relazione fra soggetti, la condizione limite d'una donna, cui molto viene
Non so se sia lecito leggere in questa mancanza della parola detta e ascoltata, antica ed elementare relazione fra soggetti, la condizione limite d'una donna, cui molto viene
non detto e le cui opinioni poco contano nell'essenziale del dominio; anche quando, come Marianna, è signora e persino padrona, di titoli e denaro e terre e d'una famiglia.
Ancora meno, forse, è lecito pensare che Dacia abbia quasi necessariamente costruito in Marianna un'iniziale proiezione d'una esperienza di donna cui in questi anni manca
l'interlocuzione con altre donne su quel che è stato il suo terreno d'elezione con le donne, non con questa o quella donna, fra le molte, che Dacia frequenta. Certo è che
Marianna vive questo suo stato con una sorta di assoluta attenzione; si guarda e guarda vivere, distingue fra le regole del mondo presto apprese e sé stessa, decide tutto
quel che può decidere – diversamente da altre donne, a cominciare dalla madre, sempre intravista come corpo disfatto in un letto disfatto e troppo odorante di sé e del
laudano in cui trova la fuga dal reale; diversamente dalle figlie impigliate in domestici affanni, diversamente dalla servente Fila, che pure è quella che più le somiglia nella
percezione ma non nella riflessione sulle cose, e più di lei è trascinata dalle ondate feroci del quotidiano e dell'irrompere in esso delle vicende esterne.
Guardare, odorare, riflettere è l'essenziale di Marianna; imposto dalle circostanze le è anche congeniale. E vivere questa concentrata condizione è così determinante, che lo
Guardare, odorare, riflettere è l'essenziale di Marianna; imposto dalle circostanze le è anche congeniale. E vivere questa concentrata condizione è così determinante, che lo
«stupro», e il «prima di esso», sono lontani e ormai inessenziali, avvenuti e finiti, mentre mutismo e sordità sono la tela dei giorni. Nella quale accetterà che entri per marito
il solo che, la può volere o cui può essere imposta, lo zio stupratore, il quale non sa che stuprare non avendo alcuna capacità di relazione, chiuso anche lui in un blocco di
solitudine ma opaca. Ne avrà figli e figlie, come si deve. senza particolare adesione alla maternità. Per sé Marianna, che vede e tocca e odora e ascolta i sensi interni dello
spazio, costruisce la «sua» scena di vita: una grande villa dove corrono le sale verso le finestre spalancate sui giardini, e pitture, mobili, oggetti, colori e odori sembrano più
consistenti delle persone che, come loro senza rumore vi si aggirano.
Ancora in questa casa conoscerà un tardivo amore, il primo dolce e completo, in un giovane dal quale si separerà – perché è lei la padrona, e deve pensare anche a lui;
Ancora in questa casa conoscerà un tardivo amore, il primo dolce e completo, in un giovane dal quale si separerà – perché è lei la padrona, e deve pensare anche a lui;
mentre con un saggio vecchio signore, che nulla dice al suo corpo di donna, la comunicazione si affinerà fino al discorso sulle cose ultime.
Ma anche sulla sua casa passano le vicende del mondo e le traversie della Sicilia, e un giorno Marianna, in viaggio senza una meta, si troverà sulla sponda erbosa del
Ma anche sulla sua casa passano le vicende del mondo e le traversie della Sicilia, e un giorno Marianna, in viaggio senza una meta, si troverà sulla sponda erbosa del
Tevere, come in un'antica stampa di Roma, e non avrà una sola ragione per non inoltrarsi in quelle acque, che non sia il dominio di sé – il non cedere a quel che la
attraversa, ma a sua volta attraversarlo.
Di questo racconto, così a parte nella letteratura femminile, due ,mi sembrano le costanti piene di fascino. La prima è la tessitura da arazzo, a punti densi e brevi e fitti, di
Di questo racconto, così a parte nella letteratura femminile, due ,mi sembrano le costanti piene di fascino. La prima è la tessitura da arazzo, a punti densi e brevi e fitti, di
tempi e luoghi nel loro «apparire» come se lo sguardo, via sovrana del contatto fra Marianna e il mondo – passasse anche al lettore, che riceve l'impatto di quella corposità,
di quel rilievo, persino una relativa sproporzione degli oggetti, luci, odori e uomini e donne nella stessa trama.
La mancanza di parola detta e ascoltata toglie una dimensione e un'altra ne dà alle sozzure e alle bellezze, al lezzo e al profumo, alle architetture e alle rovine, a ricchezza e
La mancanza di parola detta e ascoltata toglie una dimensione e un'altra ne dà alle sozzure e alle bellezze, al lezzo e al profumo, alle architetture e alle rovine, a ricchezza e
miseria, percepiti nella loro fisicità. Che è una percezione più propria delle donne, e specifica in Marianna mutilata di altre comunicazioni. Così anche le forme d'un passato
gentilizio, nei suoi orrori e nei suoi piaceri di elezione, sono non uno sfondo, ma un «veduto» dunque «vissuto», non mediato, raro in una scrittura che si sposta su un altro
tempo.
La seconda costante è il modo di essere di Marianna, che è la tenacia, forma non solo femminile ma certo alle donne consueta. Tenacia come volontà minore, in quanto
La seconda costante è il modo di essere di Marianna, che è la tenacia, forma non solo femminile ma certo alle donne consueta. Tenacia come volontà minore, in quanto
inoperante sulle sovradeterminazioni dei poteri, ma assoluta, sfera di autonomia, qualità indotta ma diventata virtù infrangibile, persino durezza, non attaccabilità. C'è
tenacia e tenacia, come volontà e volontà: tutte e due implicano capacità di soffrire, ma l'una è la lamentosa tenacia della protagonista de La storia della Morante, sempre
stupefatta di esser viva in un mondo malvagio e inattendibile, altra è quella di Marianna, che dal mondo non è mai schiacciata. Anche in grazia di quell'incomunicazione, ha
imparato ad essere signora di sé. Anche in grazia di quella lontana violenza subita e quelle abituali al corpo femminili, l'essenziale in lei non subisce più. Quasi nulla
potendo, fuorché l'idea di sé, questa lei custodisce intatta. In nessun momento si piange sulla sua sorte.
La storia di Marianna Ucrìa sta dunque nel filone classico delle storie di formazione, una educazione di sé e uno sguardo sul mondo in uno stato di eccezionale e
La storia di Marianna Ucrìa sta dunque nel filone classico delle storie di formazione, una educazione di sé e uno sguardo sul mondo in uno stato di eccezionale e
insormontabile solitudine, che da condanna diventa forma di vita. Fatica, curiosità e dolore sono anch'essi fitti come in un arazzo, la scrittura di Dacia Maraini si fa forte e a
momenti ruvida; non c'è indugio, non c'è tenerezza, non c'è compianto né rimpianto.
Una sola parentesi, e anche qui viene illecitamente da pensare a Dacia. è la visita di Marianna con le figlie nelle fattorie e terre di campagna: una giornata luminosa del sole
Una sola parentesi, e anche qui viene illecitamente da pensare a Dacia. è la visita di Marianna con le figlie nelle fattorie e terre di campagna: una giornata luminosa del sole
del mattino, gli abiti freschi e una comunità fra le donne della famiglia che lascia un'impronta chiara, profumata di pane, quasi pacificata.
Rossana Rossanda
Espresso, 11 marzo 1990
In onore dell'ava
di Marisa Rusconi
Il suo ultimo romanzo, La lunga vita di Marianna Ucrìa, edito da Rizzoli, è ambientato tra Palermo e Bagheria nel '700: è la prima volta, dopo tante opere narrative, che lei,
siciliana da parte di madre, ha pensato come scenario alla Sicilia...
«Credo che diventando maturi si senta il bisogno di ritrovare le proprie radici. lo avevo abbandonato la mia "quasi patria" a diciotto anni, felice di lasciarmi alle spalle un
«Credo che diventando maturi si senta il bisogno di ritrovare le proprie radici. lo avevo abbandonato la mia "quasi patria" a diciotto anni, felice di lasciarmi alle spalle un
ambiente che mi aveva fatto soffrire molto con la sua chiusura oppressiva e punitiva; ero poi tornata sempre di sfuggita e sempre più amareggiata nel vederla mutilata della
sua bellezza».
Anche Marianna, la protagonista, è una donna intelligente e bella ma sordomuta: la sua menomazione si può leggere, forse, come una metafora della condizione
femminile...
«La metafora va anche "oltre", nel senso che coinvolge le contraddizioni della Sicilia, un paese malato di cancrene terribili eppure vitalizzato da una forte e autentica
«La metafora va anche "oltre", nel senso che coinvolge le contraddizioni della Sicilia, un paese malato di cancrene terribili eppure vitalizzato da una forte e autentica
passione per la cultura; non penso solo alla presenza di grandi scrittori o all'antica tradizione filosofica; ma anche a certe forme di cultura popolare e orale».
Non si tratta, dunque, di un romanzo storico...
«Marianna è un personaggio della famiglia Alliata realmente esistito: il suo ritratto mi colpì quando, qualche anno fa, tornai a vedere la villa di Bagheria in cui avevo
«Marianna è un personaggio della famiglia Alliata realmente esistito: il suo ritratto mi colpì quando, qualche anno fa, tornai a vedere la villa di Bagheria in cui avevo
trascorso un periodo della mia infanzia; ma non ho scritto una biografia romanzata, bensì una storia di invenzione ispirata a questa figura femminile che, nell'emarginazione
della sua malattia, godeva anche di alcuni privilegi rispetto alle altre donne: poteva scrivere, leggere, dipingere... invece, la cornice in cui ho collocato la sua vicenda, è una
ricostruzione molto fedele dei costumi sociali, famigliari, religiosi dell'epoca».
Marisa Rusconi
Corriere della Sera, 11 marzo 1990
Marianna, lunga vita alla signora
Quando il Gattopardo è zio-marito. E padrone
Quando il Gattopardo è zio-marito. E padrone
di Enzo Siciliano
Ha raccontato Dacia Maraini che a darle l'esca per il suo ultimo romanzo, La lunga vita di Marianna Ucrìa – se non a dettarglielo, a provocarglielo – è stata una tela
malconcia scoperta nella casa materna avita, Villa Valguarnera a Bagheria, una delle ville più illustri e note di quel borgo palermitano, che in pieno Settecento diventò luogo
di svago e riposo per i principi di città. Non soltanto una tela malconcia, ma la pura notizia di una sua ava sordo-muta, proprio la duchessa che fece in modo di trasformare
un casino di campagna in un edificio dalle linee elegantissime, adorno di affreschi e piastrellato di maioliche dalle tinte vaghe e dorate. (C'è da lamentare che Villa
Valguarnera sia oggi, come tante cose d'arte del nostro Paese, in stato di miserevole degrado: ma questo è altro argomento).
Uno spunto di romanzo non vuoi dire romanzo già bell'e fatto. Un'occasione appena, come un breve arpeggio di note pizzicate alla spinetta, ha bisogno di prendere vita in
Uno spunto di romanzo non vuoi dire romanzo già bell'e fatto. Un'occasione appena, come un breve arpeggio di note pizzicate alla spinetta, ha bisogno di prendere vita in
una forma, di assoggettare a quella forma il sentimento di un destino, e lasciar brillare, trasparente, in esso, la metafora.
Ne La lunga vita di Marìanna Ucrìa ciò è felicemente avvenuto. Dacia Maraini non ha soltanto scritto il suo libro più compiuto e determinato, ma anche un libro, un
Ne La lunga vita di Marìanna Ucrìa ciò è felicemente avvenuto. Dacia Maraini non ha soltanto scritto il suo libro più compiuto e determinato, ma anche un libro, un
romanzo, che va di diritto a situarsi in quella tradizione dove Verga, De Roberto, Lampedusa hanno generato spirito e stile. Non voglio dire che La lunga vita di Marianna
Ucrìa prenda respiro in un ambito manieristico. Tutt'altro. È un sentimento di fatalità e decadenza, di sottintesa, religiosa pietà a rendere plastici i personaggi, a fame i segni
di una sorte inebriata ma anche obliquamente piegata alla morte: è questo che lega il libro a quella tradizione, in parallelo a una scrittura dai profumi segretamente densi,
campita anche di qualche esplicito vocalizzo dialettale, secondo il modello insuperato del Gattopardo.
Non si può dire che finora Dacia Maraini sia stata avara di sé; ha scritto molto, narrativa, teatro, poesia, ha fatto molto giornalismo. Forse un eccesso di concetti, un
Non si può dire che finora Dacia Maraini sia stata avara di sé; ha scritto molto, narrativa, teatro, poesia, ha fatto molto giornalismo. Forse un eccesso di concetti, un
eccesso di progammaticità – l'impegno di sinistra, il femminismo – hanno spesso indurito la sua pagina. La indurivano nel senso di far avvertire una vena di sfiducia nella
propria capacità affabulatoria e immaginativa che la scrittrice tradiva. Ma ciò, ad esempio, non era accaduto, per niente accaduto, in un volume di versi del '66, Crudeltà
all'aria aperta, versi liberissimi, animati da una revulsione della memoria che si disfaceva in un flusso colloquiale quanto mai ricco di immagini e vibrazioni musicali. Quella
ricchezza, la suggestione del paesaggio, proprio la Sicilia, proprio Bagheria, proprio la Villa Valguarnera dell'adolescenza, promettevano altro, l'erompere cioè di una verità,
di una naturalezza, l'affiorare magari di nodi nascosti, che nutrono, motivano al fondo l'espressione poetica, il romanzo.
La lunga via di Marìanna Ucrìa è dunque la vicenda di una mutola che, in pieno secolo dei lumi, viene data in moglie allo zio: chi altri potrebbe sposarla, se non un uomo
La lunga via di Marìanna Ucrìa è dunque la vicenda di una mutola che, in pieno secolo dei lumi, viene data in moglie allo zio: chi altri potrebbe sposarla, se non un uomo
schivo, privo di attrattiva, accidiosamente legato a un'esistenza incolore seppure assai agiata?
Marianna osserva il mondo, e vive con gli occhi e con l'olfatto. Deve essere anche bella: il suo mutismo e la sua sordità non le appartengono dalla nascita, sono il risultato
Marianna osserva il mondo, e vive con gli occhi e con l'olfatto. Deve essere anche bella: il suo mutismo e la sua sordità non le appartengono dalla nascita, sono il risultato
di un trauma. Qualcosa nella vita di Marianna si è cancellato per violenza; non le è rimasto che spiare, frugare, sensibile e avida, con lo sguardo, nella mente di chi le si
rivolge, tempi e parole: e lei rapina pensieri, odori, cattura visioni.
Il rapporto sfuggente col marito zio, i rapporti con i figli, con le serve, con un corteggiatore; il rapporto con i libri. Marianna sviluppa un piacere finanche morboso per le
Il rapporto sfuggente col marito zio, i rapporti con i figli, con le serve, con un corteggiatore; il rapporto con i libri. Marianna sviluppa un piacere finanche morboso per le
rilegature, la carta a stampa, le costole dei volumi impilati nella biblioteca. Al collo porta una catenella: alla catenella sono legati una tavoletta che fa da scrittoio, un
piccolo calamaio di inchiostro di china, qualche foglietto. Marianna scrive, parla scrivendo, e gli altri, per parlarle, fanno altrettanto. Marianna vive serbando quei foglietti;
in essi racchiude il senso del suo vivere – là, piano piano, il barbaglio d'una terribile verità – Il disamore, il ribrezzo per il marito-zio: e la memoria le si apre sull'infanzia, il
cielo del passato si squarcia. Era bambina, e quello zio, lo zio che poi vorrà sposarla, la stuprò. Questa verità si adagia quieta sulle sue giornate: rende più palpitante il
silenzio dentro cui Marianna è condannata.
Dunque, in Marianna c'è una ferita, e il suo romanzo è quello dei modi di cui la ferita chiede risarcimento, con il progressivo denudarsi delle riottose nevralgie del pensiero.
Dunque, in Marianna c'è una ferita, e il suo romanzo è quello dei modi di cui la ferita chiede risarcimento, con il progressivo denudarsi delle riottose nevralgie del pensiero.
Via via, Marianna – rimasta vedova, si innamorerà d'un servitorello di casa; finché, intimorita dalle sciagure che l'amore porta con sé, abbandonerà per mare Palermo e
finirà i suoi giorni lontana, magari a Roma – , via via, si troverà davanti a se stessa, fatta "creatura" (per dirla alla Pirandello), quasi spogliata del silenzio che l'ha
circondata per la gran parte della via.
Cosa le resterà? La certezza che il mondo, pur filtrato dagli occhi, dagli odori, ha lasciato la propria impronta dentro di lei attraverso l'inchiostro che un velo leggero di
Cosa le resterà? La certezza che il mondo, pur filtrato dagli occhi, dagli odori, ha lasciato la propria impronta dentro di lei attraverso l'inchiostro che un velo leggero di
cenere asciugava. Scrivere è un destino: e quel destino nasce da un'amputazione, un'amputazione che la vita ha inferto, e che la vita ricompone nell'ampiezza misteriosa
delle sue volute. Marianna ha imparato che oltre l'apparenza sensuosa delle cose, di là dallo sgocciolare dei ricordi, dalle «mollichelle» dei piaceri, «ci deve pur essere
qualcos'altro che appartiene al mondo della saggezza e della contemplazione».
Col suo romanzo, nel disegno del suo personaggio così vivo e insolito, così avvolto di presagi e pietà, Dacia Maraini ci addita questo «qualcos'altro», che ne fa avvertire la
Col suo romanzo, nel disegno del suo personaggio così vivo e insolito, così avvolto di presagi e pietà, Dacia Maraini ci addita questo «qualcos'altro», che ne fa avvertire la
presenza; ma, come è dall'arte più vera, lo scherma col manto screziato della realtà immaginata, con la necessità di infiniti dettagli, di infiniti colori.
Enzo Siciliano
Brescia Oggi, 19 aprile 1990
Lo zio di Sicilia
di Claudio Toscani
Scoprire fin dove arrivano le proprie radici, constatare quanto è profondo il pozzo della propria identità: questo credo sia stato l'impulso di Dacia Maraini nello scrivere La
lunga vita di Marianna Ucrìa, romanzo suo più recente e nuovo quanto a tema e a scrittura se, riguardo al primo punto, l'autrice accosta il genere storico per riappropriarsi
di una Sicilia di primo Settecento che custodisce il più antico battito del suo stesso sangue e, per quanto attiene allo stile, essa ne rinnova completamente l'abituale modalità
adottando una lingua filante, che visita un lessico e una parlata locale, vi coglie qualche sapido frutto tra dialetto e sentenza, tornando poi a un limpido italiano ufficiale,
non senza corredarlo di parole… in costume.
Marianna Ucrìa è la figlia sordomuta del duca di Fontanasalsa e della duchessa Maria. Lei la sola, fra cinque fratelli (il delfino, la ragazza da sposare, la monaca
Marianna Ucrìa è la figlia sordomuta del duca di Fontanasalsa e della duchessa Maria. Lei la sola, fra cinque fratelli (il delfino, la ragazza da sposare, la monaca
predestinata. il predestinato frate e il futuro dragone) a non poter parlare né sentire: oscuro retaggio psicologico (causa uno stupro) che il padre cerca di ovviare facendole
assistere fin da piccola scene forti. come impiccagioni o autodafè, gente imprigionata o duramente punita, secondo terapie d'assalto in voga anche allora per sbloccare
complessi che si pensano rimediabili solo in tal modo. Diversamente da quanto sembra volere il suo destino, Marianna si sposa con uno zio, Pietro Ucrìa, fratello della
madre e cugino del padre, barone e conte e marchese. Ma non è stato lui a stuprarla da ragazzina? Il romanzo di Marianna è sin dall'inizio, quello di una specialissima
oralità del silenzio: la ragazza, poi moglie e madre e nonna (avrà, fra vivi e premorti otto figli) comunica con i suoi e con il mondo circostante a mezzo di biglietti scritti.
Fare, vivere, confrontarsi e confrontare sentimenti ed idee non le è possibile se non per il tramite di più o meno lunghi e volanti frammenti di scrittura. Spenta ai due sensi
dell'apertura interpersonale e sociale, Marianna affina straordinariamente i sentimenti, l'intensità del volere la profondità del comprendere: l’intuizione, la percezione, la
memoria.
Superato il sintattico «rosario. delle notazioni psicologiche e d'ambiente, Dacia Maraini sistema il suo personaggio in una sorta di lungo, complesso e tribolato «mistero»
Superato il sintattico «rosario. delle notazioni psicologiche e d'ambiente, Dacia Maraini sistema il suo personaggio in una sorta di lungo, complesso e tribolato «mistero»
coniugale e familiare nel quale figli che nascono si alternano a figli Che muoiono, e la quotidianità del reale è vissuta come unicità di destino, e le mille trite convenzioni
dell'epoca e,del casato si stampano in lei nelle sagome di un dovere insormontabile in una catena di obblighi e di costrizioni raramente superati Pur dal suo intimo ardore
esistenziale.
La trama romanzesca è lunga. composita, particolareggiata. Marianna Passa attraverso lutti ed esperienze d'ogni tipo: da matrimoniali a culturali da sudditanze familiari e
La trama romanzesca è lunga. composita, particolareggiata. Marianna Passa attraverso lutti ed esperienze d'ogni tipo: da matrimoniali a culturali da sudditanze familiari e
sociali ad avventure di cuore, se è vero che prima il giovane Saro e poi don Giacomo Camaléo si fanno presso a lei con sentimenti d' amore.
Al punto in cui Marianna scopre la biblioteca di casa, e vi legge tra l'altro, occasionalmente filosofiche riflessioni di Hume del suo Trattalo (la ragione deve inchinarsi alle
Al punto in cui Marianna scopre la biblioteca di casa, e vi legge tra l'altro, occasionalmente filosofiche riflessioni di Hume del suo Trattalo (la ragione deve inchinarsi alle
passioni e non viceversa), il romanzo della Maraini sembra trovare un suo secondo inizio. Nel mondo insonorizzato e afasico di Marianna, ogni cosa corre il prodigioso
rischio di diventare, secondo i casi interrogazione e risposta, in ogni caso enigma e polisemia.
Ma un terzo momento di rapida accelerazione, questa storia lo coglie quando Marianna conosce l'amore: quello giusto. Quando nei fatti, trascorre dalla stupida e vogliosa
Ma un terzo momento di rapida accelerazione, questa storia lo coglie quando Marianna conosce l'amore: quello giusto. Quando nei fatti, trascorre dalla stupida e vogliosa
«melanzana di carne» del marito, rapida e straniera rapina di emozioni e di dignità, al tenero abbraccio di Saro, corpo chiamato e voluto nell’incoscienza del desiderio,
sogno finalmente reale nel segno dell'imperiosa legge delle creature. «Aveva pensato in tanti anni di matrimonio che il corpo dell'uomo fosse fatto per dare tormento (…) E
invece ecco qui ora un grembo che non le è estraneo, non la assale , non la deruba, non chiede sacrifici e rinunce, ma le va Incontro con piglio sicuro e dolce».
Ma non tralasciamo il vario contesto del romanzo: gli incappucciati l'Inquisizione, i roghi, i «gattopardi» e i miserabili; le ville, le colline, i monti; Bagheria, Palagonia,
Ma non tralasciamo il vario contesto del romanzo: gli incappucciati l'Inquisizione, i roghi, i «gattopardi» e i miserabili; le ville, le colline, i monti; Bagheria, Palagonia,
Asprea, Ogliastro e Villabate, Palermo e il mare. E la storia dei regnanti che fanno ombra anche nelle più remote parti dell'isola, con la storia grande e paludata che cola
come un mantello di sangue sulla sparsa deriva della gente. Marianna Ucrìa è, allora, romanzo storico, tanto quanto di idee; di movimento, tanto quanto di suspense, di
riflessione tanto quanto d'azione. Dentro non poteva mancare il travaglio secolare della donna lungo gli eterni gradini della sua femminilità tagliata. E quei lumi del secolo
che giungono fino alle segrete più buie dell'isola non distenebrano mai il pregiudizio, la repressione, l'interdizione.
Dacia Maraini, restituendoci parole e situazioni, scrive capitoli di storia: quella dell'intelligenza e della coscienza.
Dacia Maraini, restituendoci parole e situazioni, scrive capitoli di storia: quella dell'intelligenza e della coscienza.
Claudio Toscani
Panorama, febbraio-marzo 1990
Il filo di Marianna
Tra romanzo storico e storia d'amore Dacia Maraini narra il suo Settecento.
Tra romanzo storico e storia d'amore Dacia Maraini narra il suo Settecento.
di Alessandra Venezia
Nel ritratto che campeggia in un salone di villa Valguarnera di Bagheria, a pochi chilometri da Palermo, Marianna Alliata Valguarnera è irrigidita in un vestito da cerimonia,
lo sguardo intenso e al tempo stesso remoto, la mano chiusa attorno a un foglietto scritto. La data in fondo al dipinto: 1724.
Diventato nella finzione la contessa Marianna Ucrìa, quel personaggio vero è anche la protagonista de nuovo romanzo di Dacia Maraini, scritto sei anni dopo la cronaca
Diventato nella finzione la contessa Marianna Ucrìa, quel personaggio vero è anche la protagonista de nuovo romanzo di Dacia Maraini, scritto sei anni dopo la cronaca
romanzata della morte della diciannovenne Isolina nella Verona del 1901, e dopo una dozzina di romanzi e testi teatrali dedicati per lo più a rappresentare personaggi
femminili quotidiani, spesso piccoloborghesi.
A spingere questa volta Dacia Maraini al romanzo storico e a raccontare la vicenda di una «donna straordinaria» nella prima metà del Settecento a Palermo è stato in
A spingere questa volta Dacia Maraini al romanzo storico e a raccontare la vicenda di una «donna straordinaria» nella prima metà del Settecento a Palermo è stato in
qualche modo proprio quel quadro: «A villa Valguarnera» racconta «giocavo da piccola, prima che la mia famiglia si trasferisse in Giappone, e avevo vissuto per un breve
periodo sui dieci anni, subito dopo la guerra: era un mondo meraviglioso per una bambina, fatto di giochi, vasche di pesci, gazebo, statue, fiori, viottoli alberati. Dopo quasi
quarant'anni, ci sono tornata sei anni fa e una vecchia zia mi ha guidato in un lungo giro attraverso le stanze dell'ala più nobile, che non avevo mai visto. L'immagine di
Marianna, il suo sguardo e il suo fogliettino in mano mi sono rimasti impressi e continuavo a pensarci. Allora ho cominciato a cercare notizie su di lei e ho trovato un
vecchio libro sugli Alliata (la famiglia della madre della scrittrice, ndr) scritto da un'altra zia in modo idealizzato e per questo perfino un po' comico. Ma vi si raccontava
anche di Marianna, e ho decifrato l'enigma del foglietto vergato...».
Il ritrattista di maniera alludeva al fatto che la nobildonna siciliana era sordomuta, e comunicava per iscritto. Era stata sposata a tredici anni con uno zio, aveva avuto otto
Il ritrattista di maniera alludeva al fatto che la nobildonna siciliana era sordomuta, e comunicava per iscritto. Era stata sposata a tredici anni con uno zio, aveva avuto otto
figli, quattro dei quali sopravvissuti. Proprio lei aveva fatto costruire la villa a Bagheria. «Insomma, il mio personaggio è realmente esistito e alcuni dati sono documentati»
prosegue Maraini «anche se il resto del romanzo è frutto della mia fantasia».
La lunga vita di Marianna Ucrìa, che esce in questi giorni da Rizzoli, è secondo l'autrice «la storia di una vita, di nascite e matrimoni, di morti e poi di un grande amore».
La lunga vita di Marianna Ucrìa, che esce in questi giorni da Rizzoli, è secondo l'autrice «la storia di una vita, di nascite e matrimoni, di morti e poi di un grande amore».
Ma è anche una metafora, attraverso la menomazione di Marianna, della storia della Sicilia e della condizione femminile: «Palermo nel '700 è una città cosmopolita, e
respira i fermenti del secolo. Ma questa realtà intellettuale era limitata alle famiglie ricche e aristocratiche. E anche alloro interno le donne, pur godendo della libertà di
uscire sole in carrozza o avere un cicisbeo, erano condannate all'ignoranza. Marianna è un'eccezione: dovendo esprimersi per iscritto ha accesso alla biblioteca e ai libri,
diventa una grande osservatrice di se stessa e un'erudita. Sa di greco, latino, francese, diventa una specie di «femme savante».
Ma se la contessa incontra in biblioteca (e cita en passant) David Hume, Vico, Pascal e Montesquieu, è piuttosto la storia d'un amore imprevisto e lacerante a condurre il
Ma se la contessa incontra in biblioteca (e cita en passant) David Hume, Vico, Pascal e Montesquieu, è piuttosto la storia d'un amore imprevisto e lacerante a condurre il
gioco del romanzo. Non negando all'eccezionale Marianna neppure passioni e picaresche avventure di un'eroina rosa.
Alessandra Venezia
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Rassegna stampa sul romanzo "La lunga vita di Marianna Ucrìa" (1990) di Dacia Maraini (da: http://www.daciamaraini.it/romanzi/rassegnastampa/lalungavita.htm)
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Rassegna stampa sul romanzo "La lunga vita di Marianna Ucrìa" (1990) di Dacia Maraini (da: http://www.daciamaraini.it/romanzi/rassegnastampa/lalungavita.htm)
1990 - Il silenzio e la scrittura di Marosia Castaldi
Adige (L'), 28/03/1990 - Una storia siciliana di Palmiro Boschesi
Adige (L'), 21/11/1991 - Maraini star a Trento di a.d.m.
America Oggi, 29/04/1990 - Storia di una donna di Franco Borrelli
Amica, 14/05/1990 - Il silenzio di Marianna di Francesco Servida
Annabella, 24/04/1990 - Marianna dei miracoli e degli amori di Laura B. Piccoli
Aquario, n°0 1991 - Dacia Maraini in La lunga vita di Marianna Ucrìa di Dacia Maraini
Arena (L'), 11/04/1990 - Marianna, come si affranca una donna di Gabriella Filippini
Bella, 19/03/1990 - La vittoria del silenzio di Laura Maragnani
Bergamo 15, 31/05/1991 - Gli interrogativi di Dacia Maraini di Mimma Forlani
Brescia Oggi, 19/04/1990 - Lo zio di Sicilia di Claudio Toscani
Brescia Oggi, 21/06/1990 - Romanzi in costume di Claudio Toscani
Corriere della Sera, 26/03/1990 - Marianna Ucrìa e la memoria sepolta di Dacia Maraini di Antonio Debenedetti
Corriere della Sera, 11/01/1988 - A caccia di passato di Antonio Debenedetti
Corriere della Sera, 25/03/1990 - Ma lo scrittore la sa più lunga dello storico di Antonio Debenedetti
Corriere della Sera, 11/03/1990 - Marianna, lunga vita alla signora di Enzo Siciliano
Corriere Ticino, 21/05/1994 - Dacia Maraini in bilico tra memoria e denuncia di Fiorenzo Conti
Donna, aprile 1990 - Il nuovo sguardo di Dacia di A. V.
Eco di Bergamo (L'), 10/05/1991 - Cinque anni di ricerche per una ricostruzione della Sicilia del 700 di m.g.r.
Eco di Bergamo (L'), 25/04/1990 - In quello sguardo da escluse di Letizia Pagliarino
Elle, aprile 1990 - Viaggio nel silenzio di Patrizia Carrano
Espresso (L'), 11/03/1990 - In onore dell'ava di Marisa Rusconi
Europeo, 21/09/1990 - Perché anch'io sono stata muta di Stella Pende
Famiglia Cristiana, 08/07/1992 - Coraggio. Il romanzo storico è il nostro forte di Italo A. Chiusano
Foglio (Il) Palermo - Una donna diversa di Stefania Saccinto
Gazzetta (La), 31/05/1991 - La Sicilia antica di Dacia Maraini di Monica Valgimigli
Gazzetta del Mezzogiorno, 20/04/1990 - Tutto immobile con i figli del sole di Michele dell'Aquila
Gazzetta del Sud, 20/03/1990 - Marianna Ucrìa donna infelice di Giuseppe Amoroso
Gazzetta del Sud, 17/07/1990 - Esploratrice del pianeta femminile di r.r.
Gazzetta di Ancona, 10/04/1990 - Dacia…gattoparda di Francesca Zandri
Gazzetta di Ancona, 21/10/1990 - Soliderietà come ricetta con sarcasmo ed eronia di Elisabetta Marchetti
Gazzetta di Mantova, 02/05/1990 - Ali di farfalla malata di CAR.LO
Gazzetta di Parma - Marianna Ucrìa di Dacia Maraini di Giancarlo Pandini
Gazzetta di Parma, 29/04/1990 - Storia della Siciliana Muta di Gabriella Filippini
Gazzetta Ticinese, 19/04/1990 - La storia sofferta di Marianna alla ricerca di una lontana di Gabriella Filippini
Gazzetta Ticinese, 19/04/1990 - Storia della siciliana muta di Gabriella Filippini
Gazzettino (Il), 10/09/1990 - Donna uomo romanzo di Ivo Prandin
Gazzettino (Il), 05/09/1990 - Messaggi dal silenzio di Dacia Maraini
Gazzettino (Il), 14/06/1990 - L'ultimo libro di D.M. presentato alla Querini di Laura Franchetti
Gazzettino (Il), 17/06/1990 - Maraini in pole position di Ivo Prandin
Gazzettino (Il), 12/08/1990 - Uno sguardo tragico e vitale di Ivo Prandin
Gazzettino di Venezia, 03/06/1990 - Marianna di Cesare De Michelis
Giornale d'Italia (Il), 29/08/1990 - La lunga vita di Marianna Ucrìa di Rino Mele
Giornale dell'Adda(Il), 02/06/1990 - Le parole silenziose di V.S.
Giornale di Bergamo Oggi (Il), 10/05/1991 - La lunga vita di Marianna Ucrìa
Giornale di Brescia, 21/04/1990 - L'affascinante 700 siciliano della Maraini di Ida Bozzi
Giornale di Napoli, 08/03/1990 - Lo sguardo sulla realtà di Mirella Armiero
Giornale di Sicilia, 10/04/1990 - Quando una donna è senza parola di Antonella Caradonna
Giornale di Sicilia, 09/04/1990 - Che coraggio, essere diverse di Simonetta Trovato
Giornale di Vicenza (Il), 13/04/1990 - Quel romanzo 'diverso' di Dacia Maraini di Maurizia Veladiano
Giorno (Il), 10/09/1990 - Perché questa donna? Mi è venuta a cercare… di Filippo Abbiati
Giorno (Il), 01/04/1990 - Dacia Maraini volta pagina con un romanzo gattopardesco di Giancarlo Vigorelli
Grazia, 09/09/1990 - Cinque in corsa per il Supercampiello di Leda di Malta
Grazia, 01/04/1990 - Vita di una donna siciliana del Settecento di Leda di Malta
Grazia, 01/04/1990 - La lunga vita di Marianna Ucrìa
Informatore Librario(L'), luglio 1990 - Pensieri e silenzi di Marianna di Emilia Folcarelli
Insieme, 15/10/1992 - Le poesie di Dacia Maraini di Saverio Saluzzi
Lavoro (Il), 14/04/1990 - I signori Manzoni avanti nel passato di Umberto Silva
Legendaria, maggio 1990 - Un silenzio che dice di più di Maria Rosa Cutrufelli
Lei, 03/04/1990 - Storie di Dacia
Lei, marzo 1990 - Storie di Dacia di Lele Lomazzi
Lettera dall'Italia, n°23 nov 1991 - Ritratti di scrittori contemporanei - Il romanzo storico di Alberto Cadioli
Libertà, 24/04/1990 - Il mutismo di Marianna di Francesco Mannoni
Libro Aperto, marzo/giugno 1990 - La lunga vita di Marianna Ucrìa
Manifesto (Il), 02/06/1990 - Una sovrana solitudine come forma di vita di Rossana Rossanda
Mattino (Il), 17/04/1990 - Crimini e misfatti in versione serial di Titti Marrone
Mattino (Il), 10/09/1990 - Ecco il mio sogno ad occhi aperti di Luciana Rollo Bancale
Mattino dell'Alto Adige (Il), 21/04/1990 - Scrittura piena di silenzio di Francesco Marchioro
Mattino dell'Alto Adige (Il), 17/06/1990 - La Storia per il Campiello di Donatello Bellomo
Messaggero (Il), 03/04/1990 - La duchessa e la femminista di Walter Pedullà
Messaggero (Il), 31/05/1991 - I sogni di Marianna Ucria di V.B.
Messaggero Veneto, 24/07/1990 - La Maraini racconta la genesi del suo romanzo di Luigi De Minicis
Nostro Tempo (Il), 06/05/1990 - Storia di una donna "murata" di Luca Desiato
Nuova Ferrara (La), 14/05/1990 - La lunga vita di Marianna Ucrìa di Monica Farnetti
Nuova Sardegna (La), 13/05/1990 - Oltre il silenzio, pensare da donna di Miretta Ruggeri
Nuova Sardegna (La), 26/04/1995 - Voci di donne per vincere la violenza di Angelo Santoro
Nuovo Torrazzo (Il), 18/05/1990 - Dacia Maraini "Scrivere: un vizio di famiglia" di P.G.G.
Nuovo Torrazzo (Il), 18/05/1991 - Incontri d'autore - Dacia Maraini di P.G.G.
Oggi, 09/05/1990 - Dacia fa la siciliana di Carlo Castellaneta
Ora (L'), 07/04/1990 - La Sicilia ritrovata attraverso un ritratto di Cristina Fratelloni
Panorama, 04/03/1990 - Il filo di Marianna di Alessandra Venezia
Piccolo (Il), 12/06/1990 - Un libro alla volta di P.B.
Piccolo (Il), 17/06/1990 - Cinque dentro e molti fuori di Giorgio Pison
Presenza Nuova, gen-feb 1991 - La lunga vita di Marianna Ucrìa
Proposte, 19/04/1990 - Dacia Maraini: La lunga vita di Marianna Ucrìa di Gaetano Sabatini
Provincia (La), 27/10/1990 - L'impegno di Dacia di Maria Marcone
Provincia (La), 19/06/1990 - Non mi parlate di messaggi Io non ci credo di Claudio Toscani
Provincia (La), 17/03/1990 - A Palermo figlia di un dio minore
Provincia (La), 21/04/1990 - La contessa sordomuta di Francesco Mannoni
Quadrivio (Il), lugl-ago 1991 - Dacia Maraini: Long Seller di Delmina Sivieri
Repubblica (La), 01/02/1991 - La lunga vita di Marianna Ucrìa
Repubblica (La) Campania, 31/08/1993 - La lunga vita di Marianna Ucrìa di Annella Prisco
Resto del Carlino (Il), 25/04/1990 - Silenzioso trionfo della nobildonna di Caludio Marabini
Secolo d'Italia, 11/09/1990 - Come fraintendere il 700 e vincere il Campiello di Luigi Tallarico
Sicilia (La), 28/03/1990 - Il riscatto dal silenzio di Angelo Pizzuto
Sicilia (La), 11/05/1990 - La donna non parla di Sebastiano Addamo
Stampa (La), 07/04/1990 - Maraini, Fuga nel 700 di Massimo Romano
Tam-tam, 29/09/1994 - La lunga vita di Marianna Ucrìa di Sabrina Mancini
Tempo (Il), 13/06/1990 - Duchessa muta erudita e ribelle di Antonio De Lorenzi
Tempo (Il), 29/04/1991 - Dacia Maraini? Fomani è da rileggere di Ivana Faranda
Tempo (Il), 11/05/1990 - La liberazione attraverso la scrittura di Dina D'Isa
Tirreno (Il), 16/05/1990 - Le parole che parlano nel libro della Maraini di Antonella Capitano
Tribuna di Treviso (La), 11/08/1990 - Suggestioni antiche per il romanzo moderno di Gabriella Imperatori
Trikelés, n°1 gen 1992 - Marianna Ucrìa di Angela Ricci Colli
Unità (L'), 04/04/1990 - Marianna muta in rivolta contro il sangue di Bruna Cordati
Unità (L'), 10/09/1990 - Il linguaggio del silenzio di Dacia Maraini di Nicola Fano
Unità (L'), 06/08/1990 - Andreotti e gli spot di Marianna Ucrìa di Emanuele Macaluso
Unità (L'), 07/03/1990 - Il settecento delle donne? Un secolo muto di Monica Ricci Sargentini
Vanity Fair, novembre 1990 - Venezia, giorno del Campiello di Roberto Pazzi
Venerdi di Repubblica (Il), 21/09/1990 - Lunga vita al piccolo guerriero di Daniela Pasti
Wimbledon, 25/05/1990 - Il silenzio di Marianna di Giorgio dell'Arti
Wimbledon, 19/02/1992 - La storia di Dacia letta dagli studenti di Lauretta Colonnelli
Wimbledon, n°13 apr 1991 - L'ora di Dacia di Sandra Petrignani
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Tom Waits: http://www.youtube.com/embed/JuSZEBuDUC4
Ryuichi Sakamoto Miki Nakatani: http://video.libero.it/app/play?id=b51379f8359e79675cc1f9a2ef648af8
Dolci Presenze del Viandante seguono l'Ombra in questo Silenzio popolato di Assenza.
Viaggiare. Dentro. Fuori.
Occhi. Lago di Nuvole. _________________