Vicentino, Valerio
(1468, Vicenza - ivi, 1546)
(1468, Vicenza - ivi, 1546)
Vita di Valerio Vicentino, di Giovanni da Castel Bolognese, 
di Matteo dal Nasaro veronese
e d’altri eccellenti intagliatori di camei e gioie
di Matteo dal Nasaro veronese
e d’altri eccellenti intagliatori di camei e gioie
|   Da che i Greci negl'intagli delle pietre orientali furono così divini, e ne' camei perfettamente lavorarono, per certo mi parrebbe fare non piccolo errore, se io passassi con silenzio coloro che quei maravigliosi ingegni hanno nell'età nostra imitato. Conciò sia che niuno è stato fra i moderni passati, secondo che si dice, che abbia passato i detti antichi di finezza e di disegno in questa presente e felice età, se non questi che qui di sotto conteremo. Ma prima che io dia principio, mi convien fare uri discorso breve sopra questa arte dell'intagliar le pietre dure e le gioie, la quale doppo le rovine di Grecia e di Roma ancora loro si perderono insieme con l'altre parti del disegno. 
Queste opere dello intagliare in cavo e di rilievo, se n'è visto giornalmente  in Roma trovarsi spesso fra le rovine: cammei e corgniole, sardoni et altri  eccellentissimi intagli, e molti e molti anni stette persa, che non si trovava  chi vi attendesse; e se bene si faceva qualche cosa, non erono di maniera che se  ne dovessi far conto, e per quanto se n'ha cognizione, non si trova che si  cominciasse a far bene, e dar nel buono, se non nel tempo di papa Martino V e di  Paolo II. Et andò crescendo di mano in mano per fino che 'l Magnifico Lorenzo  de' Medici, il quale si dilettò assai degli intagli de' cammei antichi, e fra  lui e Piero suo figliuolo ne ragunarono gran quantità, e massimamente calcidoni,  corgniuole et altra sorte di pietre intagliate, rarissime, le quali erano con  diverse fantasie dentro, che furono cagione che per metter l'arte nella loro  città e' conducessino di diversi paesi maestri che, oltra al rassettar loro  queste pietre, gli condussono dell'altre cose rare in quel tempo.   
Imparò da questi, per mezzo del Magnifico Lorenzo, questa virtù dell'intaglio  in cavo un giovane fiorentino chiamato Giovanni delle Corgniuole, il quale ebbe  questo cognome perché le intagliò eccellentemente, come fa testimonio infinite  che se ne veggono di suo, grandi e piccole, ma particolarmente una grande, dove  egli fece dentro il ritratto di fra' Girolamo Savonarola, nel suo tempo adorato  in Fiorenza per le sue predicazioni, ch'era rarissimo intaglio.   
Fu suo concorrente Domenico de' Cammei, milanese che, allora vivendo il duca  Lodovico il Moro, lo ritrasse in cavo in un balascio della grandezza più d'un  giulio, che fu cosa rara e de' migliori intagli che si fusse visto de' maestri  moderni.   
Accrebbe poi in maggiore eccellenza questa arte nel pontificato di papa Leone  Decimo, per la virtù et opere di Piermaria da Pescia, che fu grandissimo  imitatore delle cose antiche. E gli fu concorrente Michelino, che valse non meno  di lui nelle cose piccole e grandi, e fu tenuto un grazioso maestro. Costoro  apersono la via a quest'arte tanto difficile, poi che intagliando in cavo, che è  proprio un lavorare al buio, da che non serve ad altro che la cera per occhiali  a vedere di mano in mano quel che si fa, ridussono finalmente che Giovanni da  Castel Bolognese e Valerio Vicentino e Matteo dal Nasaro et altri facessino  tante bell'opere. che noi faremo memoria. E per dar principio dico che Giovanni  Bernardi da Castel Bolognese, il quale nella sua giovanezza, stando appresso il  duca Alfonso di Ferrara, gli fece, in tre anni che vi stette onoratamente, molte  cose minute, delle quali non accade far menzione; ma di cose maggiori la prima  fu che egli fece, in un pezzo di cristallo incavato, tutto il fatto d'arme della  Bastia, che fu bellissimo; e poi in un incavo d'acciaio il ritratto di quel  Duca, per far medaglie, e nel riverso Gesù Cristo preso dalle turbe. Dopo,  andato a Roma, stimolato dal Giovio, per mezzo d'Ipolito cardinale de' Medici e  di Giovanni Salviati cardinale, ebbe commodità di ritrarre  Clemente Settimo , onde ne fece un incavo per medaglie che fu bellissimo, e nel  rovescio quando Ioseffo si manifestò a' suoi fratelli. Di che fu da Sua Santità  rimunerato col dono d'una mazza, che è un uffizio, del quale cavò poi al tempo  di Paolo Terzo, vendendolo, dugento scudi. Al medesimo Clemente fece in quattro  tondi di cristallo i quattro Evangelisti, che furono molto lodati e  gl'acquistarono la grazia e l'amicizia di molti reverendissimi; ma  particolarmente quella del Salviati e del detto Ippolito cardinale de'  Medici, unico rifugio de' vertuosi, il quale ritrasse in medaglie d'acciaio et  al quale fece di cristallo quando ad Alessandro Magno è presentata la figliuola  di Dario. E dopo, venuto Carlo v a Bologna a incoronarsi, fece il suo ritratto  in un acciaio; et improntata una medaglia d'oro, la portò subito all'imperatore,  il quale gli donò cento doble d'oro, facendolo ricercare se voleva andar seco in  Ispagna. Il che Giovanni ricusò con dire che non potea partirsi dal servizio di  Clemente e d'Ippolito cardinale, per i quali avea alcuna opera cominciata, che  ancora era imperfetta.   
Tornato Giovanni a Roma, fece al detto cardinale de' Medici il ratto delle  Sabine, che fu bellissimo; per le quali cose, conoscendosi di lui molto debitore  il cardinale, gli fece infiniti doni e cortesie, ma quello fu di tutti maggiore  quando, partendo il cardinale per Francia, accompagnato da molti signori e  gentiluomini, si voltò a Giovanni che vi era fra gl'altri e, levatasi dal collo  una piccola collana, alla quale era appiccato un cammeo che valeva oltre  seicento scudi, gliele diede dicendogli che lo tenesse insino al suo ritorno,  con animo di sodisfarlo poi di quanto conosceva che era degna la virtù di  Giovanni. Il quale cardinale morto, venne il detto cammeo in mano del cardinal  Farnese, per lo quale lavorò poi Giovanni molte cose di cristallo, e  particolarmente per una croce un Crucifisso et un Dio Padre di sopra, e dagli  lati la Nostra Donna, e San Giovanni, e la Maddalena a' piedi. Et in un  triangolo a' piè della croce fece tre storie della Passione di Cristo, cioè una  per angolo. E per due candelieri d'argento fece in cristallo sei tondi: nel  primo è il centurione che prega Cristo che sani il figliuolo; nel secondo la  probatica piscina; nel terzo la Trasfigurazione in sul monte Tabor; nel quarto è  il miracolo de' cinque pani e due pesci; nel quinto quando cacciò i venditori  del tempio; e nell'ultimo la ressurezione di Lazzaro, che tutti furono  rarissimi. Volendo poi fare il medesimo cardinal Farnese una cassetta d'argento  ricchissima, fattone fra l'opera a Marino orefice fiorentino, che altrove se ne  ragionerà, diede a fare a Giovanni tutti i vani de' cristalli, quali gli  condusse tutti pieni di storie e di marmo di mezzo rilievo; fece le figure  d'argento e gli ornamenti tondi con tanta diligenza, che non fu mai fatta altra  opera con tanta e simile perfezzione. Sono di mano di Giovanni nel corpo di  questa cassa intagliate in ovati queste storie con arte maravigliosa, la caccia  di Meleagro e del porco calidonio, le baccanti et una battaglia navale, e  similmente quando Ercole combatté con l'amazzone, et altre bellissime fantasie  del cardinale; ne fece fare i disegni finiti a Perino del Vaga et a altri maestri. Fece  appresso in un cristallo il successo della presa della Goletta, et in un altro  la guerra di Tunisi.   
Al medesimo cardinale intagliò, pur in cristallo, la Nascita di Cristo,  quando ora nell'orto, quando è preso da' Giudei, quando è menato ad Anna, Erode  e Pilato, quando è battuto e poi coronato di spine, quando porta la croce,  quando è confitto e levato in alto, et ultimamente la sua santissima e gloriosa  Resurrezzione: le quali opere tutte furono non solamente bellissime, ma fatte  anco con tanta prestezza, che ne restò ogni uomo maravigliato. Et avendo  Michelagnolo fatto un disegno (il che mi si era scordato di sopra) al detto  cardinale de' Medici, d'un Tizio a cui mangia un avoltoio il cuore, Giovanni  intagliò benissimo in cristallo; sì come anco fece con un disegno del medesimo  Buonarroto un Fetonte che, per non sapere guidare il carro del sole, cadé in Po,  dove piangendo le sorelle sono convertite in alberi.   
Ritrasse Giovanni madama Margherita d'Austria, figliuola di Carlo Quinto  imperadore, stata moglie del duca Alessandro de' Medici et allora donna del duca  Ottavio Farnese, e questo fece a concorrenza di Valerio Vicentino; per le quali  opere fatte al cardinale Farnese, ebbe da quel signore in premio un uffizio d'un  giannizzero, del quale trasse buona somma di danari; Et oltre ciò, fu dal detto  signor tanto amato, che n'ebbe infiniti altri favori. Né passò mai il cardinale  da Faenza, dove Giovanni aveva fabricato una commodissima casa, che non andasse  ad alloggiare con esso lui.   
Fermatosi dunque Giovanni in Faenza, per quietarsi dopo aver molto  travagliato il mondo, vi si dimorò sempre; et essendogli morta la prima moglie,  della quale non aveva avuto figliuoli, prese la seconda di cui ebbe due maschi  et una femmina, con i quali, essendo agiato di possessioni e d'altre entrate,  che gli rendevano meglio di quattrocento scudi, visse contento insino a sessanta  anni. Alla quale età pervenuto, rendé l'anima a Dio il giorno della Pentecoste  l'anno 1555.   
Matteo del Nassaro, essendo nato in Verona d'un Iacopo dal Nassaro  calzaiuolo, attese molto nella sua prima fanciullezza non solamente al disegno,  ma alla musica ancora, nella quale fu eccellente, avendo in quella per maestri  avuto Marco Carrà et il Tromboncino veronesi, che allora stavano col marchese di  Mantoa. Nelle cose dell'intaglio gli furono di molto giovamento due veronesi  d'onorate famiglie, con i quali ebbe continua pratica: l'uno fu Niccolò Avanzi,  il quale lavorò in Roma privatamente cammei, corniuole et altre pietre, che  furono portate a diversi principi. Et hacci di quegli che si ricordano aver  veduto [in] un lapislazaro largo tre dita, di sua mano, la Natività di Cristo  con molte figure, il quale fu venduto alla duchessa d'Urbino come cosa  singolare. L'altro fu Galeazzo Mondella, il quale, oltre all'intagliar le gioie,  disegnò benissimo. Da questi due adunque avendo Matteo tutto quello che sapevano  apparato, venutogli un bel pezzo di diaspro alle mani, verde e macchiato di  gocciole rosse come sono i buoni, v'intagliò dentro un Deposto di croce con  tanta diligenza, che fece venire le piaghe in quelle parti del diaspro che erano  macchiate di sangue; il che fece essere quell'opera rarissima, et egli  commendatone molto. Il quale diaspro fu venduto da Matteo alla marchesana  Isabella da Este.   
Andatosene poi in Francia, dove portò seco molte cose di sua mano, perché gli  facessero luogo in corte del re Francesco Primo, fu introdotto a quel signore,  che sempre tenne in conto tutte le maniere de' virtuosi; il quale re, avendo  preso molte delle pietre da costui intagliate, toltolo al servigio suo et  ordinatogli buona provisione, non l'ebbe men caro per essere eccellente sonatore  di liuto et ottimo musico, che per il mestiere dell'intagliar le pietre. E di  vero niuna cosa accende maggiormente gl'animi alle virtù, che il veder quelle  essere apprezzate e premiate dai principi e signori, in quella maniera che ha  sempre fatto per l'adietro l'illustrissima casa de' Medici, et ora fa più che  mai, e nella maniera che fece il detto re Francesco veramente magnanimo. Matteo  dunque, stando al servigio di questo re, fece non pure per sua maestà molte cose  rare, ma quasi a tutti i più nobili signori e baroni di quella corte, non  essendovi quasi niuno che non avesse (usandosi molto allora di portare cammei et  altre simili gioie al collo e nelle berette) dell'opere sue. Fece al detto re  una tavola per l'altare della capella di sua maestà, che si faceva portare in  viaggio, tutta piena di figure d'oro, parte tonde e parte di mezzo rilievo, con  molte gioie intagliate sparse per le membra delle dette figure. Incavò parimenti  molti cristalli, gl'esempi de' quali, in solfo e gesso, si veggiono in molti  luoghi, ma particolarmente in Verona, dove sono tutti i pianeti bellissimi et  una Venere con un Cupido che volta le spalle, il quale non può esser più bello.  In un bellissimo calcidonio, stato trovato in un fiume, intagliò divinamente  Matteo la testa d'una Deanira quasi tutta tonda con la spoglia del leone in  testa e con la superficie lionata, et in un filo di color rosso, che era in  quella pietra, accomodò Matteo nel fine della testa del lione il rovescio di  quella pelle tanto bene, che pareva scorticata di fresco. In un'altra macchia  accomodò i capegli, e nel bianco la faccia et il petto e tutto con mirabile  magisterio. La quale testa ebbe insieme con l'altre cose il detto re Francesco.  Et una impronta ne ha oggi in Verona il Zoppo orefice, che fu suo discepolo.   
Fu Matteo liberalissimo e di grande animo, in tanto che più tosto arebbe  donato l'opere sue, che vendutele per vilissimo prezzo; perché, avendo fatto a  un barone un cammeo d'importanza e volendo colui pagarlo una miseria, lo pregò  strettamente Matteo che volesse accettarlo in cortesia; ma colui, non lo volendo  in dono, e pur volendolo pagare piccolissimo prezzo, venne in collora Matteo, et  in presenza di lui con un martello lo stiacciò. Fece Matteo per lo medesimo re  molti cartoni per panni d'arazzo, e con essi, come volle il re, bisognò che  andasse in Fiandra e tanto vi dimorasse che fussono tessuti di seta e d'oro. I  quali finiti e condotti in Francia, furono tenuti cosa bellissima. Finalmente,  come quasi tutti gl'uomini fanno, se ne tornò Matteo alla patria portando seco  molte cose rare di que' paesi, e particolarmente alcune tele di paesi fatte in  Fiandra a olio et a guazzo, e lavorati da bonissime mani; le quali sono ancora  per memoria di lui tenute in Verona molto care dal signor Luigi e signor  Girolamo Stoppi. Tornato Matteo a Verona, si accomodò di stanza in una grotta  cavata sotto un sasso, al quale è sopra il giardino de' frati Gesuati; luogo  che, oltre all'esser caldissimo il verno e molto fresco la state, ha una  bellissima veduta. Ma non poté godersi Matteo questa stanza fatta a suo  capriccio quanto arebbe voluto: perché liberato che fu dalla sua prigionia, il  re Francesco mandò subito per uno a posta a richiamar Matteo in Francia, e  pagargli la provisione eziandio del tempo che era stato in Verona. E giunto là,  lo fece maestro de' conii della zecca. Onde Matteo, presa moglie in Francia,  s'accomodò, poiché così piacque al re suo signore, a vivere in que' paesi. Della  qual moglie ebbe alcuni figliuoli, ma a lui tanto dissimili, che n'ebbe poca  contentezza.   
Fu Matteo così gentile e cortese, che chiunche capitava in Francia, non pure  della sua patria Verona, ma lombardo, carezzava straordinariamente. Fu suo  amicissimo in quelle parti Paulo Emilio Veronese, che scrisse l'istorie franzesi  in lingua latina. Fece Matteo molti discepoli, e fra gl'altri un suo veronese,  fratello di Domenico Brusciasorzi, due suoi nipoti, che andarono in Fiandra, et  altri molti Italiani e Franzesi, de' quali non accade far menzione. E finalmente  si morì non molto dopo la morte del re Francesco di Francia.   
Ma per venire oramai all'eccellente virtù di Valerio Vicentino, del quale si  ragionerà, egli condusse tante cose grande e piccole, d'intaglio, encavo e di  rilievo, ancora con una pulitezza e facilità che è cosa da non credere; e se la  natura avesse fatto così buon maestro Valerio di disegno, come ella lo fece  eccellentissimo nello intaglio, e diligente e pazientissimo nel condur l'opere  sue da che fu tanto e spedito, arebbe passato di gran lunga gli antichi, come  gli paragonò, e con tutto ciò ebbe tanto ingegno, che si valse sempre o de'  disegni da lui o degli intagli antichi nelle sue cose. Condusse Valerio a papa  Clemente VII una cassetta tutta di cristalli, condotta con mirabil magisterio,  che n'ebbe da quel Pontefice per sua fattura scudi duomila d'oro, dove Valerio  intagliò in que' cristalli tutta la Passione di Gesù Cristo col disegno d'altri;  la qual cassetta fu poi donata da papa Clemente al re Francesco a Nizza, quando  andò a marito la sua nipote al duca d'Orliens, che fu poi il re Arrigo. Fece  Valerio per il medesimo papa alcune paci bellissime, et una croce di cristallo  divina, e similmente conii da improntar medaglie, dov'era il ritratto di papa  Clemente con rovesci bellissimi, e fu cagione che nel tempo suo quest'arte si  acrebbe di tanti maestri, che innanzi al sacco di Roma che da Milano e di altri  paesi n'era cresciuto sì gran numero, che era una maraviglia.   
Fece Valerio le medaglie de' dodici imperatori co' lor rovesci, cavate dallo  antico, più belle, e gran numero di medaglie greche; intagliò tante altre cose  di cristallo, che non si vede altro che pieno le botteghe degli orefici et il  mondo che delle cose sua formate o di gesso o di zolfo o d'altre mesture da  encavi, dove e' fece storie o figure o teste. Costui aveva una pratica tanto  terribile che non fu mai nessuno del suo mestiero che facesse più opere di lui.  Condusse ancora a papa Clemente molti vasi di cristalli quale parte donò a  diversi principi e parte fur posti in Fiorenza nella chiesa di San Lorenzo  insieme con molti vasi che erano in casa Medici, già del Magnifico Lorenzo  Vecchio e d'altri di quella illustrissima casa, per conservare le reliquie di  molti Santi, che quel pontefice donò per memoria sua a quella chiesa, che non è  possibile veder la varietà de' garbi di que' vasi, che son parte di sardoni,  agate, amatisti, lapislazzari e parte plasme et elitropie e diaspri, cristalli,  corniuole che, per la valuta e bellezza loro, non si può desiderar più.   
Fece a papa Paulo Terzo una croce e dua candellieri pur di cristallo,  intagliatovi dentro storie della Passione di Gesù Cristo in varii spartimenti di  quell'opera, et infinito numero di pietre piccole e grandi che troppo lungo  saria il volerne far memoria. Trovasi appresso il cardinal Farnese molte cose di  man di Valerio, il quale non lasciò manco cose lavorate, che facesse Giovanni  sopra detto, e d'anni settantotto ha fatto con l'occhio e con le mani miracoli  stupendissimi, et ha insegnato l'arte a una sua figliuola, che lavora benissimo.  [Era] Valerio tanto vago di procacciare antiquità di marmi et impronte di gesso  antiche e moderne, e disegni e pitture di mano di rari uomini, che non guardava  a spesa niuna. Onde la sua casa in Vicenza è piena e di tante varie cose adorna,  che è uno stupore, e nel vero si conosce che quando uno porta amore alla virtù,  egli non resta mai infino alla fossa; onde n'ha merito e lode in vita, e si fa  doppo la morte inmortale.   
Fu Valerio molto premiato delle fatiche sue, et ebbe ufizii e benefizii assai  da que' principi che egli servì. Onde possono quegli che sono rimasi doppo lui,  mercé d'esso, mantenersi in grado onorato. Costui quando non poté più, per li  fastidi che porta seco la vecchiezza, attendere all'arte, né vivere, rese  l'anima a Dio l'anno 1546.   
Fu ne' tempi a dietro in Parma il Marmita, il quale un tempo attese alla  pittura poi si voltò allo intaglio, e fu grandissimo imitatore degli antichi. Di  costui si vidde molte cose bellissime. Insegnò l'arte a un suo figliuolo  chiamato Lodovico, che stette in Roma gran tempo col cardinal Giovanni de' Salviati, e fece per questo signore quattro  ovati intagliati di figure nel cristallo molto eccellenti, che fur messi in una  cassetta d'argento bellissima, che fu donata poi alla illustrissima signora  Leonora di Tolledo, duchessa di Fiorenza. Costui fece fra molte sue opere un  cammeo con una testa di Socrate molto bella, e fu gran maestro di contrafar  medaglie antiche, delle quali ne cavò grandissima utilità.   
Seguitò in Fiorenza Domenico di Polo fiorentino , eccellente maestro  d'incavo, il quale fu discepolo di Giovanni delle Corgnole di che s'è ragionato;  il qual Domenico a' nostri giorni ritrasse divinamente il duca Alessandro de'  Medici, e ne fé conii in acciaio e bellissime medaglie con un rovescio, dentrovi  una Fiorenza. Ritrasse ancora il duca Cosimo il primo anno che fu eletto al  governo di Fiorenza; e nel rovescio fece il segno del capricorno e molti altri  intagli di cose piccole che non scade farne memoria, e morì d'età d'anni 65.   
Morto Domenico, Valerio e il Marmita e Giovanni da Castel Bolognese, rimasono  molti che gli hanno di gran lunga avanzati, come in Venezia Luigi Anichini  ferrarese, il quale, di sottigliezza d'intaglio e di acutezza di fine, ha le sue  cose fatto apparire mirabili; ma molto più ha passato innanzi a tutti in grazia,  bontà et in perfezione e nell'essere universale, Alessandro Cesari, cognominato  il Greco, il quale ne' cammei e nelle ruote ha fatto intagli di cavo e di  rilievo con tanta bella maniera, e così in conii d'acciaio in cavo con i bulini,  ha condotte le minutezze dell'arte con quella estrema diligenza, che maggior non  si può imaginare, e chi vuole stupire de' miracoli suoi, miri una medaglia fatta  a papa Pavolo Terzo del ritratto suo che par vivo, col suo rovescio, dove  Alessandro Magno che, gettato a' piedi del gran sacerdote di Ierosolima, lo  adora, che non figure da stupire e che non è possibile far meglio; e Michelagnolo Buonarroti stesso guardandole,  presente Giorgio Vasari, disse che era venuto l'ora  della morte nell'arte perciò che non si poteva veder meglio.   
Costui fé per papa Iulio Terzo la sua medaglia l'anno santo 1550, con un  rovescio di que' prigioni che al tempo degli antichi erano ne' lor giubilei  liberati, che fu bellissima e rara medaglia, con molti altri conii e ritratti  per le zecche di Roma, la quale ha tenuta esercitata molti anni. Ritrasse  Pierluigi Farnese duca di Castro, il duca Ottavio suo figliuolo, et al cardinale  Farnese fece in una medaglia il suo ritratto: cosa rarissima, ché la testa fu  d'oro e 'l campo d'argento. Costui condusse la testa del re Arrigo di Francia  per il cardinale Farnese della grandezza più d'un giulio in una corniuola,  incavò d'intaglio in cavo che è stato uno de' più begli intagli moderni che si  sia veduto mai, per disegno, grazia, bontà e diligenza. Vedesi ancora molti  altri intagli di sua man in cammei, e perfettissima una femina ignuda fatta con  grande arte, e così un altro dove è un leone e parimente un putto, e molti  piccoli che non scade ragiornarne; ma quello che passò tutti, fu la testa di  Fotione ateniese, che è miracolosa et il più bello cameo che si possa vedere.   
Si adopera ancora oggi ne cammei Giovanantonio de' Rossi milanese, bonissimo  maestro, il quale, oltra alle belle opere che ha fatto di rilievo e di cavo in  varii intagli, ha per lo illustrissimo duca Cosimo de' Medici condotto un cammeo  grandissimo, cioè un terzo di braccio alto e largo parimente, nel quale ha  cavato dal mezzo in su due figure, cioè Sua Eccellenza e la illustrissima  duchessa Leonora sua consorte, che ambidue tengano un tondo con le mani dentrovi  una Fiorenza; sono apresso a questi ritratti di naturale il principe don  Francesco con don Giovanni cardinale, don Garzia e don Arnando, e don Pietro  insieme con donna Isabella e donna Lucrezia, tutti lor figliuoli, che non è  possibile vedere la più stupenda opera di cammeo, né la maggior di quella, e  perch'ella supera tutti i cammei et opere piccole che egli ha fatti, non ne farò  altra menzione potendosi veder l'opere.   
Cosimo, da Trezzo, ancora ha fatto molte opere degne di questa professione,  il quale ha meritato, per le rare qualità sue, che il gran re Filippo Cattolico  di Spagna lo tenga apresso di sé con premiallo et onorallo per le virtù sue  nello intaglio in cavo e di rilievo della medesima professione, che non ha pari  per far ritratti di naturale, nel quale egli vale infinitamente, e nell'altre  cose.   
Di Filippo Negrolo milanese, intagliatore di cesello in arme di ferro con  fogliami e figure, non mi distenderò avendo operato, come si vede, in rame, cose  che si veggono fuor di suo, che gli hanno dato fama grandissima. E Gasparo e  Girolamo Misuroni milanesi intagliatori, di quali s'è visto vasi e tazze di  cristallo bellissime, e particolarmente hanno condotti per il duca Cosimo dua  che son miracolosi, oltre che ha fatto in un pezzo di elitropia un vaso di  maravigliosa grandezza e di mirabile intaglio, così un vaso grande di  lapislazari, che ne merita lode infinita; et Iacopo da Trezzo fa in Milano il  medesimo; che nel vero hanno renduta questa arte molto bella e facile.   
Molti sarebbano che io potrei raccontare, che nello intaglio di cavo per le  medaglie, teste e rovesci, che hanno paragonato e passato gli antichi, come  Benvenuto Cellini, che al tempo che egli esercitò l'arte dello orefice in Roma  sotto papa Clemente, fece dua medaglie dove, oltra alla testa di papa Clemente  che somigliò che par viva, fé in un rovescio la Pace che ha legato il Furore e  bruscia l'armi, e nell'altra Moisè che, avendo percosso la pietra, ne cava  l'acqua per il suo popolo assetato, che non si può far più in quell'arte così;  poi nelle monete e medaglie che fece per il duca Alessandro in Fiorenza. Del  cavalier Lione Aretino, che in questo fatto il medesimo, altrove se ne farà  memoria e delle opere che ha fatto e che egli fa tuttavia.   
Pietropavolo Galeotto romano, fece ancor lui, e fa appresso il duca Cosimo,  medaglie de' suoi ritratti, e conii di monete, et opere di tarsia immitando  gl'andari di maestro Salvestro, che in tale professione fece in Roma cose  maravigliose, eccellentissimo maestro.   
Pastorino da Siena ha fatto il medesimo nelle teste di naturale, che si può  dire che abbi ritratto tutto il mondo di persone, e signori grandi e virtuosi,  et altre basse genti; costui trovò uno stucco sodo da fare i ritratti che  venissino coloriti a guisa de' naturali, con le tinte delle barbe, capelli e  color di carni, che l'ha fatte parer vive; ma si debbe molto più lodare negli  acciai, di che ha fatto conii di medaglie eccellenti. Troppo sarei lungo se io  avessi di questi che fanno ritratti di medaglie di cera a ragionare, perché oggi  ogni orefice fa, e gentiluomini assai vi si son dati e vi atendano, come  Giovanbatista Sozini a Siena et il Rosso de' Giugni a Fiorenza et infiniti  altri, che non vo' ora più ragionare, e, per dar fine a questi, tornerò agli  intagliatori di acciaio, come Girolamo Fagiuoli bolognese, intagliatore di  cesello e di rame, et in Fiorenza Domenico Poggini, che ha fatto e fa conii per  la zecca con le medaglie del duca Cosimo, e lavora di marmo statue, imitando in  quel che può i più rari et eccellenti uomini che abbin fatto mai cose rare in  queste professioni.  
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