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martedì 23 aprile 2013

Resistenza in Germania sotto il totalitarismo nazista

Anti nazi activist

La Resistenza in Germania sotto il totalitarismo nazista

Filmografia





Sophie Sophie Scholl die letzten tage 1CD 2005 srt rustorrents ru 

(Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=X6p7eDaX7n8 - Ixari Artemii 
- Pubblicato in data 13 giugno 2013 - si ringrazia) 
(Condivisione: http://youtu.be/X6p7eDaX7n8) 
Categoria: Istruzione 
Licenza: Licenza YouTube standard




Testo integrale di una conferenza di Gerd Neises, 
I giovani nel Terzo Reich - tra adattamento e resistenza
Per i nazisti il controllo ideologico dei giovani era di primaria importanza. La Hitlerjugend ("Gioventù hitleriana") era l'organizzazione che aveva il compito di controllare e di formare ideologicamente e anche militarmente i giovani. Tutti gli altri organizzazioni giovanili erano vietati. Proprio il carattere semi-militare e il permanente indottrinamento ripugnava però molti giovani che cercavano con molti mezzi di sottrarsi alla sua influenza e di formare dei gruppetti autonomi che, anche se spesso non avevano un carattere esplicitamente politico, erano ritenuti pericolosi dai nazisti essendo un'alternativa attraente e libera per molti giovani.

Questo mondo dei giovani tra adattamento e resistenza viene illustrata nella conferenza di Gerd Neises che ha vissuto quel periodo da ragazzo e che in questa conferenza parla anche di propria esperienza.
Un ricordo personale

Vorrei iniziare la mia relazione raccontando un ricordo della mia infanzia: Nel 1942 noi ragazzini dodicenni vivevamo malgrado la guerra in un mondo ancora quasi intatto, giocando agli indiani. Ma anche in questo mondo di fantasie infantili c'erano "pericoli" reali: il guardiano per esempio, che sorvegliava la zona fuori della città e non tollerava i nostri fuochi di bivacco così importanti per la vita d'un indiano... E fra questi pericoli minacciandoci realmente, c'erano ragazzi più grandi di sedici, diciassette anni, di cui si parlava soltanto sottovoce, dicendoci che assalissero e bastonassero i più piccoli! Giravamo al largo da loro e li conoscevamo appena; sapevamo soltanto il loro soprannome: si chiamavano "Edelweiß-Piraten" (pirati della stella alpina) ed il capo era un ragazzo grande e forte, che si chiamava "Peter Müller"...

In quel periodo mia madre si ammalò di una infiammazione alle vene della gamba destra e a causa del pericolo di una trombosi doveva restare a letto. Nella nostra casa veniva una giovane donna molto gentile per assisterci e noi la amavamo molto. Presto mi feci animo e le domandai se lei, chiamandosi Maria Müller, fosse per caso una parente di quel tale Peter Müller: era sua sorella! Perciò io non fui soltanto "salvato" dal pericolo, ma anche conobbi un fenomeno della opposizione giovanile di quel tempo - pensando che il capo dei "pirati della stella alpina", avendo una sorella così gentile, non potesse essere cattivissimo come si andava raccontando...

Questa conferenza tratta l'opposizione e la resistenza giovanile contro il nazismo. I "pirati della stella alpina" ed altri gruppi giovanili hanno preoccupato e allarmato la HJ e la Gestapo in misura tale da rendere evidente che si trattava di un fenomeno di massa e di un pericolo da non sottovalutare. Per chiarire il fenomeno di una opposizione e resistenza giovanile contro il nazismo bisogna esaminare prima il cosiddetto "Movimento Giovanile" nella Germania fino al 1933 e la "Gioventù hitleriana" del Terzo Reich.

Il Movimento giovanile ("Jugendbewegung")

Con un evento poco appariscente inizia verso la fine del secolo scorso un movimento che ha fatto epoca nella storia tedesca del nostro secolo: Nel 1896/1897 ragazzi di 15/16 anni di un liceo a Steglitz (oggi parte di Berlino) si divertono camminando fuori nella campagna e nei boschi della regione. Da questo divertimento semplice si forma non soltanto un piccolo gruppo, ma anche una forma di ribellione giovanile contro il mondo degli adulti, contro la mentalità piccolo borghese dei loro genitori, contro la civiltà urbana ed anche contro la vita normale dei giovani coetanei. Questo gruppo si chiama "Wandervogel" ("uccello migratore"). Ai tempi della mia gioventù noi giovani abbiamo cantato ancora una canzone che forse meglio di ogni altra spiegazione può chiarire il sentimento principale del Wandervogel. Vorrei tentare di tradurla:

"Fuori delle mura delle città grigie
camminiamo in bosco e in campagna;
chi vuole vada alla malora -
noi ci incamminiamo attraverso il mondo..."

`E un sentimento idealistico e romantico che muove questi ragazzi: soltanto nella natura e non nella civiltà moderna si può trovare il significato della vita! La chiave d'accesso al senso della vita nascosto è il "fiore blu" ("die Blaue Blume" che scoprì Heinrich von Oftendingen nel romanzo omonimo del poeta tedesco romantico Novalis). Si cantava anche:

"chi vuole trovare il fiore blu -
deve essere un Wandervogel,
deve essere un Wandervogel!"

Il piccolo gruppo del "Wandervogel" di Steglitz fece l'effetto della scintilla iniziale. In pochi anni si diffusero rapidamente gruppi simili in tutta la Germania e non soltanto in Germania: anche a Vienna, a Praga e in altre città dell'Austria. Conosciute sono anche fondazioni nelle università.

Nel 1910 si contavano già 120 gruppi locali del "Wandervogel"! Abbiamo qui, nel "Wandervogel" già tutti gli elementi fondamentali del movimento giovanile tedesco:

autodeterminazione ed indipendenza dagli adulti;

sentimento di solidarietà e di amicizia in un gruppo di coetanei;

principio di un capo della stessa età, scelto in virtù del suo "carisma",

applicazione seria e profonda della "filosofia di vita", coltivando più la sfera estetica ed emozionale che le capacità intellettuali;

la ricerca di nuove forme di vita: l'evento centrale della vita giovanile è <die Fahrt>, parola che significa nel senso antico il viaggio di un gruppo, meglio di viandanti, che camminano a piedi, adesso non soltanto con la piccozza, il bastone del viandante, ma anche con la chitarra, cantando le canzoni "popolari" o quelle del movimento, vivendo durante la gita spartanamente, riscaldandosi la sera accanto ad un fuoco di bivacco, sognando, cantando, raccontando favole o storie romantiche, e dormendo nella tenda o in un fienile...

In questo rapido sviluppo si possono anche studiare caratteristiche importanti del movimento giovanile: Si può facilmente immaginare, come quelle idee romantiche, individualistiche, emotive, e nebulose abbiano avuto come conseguenza non soltanto un'abbondanza di interpretazioni molto differenti, ma anche una discussione continua e appassionata, su quale interpretazione fosse la più giusta. Tutta la storia del movimento giovanile è anche una storia di alterchi, di scissioni, di fondazioni nuove in opposizione alle denominazioni vecchie; ma anche una storia di tanti tentativi di unirsi e di conciliare le direzioni diverse.

Devo anche parlare di un aspetto singolare del movimento giovanile - anch'esso importante per il nostro discorso. Ho già parlato delle "canzoni popolari" che cantavano i gruppi del "Wandervogel" durante le gite. "Volkslied" ha un significato particolare: è la canzone semplice ma spontanea che è attribuita al "popolo" nel senso romantico del termine. "Popolo" in questo senso, non è soltanto la gente semplice e genuina, ma anche la comunità nazionale. Cosi l'aggettivo <völkisch> (popolare = etnico) ha significati differenti, molto sfumati e poco distinti; può significare il rispetto e l'entusiasmo per i valori originali della cultura popolare, può significare "l'amore per la patria", ma può anche significare un'ideologia quasi razzista, che vede nell'essere tedesco un valore superiore, che possiedono soltanto i membri di questo "popolo" di contro agli altri.

Nel 1913 si radunano sull'Hohen Meißner, un monte vicino a Kassel, circa 3.000 giovani, rappresentanti di 13 organizzazioni. Al primo posto della famosa Dichiarazione del Hohen Meißner" si trova l'espressione della autodeterminazione: La "Freideutsche Jugend" (gioventù tedesca libera) "vuole formare la propria vita autonomamente, con responsabilità propria, con una propria verità. Per questa libertà stringiamo un patto".

Gustav Wyneken, uno dei capi spirituali del movimento giovanile di quel tempo, disse fra l'applauso dei "Freideutschen" nel 1914, che bisognerebbe entrare in gara con gli altri popoli per scopi più elevati del mero potere esteriore; ma, nonostante tutto, "Wandervögel" e "Freideutsche", marciavano verso la guerra con grande entusiasmo!

Il movimento giovanile tra il 1920 e il 1933

I giovani soldati ritornarono dalla Guerra Mondiale delusi;non potevano e non volevano accettare che tutti i loro sacrifici, tutta la virtù militare, tutto l'eroismo, fossero finiti nel disastro della sconfitta tedesca. I membri del "Wandervogel" e delle "Freideutschen" cercando di formare i loro gruppi anche durante il servizio al fronte, furono influenzati dal pathos e dal mito del guerriero e fecero entrare questi pensieri ideologici nel movimento giovanile tra il 1920 ed il 1933.

Vediamo di nuovo dei conflitti e delle scissioni, dei fenomeni radicali: già nel 1919 fu fondata una confederazione come unione "di tutti quelli che pensano 'völkisch' e vogliono salvare l'integrità della patria"; tanti "Wandervögel" cercarono un contatto con la "Reichswehr" (l'esercito tedesco del dopo-guerra, in parte illegale); ma esistevano anche degli orientamenti pacifisti e internazionalisti assieme ai gruppi che si orientavano verso il marxismo.

C'è, però, un punto importante in comune: tutti si occupano della costruzione di una vita giovanile autonoma dagli adulti, che si orienta ad una interpretazione particolare del mondo, della vita, dell'età giovanile; tutti sono convinti del significato e dell'importanza della gioventù come un ceto (quasi nel significato medioevale!). La forma d'organizzazione è il "Bund", adesso in un senso nuovo e molto più ampio: non è soltanto una confederazione ma un patto di vita, un ordine nel significato quasi religioso del termine; si orienta al prototipo medievale dell'ordine cavalleresco tedesco! La confederazione si impegna a servire all'idea di un rinnovamento del popolo e dell'impero. Al posto del gruppo individualistico e rilassato dei girovaganti si crea adesso un gruppo disciplinato: i suoi membri portano una vera propria divisa che esprime all'esterno un comportamento ispirato alla buona creanza e alla disciplina: la meta è di tenersi a freno.

Alla consapevolezza giovanile di essere una parte autonoma ed importante della società corrisponde la "scoperta" della gioventù da parte della società medesima. La gioventù giocava nella Repubblica di Weimar un ruolo immenso; "Chi possiede la gioventù, possiede il futuro!" era la convinzione comune. Accanto al movimento giovanile i partiti politici fondavano le loro organizzazioni. Di grande importanza erano anche le organizzazioni della chiesa cattolica e delle chiese protestanti.

Malgrado i contatti politici e il grande influsso culturale del movimento della gioventù confederata, essa non riuscì a sviluppare un concetto concreto ed efficiente della politica pratica. Ciò non dipendeva solo dalla filosofia e dottrina più romantica che realistica del movimento: p.e. l'idea del "popolo" era confusa e molto lontana dalla struttura reale della società contemporanea. Neanche era soltanto espressione dell'arroganza giovanile che pretendeva di possedere nelle strutture e forme della sua confederazione un modello per l'ordine di tutta la società. Era anche la conseguenza di una sfiducia generale nella Repubblica di Weimar, nella democrazia (che non corrispondeva al sentimento elitario del movimento) e nella politica in generale (che era una cosa degli adulti).

Questo "vuoto politico" fu riempito dopo il 1926 dalla destra politica. Già nel movimento dell'anteguerra c'erano gruppi con tendenze antisemitiche ed estremamente nazionalistiche che usavano contro gli avversari il rimprovero di essere "liberaleggiante", "minato mentalmente e personalmente dagli ebrei" ("verjudet"), e "contro gli interessi del popolo tedesco" ("gegenvölkisch"). Dopo la guerra si rinforzarono i sospetti paranoici - adesso anche contro il "pericolo bolscevico". Troviamo nel movimento giovanile confederazioni che sostengono l'antisemitismo, il razzismo, che pensano con la categoria "großdeutsch" (gran tedesco - nel significato che appartengono all'impero tedesco anche tutti i tedeschi fuori dai confini) e cominciano a coltivare l'ideologia di una cultura "nordica".

"Hitler-Jugend" ("Gioventù hitleriana")

La fondazione della "Hitlerjugend" non ha molto in comune col movimento giovanile dell'epoca. Nella Sassonia sorsero nel 1925/26 alcuni gruppi giovanili locali del partito nazionalsocialista; essi venero riconosciuti durante il giorno del partito 1926 a Weimar e furono chiamati "Hitlerjugend. Bund deutscher Arbeiterjugend" (Confederazione della gioventù operaia tedesca). In realtà la HJ fu una sezione della "SA" (battaglioni d'assalto) per i giovani dai 14 ai 18 anni in una certa analogia ai ragazzi dei "fasci" nel primo tempo del fascismo in Italia! La HJ fu sottoposta alla dirigenza superiore della SA. Fondamentalmente si trattava di attività politiche: dimostrazioni, agitazione, "battaglie di strada" con i comunisti - nel 1933 si contavano ben 21 membri della HJ caduti in scontri politici...

All'inizio degli anni trenta sotto la dirigenza di Baldur von Schirach (nominato nel 1931 da Hitler "Reichsjugendführer" del partito nazista) la HJ riuscì a guadagnare simpatia fra la gioventù; benché essa contasse soltanto circa 40.000 membri iscritti, nel "giorno della gioventù" a Potsdam il 1 e 2 ottobre 1932 per sette ore circa 100.000 giovani in colonne militari marciarono davanti a Hitler.

La HJ dopo la presa del potere nel 1933

Dopo la "presa del potere" (il 30 gennaio 1933) il partito nazista proclamò la HJ l'unica organizzazione giovanile nel Terzo Reich. Oltre che in famiglia e a scuola l'intera gioventù tedesca dovette essere educata nella HJ "al servizio del popolo e della comunità popolare". La HJ cercò di sopprimere tutte le leghe politiche, confessionali, confederate o autonome della gioventù, persino la gioventù sportiva e il lavoro per la gioventù delle associazioni professionali. Verso la fine della Repubblica di Weimar si contavano circa da 5 a 6 milioni di membri nelle organizzazione giovanili.

Il 5 aprile 1933 Schirach fece occupare da un gruppo della HJ l'ufficio del comitato centrale tedesco di tutte le istituzioni e organizzazioni della gioventù; il presidente del comitato, il generale Vogt, si affrettò a rimettere il suo carico nelle mani del "Reichsjugendführer". La HJ guadagnò tutto il materiale importante per conoscere esattamente i "nemici": nomi dei membri delle dirigenze ed i loro indirizzi, statistiche etc.

Pochi giorni dopo questo colpo di mano, così tipico per i nazisti, Schirach escluse le organizzazioni ebree e socialiste; al tempo stesso furono vietate con i partiti politici anche le loro leghe giovanili. I gruppi della destra (per esempio la "Bismarck-Jugend") entrarono in blocco nella HJ. Ma entrarono volontariamente anche non solo altri gruppi giovanili, ma la HJ poteva registrare anche l'adesione personale di tanti ragazzi che così diventarono per propria decisione individuale membri della HJ. Anche Hans Scholl, negli anni quaranta uno dei fondatori della "Rosa Bianca", in quel periodo quindicenne, entrò a far parte della HJ, attratto dalle sue mete apparentemente elevate...

L'attrazione della HJ

Quali erano gli aspetti così attrattivi e affascinanti della HJ per tanti giovani? La scienza storica contemporanea accentua soprattutto tre elementi:

La HJ si presentò come "movimento", accentuando l'esigenza di una riforma sostanziale: senza divergenze sociali, politiche, "egoistiche", promise una organizzazione per tutti i giovani sotto i principi della equiparazione e della autodeterminazione;

La HJ si astenne da un concreto programma politico; aderendo alla ideologia della "Volksgemeinschaft" (comunità popolare) aprì una ampia prospettiva.

La HJ (come il nazionalsocialismo in generale) promise il superamento della "crisi d'identità" sentita profondamente da tanti tedeschi, anche dai giovani, culminato nella crisi economica all'inizio degli anni trenta. Non a caso si aveva denominato il nuovo movimento "Hitler-Jugend" e non "NS-Jugend": Hitler, il "Führer", doveva essere la persona con cui identificarsi. Schirach stesso aveva sentito, quando aveva diciassette anni, questa ammirazione assoluta e credeva a Hitler finché - ma troppo tardi - scoprì le sue intenzioni criminali...

La lotta contro le organizzazioni giovanili fuori della HJ

Schirach continuò la lotta contro tutte le organizzazioni fuori della HJ. Le confederazioni giovanili avevano cercato all'ultimo minuto di unirsi e così di continuare la tradizione della Gioventù confederata; sotto la protezione dell'esercito tedesco speravano allo stesso tempo di guadagnare l'approvazione dei nazisti e di preservare il loro ruolo autonomo fuori della HJ. Non si resero conto della realtà politica: non c'era più spazio accanto alla HJ totalitaria. Il 17 giugno 1933 fu vietata tutta la "gioventù federata"; soltanto gli scout potevano sopravvivere ancora fino al 1934, perché non si voleva distruggere la possibilità di relazioni con l'estero.

Il passo successivo fu il tentativo di escludere l'influsso delle organizzazioni confessionali. Schirach riuscì a incorporare formalmente tutta la gioventù evangelica tedesca (800.000 membri) nella HJ, ed il lavoro delle chiese evangeliche fu limitato alla cura dalle anime e nessuno giovane sotto 18 anni poteva essere membro di un gruppo ecclesiastico evangelico senza la tessera della HJ. Ma già dopo poco tempo fu cambiata la direttiva: nel luglio 1933 Schirach proibì di essere membro simultaneamente della HJ e di una organizzazione confessionale. Con la gioventù cattolica c'erano più problemi; a seguito del concordato fra il governo nazista e il Vaticano del 1933 a questa organizzazione fu permesso in un primo tempo di sopravvivere; ma già presto - nel 1934 - il nazionalsocialismo cercò con divieti particolari, atti terroristici e azioni propagandistiche di sopprimere anche la gioventù cattolica. Per esempio non dovevano essere membri di una organizzazione confessionale i figli degli impiegati statali!

La HJ e la tradizione del movimento giovanile

Esteriormente la HJ usava elementi del movimento giovanile; la propaganda nazista nel 1933 affermava che la HJ era la continuazione e la perfezione, quasi il superamento nel senso dialettico, del movimento giovanile. In un primo tempo essa tollerava ancora l'influsso di tanti capi del movimento giovanile che erano entrati nel 1933 nella HJ e particolarmente nel "Jungvolk" (organizzazione dei piccoli dai 10 ai 14 anni), affascinati dall'idea di un movimento giovanile unico e convinti così di fare entrare anche nella HJ le forme e i contenuti principali del movimento giovanile.

Ma già presto la dirigenza della HJ si distanziò dalla sua interpretazione. Non soltanto perseguiva tutti gruppi illegali fuori della HJ che non volevano rinunciare ai suoi ideali ma anche cercava di scartare le memorie troppo chiare di questo movimento nella HJ - vietando certe forme di tende, canzoni, strumenti, vestiti, e sostituendo il "Lager" (accampamento organizzato quasi-militarmente) alla "Fahrt" (viaggio di un gruppo piccolo nello stile vecchio del movimento giovanile). In primo luogo tutti i capi nel "Jungvolk" che venivano sospettati di seguire le idee del movimento giovanile furono deposti, tanti furono arrestati, esclusi della HJ ovvero si ritirarono essi stessi dalla HJ.

Io non sono mai entrato a far parte della HJ vera e propria; a causa della mia età sono stato membro del "Jungvolk" dal 1940 al 1945 e ho provato una certa simpatia per la vita giovanile nel Jungvolk, nel quale si mescolavano lo scoutismo e le vecchie tradizioni del movimento giovanile, tutto al contrario della HJ. Noi cantavamo ancora le canzoni del "Wandervogel" marciando in formazione...!

L'odio patologico della HJ per i "confederati"

Come per tutta l'ideologia del nazismo anche per la HJ è significativa la scarsità e l'irrazionalità della dottrina che, essendo dipendente dall'esistenza di nemici, operava sempre col sospetto di una congiura contro "il popolo tedesco" - prima fra tutte naturalmente la "teoria" di una congiura internazionale degli ebrei e bolscevichi.

Storicamente è facile provare come la dirigenza della HJ abbi anche usato i suoi "nemici" particolari (le organizzazioni confessionali e le confederazioni giovanili) per consolidare la sua indipendenza e il suo potere all'interno del governo nazista. Schirach convinse Hitler del "grande pericolo" che sovrastava la gioventù tedesca, e per combatterlo fu nominato "capo della gioventù tedesca del Reich" con una sezione indipendente all'interno del governo nazista e i poteri pieni per il controllo e per la dirigenza di tutta la gioventù.

Si può facilmente capire come la chiesa cattolica e il suo influsso sulla gioventù sia stata veramente una minaccia per la politica nazista (benché la chiesa cattolica fosse incline al compromesso con il nazismo, essa difendeva il suo diritto alla educazione religiosa). Ma perché la dirigenza della HJ sviluppò un odio quasi patologico contro un movimento, la gioventù confederata, con la quale condivideva diverse tendenze ideologiche?

Secondo me la paura paranoica della HJ possa esser compresa in un certo grado. E per capirlo devo ancora una volta ritornare al movimento giovanile di quel tempo.

Movimento riformatore - "Jungenschaft" (confederazione dei ragazzi)

Ho parlato nella mia relazione del movimento giovanile di due epoche principali: la prima epoca verso l'inizio del secolo con i movimenti del "Wandervogel" e dei "Freideutschen" e la seconda epoca negli anni venti, l'epoca della "Gioventù Confederata". Devo adesso parlare di una terza epoca, alla fine degli anni venti, d'un movimento "riformatore" che praticamente non ebbe il tempo di svilupparsi (a causa del 1933), ma che ebbe tuttavia un grande influsso.

Parlando della "gioventù confederata" la dirigenza della HJ non si riferiva mai a tutto il movimento (con tutte le variazioni differenti). Essa sentì forse una certa simpatia per gli elementi "popolari" e allo stesso tempo un disprezzo per il carattere "settario" del movimento - Schirach scrisse una volta sprezzantemente dei "romantici megalomani"... Infatti la HJ parlando della "gioventù confederata" pensava quasi esclusivamente a questo movimento riformista, ai gruppi della "Jungenschaftsbewegung" (movimento autonomo dei ragazzi) e del "Nerother Wandervogel" (un movimento riformista ispirato alla vecchia tradizione del "Wandervogel" originale). La HJ era molto preoccupata:

A causa dei nuovi ideali: la riforma spirituale da dentro; il ritorno all'autodeterminazione della gioventù; la riunione di "emozioni forte" con razionalità ed intellettualità; una cultura ampia con forti interessi per le altre culture; confederazione (quasi un patto) per tutta la vita basandosi sulle scelte e amicizie personali; un'inclinazione internazionale, "contro-popolare", "comunista", antimilitarista.
Nella nuova rivista della <d.j.1.11> (movimento tedesco dei ragazzi del 1.11.1929 - il "nucleo" della riforma) che si chiamava "Lagerfeuer" (fuoco del bivacco), si trovava per esempio la dichiarazione programmatica: "Vogliamo per noi uno spazio al di là delle guerre passate e dei loro generali..."! I capi del movimento scrivevano anche nella rivista "Gegner" (avversario), organo dei gruppi sopranazionali, i cui editori erano anche ebrei. La HJ descriveva il contegno politico del "Nerother Wandervogel" - "essi presentano uno stile di letteratura di borgata che ha trovato la sua espressione propria nella 'Dreigroschenoper' (Opera Di Tre Soldi) di Brecht e Weill..." 
Ma la riforma comprendeva anche le forme pratiche della vita giovanile. La "Jungenschaftsbluse" (una giacca a vento blu) diventò l'espressione dell'appartenenza, con questo vestito si andava "auf Fahrt", adesso anche molto lontano, all'estero, specialmente nel nord d'Europa, fino ai territori eschimesi, da dove si importava una nuova forma della tenda, la "Kohte", ("tenda di fuoco"), una tenda aperta sopra, così era possibile accendere un fuoco all'interno e vivere nella tenda anche in inverno... Andavano anche "auf Fahrt" nella Russia, la balalaica diventò lo strumento preferito, ci si interessava alle canzoni russe, coltivava il "mito della Russia" e si assisteva con entusiasmo ai concerti dei "cosacchi del Don"... La HJ accusava il movimento autonomo dei ragazzi di essere "bolscevichi" (e il "Nerother Wandervogel" di essere "omosessuale")!
La HJ riconosceva l'influsso del movimento autonomo dei ragazzi, che dopo poco tempo erano riusciti (circa nel 1932) ad influenzare quasi tutte le altre organizzazioni giovanili, innanzitutto attraverso la rivista "Lagerfeuer" e le pubblicazioni della casa editrice Günther Wolff a Plauen, e poi anche grazie alle loro canzoni. Infatti si può vedere questo influsso per esempio nella gioventù cattolica; Hans Scholl aveva contatti con il movimento e Willi Graf, poi un altro membro della "Rosa Bianca", apparteneva all' "ordine grigio", una associazione giovanile cattolica di riforma spirituale, influenzata visibilmente di questo movimento di riforma. Anche nelle organizzazioni giovanili politiche di sinistra entravano le idee di quello movimento.

La HJ conseguentemente perseguiva tutti coloro che si radunavano in gruppi illegali aderendo a una posizione così contraria alla dottrina nazista. A mio parere è un fenomeno molto interessante che la HJ non si accontentasse della persecuzione fisica, ma credesse di dovere combattere questo pericolo anche con i mezzi della propaganda. In questo modo, spinta da un odio preconcetto e irrazionale, essa ha causato un effetto contrario; praticamente ha mantenuto in vita la memoria delle forme autonome di una vita giovanile autodeterminata: Chiunque sentisse un sentimento opposto al nazismo ed alla HJ trovò nei "pericoli" evocati dai nazisti la possibilità di identificarsi! Così malgrado le persecuzioni la tradizione autonoma visse e finalmente diede impulso a un movimento d'opposizione giovanile contro il nazismo molto differente dal movimento giovanile originale.

La HJ, sempre più totalitaria - Persecuzione anche della Gestapo

Il 1 dicembre 1936 Hitler firmò la legge sulla gioventù hitleriana, che cercava di istituire il carattere legislativo della pretesa totalitaria della HJ. In conseguenza di ciò la dirigenza della HJ rinforzò la sua lotta contro la sopravvivenza illegale della gioventù confederata, di cui Schirach aveva dichiarato già nel 1934: "Ciò che si chiamava movimento giovanile tedesco, è morto"... Malgrado le persecuzioni permanenti esistevano non soltanto ancora gruppi illegali di "confederati" ma ne nascevano nuovi che cercavano contatti con gli altri al di là delle vecchie divergenze.

A questo punto anche la Gestapo cominciò a combattere questo "pericolo"; nel "Reichssicherheitshauptamt" (la centrale della Gestapo a Berlino) fu disposta una sezione speciale per la persecuzione dei gruppi illegali, incaricata anche di perseguire la omosessualità. E fu fondato anche il famigerato "Streifendienst" della HJ (ronde di controllo, quasi una polizia interna della HJ) che doveva consegnare giovani sospetti alla polizia ed alla Gestapo ed esercitava spesso il terrore e la tortura.

I nazisti sospettavano sempre che ci fossero degli istigatori; una volta immaginarono una congiura bolscevica, con intenzioni di alto tradimento, un altra volta si favoleggiava che i pantaloni corti di pelle fossero procurati da un "ispiratore cattolico". I ragazzi, scoprendo questa paura paranoica, si inventarono durante un interrogatorio, che il loro capo più alto si trovasse nel quartiere generale del "Führer" a sua insaputa! I nazisti non capirono mai il vero carattere della opposizione giovanile. La HJ mise in guardia senza posa i giovani contro i "pericoli" e esortò i genitori e gli altri adulti ad essere vigili. Così diffondeva essa stessa la conoscenza di una opposizione giovanile contro la HJ!

La realtà della HJ

Forse è difficile immaginare che cosa accadesse realmente nella HJ. Vorrei descrivere le esperienze che ho fatto:

La cosa principale era il cosiddetto "Dienst" (servizio). Due o tre volte alla settimana andavamo in uniforme al "Dienst" nel "Jungvolk" (ancora una volta: l'organizzazione dei giovani dai 10 ai 13 anni), regolarmente il pomeriggio del mercoledì e del sabato, talvolta anche la domenica mattina (dopo aver partecipato alla messa in uniforme!). Per questo "Dienst" c'era un "rituale" comune: noi ragazzi di un "Fähnlein" (formazione di base come una compagnia militare, di circa 90 giovani della stessa età), ci radunavamo e dovevamo allinearci in formazione con precisione assoluta.

Dopo andavamo normalmente nella classe di una scuola per fare il cosiddetto "Heimabend" (che significava un programma di attività simile alle attività degli scout): cantavamo, si leggevano storie, ci distraevamo con lavori manuali, giocavamo etc. Il "Fähnlein" consisteva in tre "Jungzüge" (sezione di circa 30 ragazzi); ogni "Jungzug" faceva indipendentemente i suoi "Heimabend", e come "Jungzugführer" (capo di questa sezione) io sono stato responsabile per queste rappresentazioni, con un alto grado di autonomia.

Dopo circa 90 minuti andavamo fuori di nuovo, ci radunavamo nel "Fähnlein", facevamo gli esercizi che trovavamo sempre un po' noiosi, ma li accettavamo a causa della concorrenza con gli altri: siamo stati orgogliosi di essere i più precisi di tutti durante la marcia attraverso la città. Per questa marcia ci radunavamo con gli altri "Fähnlein", marciavamo cantando canzoni abbastanza marziali, talvolta anche accompagnati da un gruppo di giovani musicisti con tamburi e buccine (che a mio parere facevano più rumore che musica e che conoscevano troppo pochi pezzi...). Con un appello e il "Sieg Heil" (saluto nazista) tre volte ripetuto finivamo il servizio e andavamo a casa.

Bisogna parlare un po' di più dei contenuti. Al primo posto stava lo sport - per me questo era un problema immenso perché ero tutt'altro che sportivo! Il problema ritornava regolarmente ogni anno: il "Reichssportwettkampf", quasi una gara obbligatoria per scoprire la capacità sportiva di ognuno. Dovevamo fare alcuni esercizi fisici, per esempio correre gli 80 metri; si misurava il tempo e si riceveva una certa quantità di punti che corrispondeva a una tabella ufficiale che teneva conto dell'età. Tutti i punti venivano addizionati e il ragazzo con i più punti era il vincitore; se si rimaneva sotto un certo livello di punti non si poteva superare l'esame, il che era assai vergognoso. Non esisteva nessuna possibilità di allenarsi.

Essere poco sportivo aveva conseguenze dolorose: mancavano non soltanto i punti per l' "HJ-Leistungsabzeichen" (insegna di abilità). ma era proprio un impedimento a diventare capo. Ma la "pedagogia quantitativa" della HJ apriva allo stesso tempo delle possibilità di compensazione.

Il "lavoro ideologico" della HJ si muoveva su di un livello stranamente basso; per quella insegna bisognava per esempio sapere la biografia di Hitler e conoscere gli dei nordici, una cosa facile per un allievo della media abituato di imparare a memoria. Oltre a ciò lo "sport campestre", al secondo posto d'importanza a causa dell'istruzione paramilitare, offriva una buona occasione per le capacità più intellettuali.

Inoltre durante la guerra mancavano capi più grandi e così rimanevamo nel nostro "Fähnlein" solo noi compagni di scuola: capo del "Fähnlein" era un compagno di classe (famoso come asso dello sport, ma un po' debole nella matematica e in questo dipendente del mio aiuto...) e il "maresciallo" del "Fähnlein" era il mio amico, anche lui sportivo, ma orgoglioso di vincere nelle gare dello sport campestre.

Così formavamo una squadra particolare, in cui io avevo il dovere di insegnare a lui e gli altri tre le abilità di uno "scout" (capire le carte topografiche, usare la bussola, conoscere le forme delle foglie degli alberi etc.). Il mio amico, essendo "maresciallo", aveva il privilegio di entrare al campo di tiro e così avevamo la possibilità di perfezionare la nostra abilità a sparare... Abbiamo vinto tutte le gare malgrado avessimo bisogno di più tempo per il corso (circa dieci chilometri) rispetto alle altre squadre e spesso i miei compagni dovettero quasi portarmi in braccio nell'ultimo pezzo del percorso...

Spero che si capiscano le difficoltà inevitabili per la HJ di rendere "attrattivo" il "servizio" per i giovani più grandi. Noi più piccoli trovavamo nelle strutture del "Jungvolk", influenzato dallo scoutismo e anche dallo stile del movimento giovanile tradizionale ancora quasi una soddisfazione infantile, poco attraente per i ragazzi più grandi. Una certo ripiego erano i gruppi speciali della HJ - gruppi per giovani, che, per esempio, si interessavano della costruzione di aeromodelli o del volo a vela. Queste attività presupponevano, però, certe abilità; in conseguenza di ciò l'uscita dei ragazzi più attivi dalla HJ "normale" significava per gli altri soltanto ancora più noia e malcontento. In poche parole: l'ideologia nazista si mostrava quasi cieca quanto alla psicologia giovanile e cercava di imporre senza riguardi i propri scopi; così procurava essa stessa l'opposizione fra i giovani!

Rafforzamento dell'opposizione giovanile

Nel 1939 il governo nazista introdusse il dovere per tutti di partecipare al servizio della HJ, paragonabile al servizio di lavoro ed al servizio militare. Ancora una volta fu inasprito questo dovere dopo l'inizio della guerra; adesso la HJ dovette assumere tanti impegni caratteristici della situazione di guerra per esempio nella protezione antiaerea e come pompieri.

In questa situazione fra i giovani crebbe l'inclinazione a cercare una vita propria fuori della HJ. Spesso essi usavano imparzialmente forme del movimento giovanile. Si andava "auf Fahrt" cercando di sfuggire così dalla miseria delle città bombardate o per dimenticare almeno per una fine-settimana la pressione crescendo nel settore del lavoro: i giovani dovevano lavorare adesso sempre più intensamente e più a lungo fino a 60, 70 ore la settimana!

Già presto i giovani fecero l'esperienza della persecuzione implacabile del la HJ e della Gestapo. Tanti si imbatterono in quelli che si opponevano già alla HJ e al nazismo. I motivi di questa opposizione sono molto differenti; li sappiamo al primo posto degli atti della Gestapo. Ma in quegli interrogatori naturalmente i giovani non parlavano del loro sentimento nei confronti dell'assurdità della guerra, del fatto che essi venivano a sapere della morte al fronte di conosciuti e amici soltanto poco più vecchi di loro. Si rilevavano sempre più visibili i veri scopi dei nazisti: di fare di essi soltanto "carne da cannone"!

Veramente c'erano tanti membri giovani della HJ fedeli alla autorità, acritici e timorosi di fare opposizione. Ma in quegli anni crebbe grandemente il numero di tali giovani che cercarono di ottenere una vita propria ribellandosi alla HJ.

La storia dei "pirati della stella alpina"

Un esempio tipico dell'opposizione giovanile sono i cosiddetti "pirati della stella alpina". Durante alcuni interrogatori la Gestapo "scoprì" una insegna, portata da tanti giovani opposti alla HJ e al nazismo. In questa denominazione un po' strana vediamo due elementi:

il "pirata" era nel movimento giovanile, lontano dalla realtà storica, un simbolo romantico della "libertà". Non ci sono soltanto tante canzoni che cantano della "libertà dei mari", ma c'erano anche gruppi giovanili che si chiamavano "pirati". Conosciuti per esempio erano a Düsseldorf i "Kittelsbachpiraten", una confederazione evidentemente influenzata dal "Nerother Wandervogel". Essi avevano combattuto prima del 1933 accanto alla SA nazista contro i comunisti. Dopo lo scioglimento nel 1933 i membri non obbedirono all'ordine d'entrare nella HJ, ma rimasero uniti. La HJ e la Gestapo perseguitarono i "Kittelsbach-Piraten" illegali con grande sforzo propagandistico e così li resero popolari fra i giovani operai che ammiravano i Kittelsbach-Piraten come "uomini forti" che vincevano in ogni rissa...
La seconda parte della denominazione è: "stella alpina". Corrispondeva alla mentalità giovanile di usare simboli e insegne per esprimere l'appartenenza a un'associazione più o meno clandestina. Ma perché proprio la "stella alpina"? Non ci sono tante spiegazioni serie dei motivi di questo nome. Forse una spiegazione un po' banale si avvicina alla realtà storica: una parte comune del vestito dei ragazzi che andavano "auf Fahrt" erano i pantaloni corti di pelle, certamente di origini bavarese, che si portavano con bretelle, ancora usate oggi nella Baviera. E su queste bretelle si vede come ornamento comune la "stella alpina"! Insegna popolare del turismo alpino, il distintivo di questo bel fiore, si vendeva in tutti i posti turistici e anche nei magazzini di Düsseldorf e Köln...

Soprattutto furono giovani operai. Negli atti della Gestapo si trovano quasi esclusivamente due motivazioni di andare "auf Fahrt" con i pirati della stella alpina e di cantare con loro le canzoni vietate: perché la HJ non faceva "Fahrten" e il servizio diventava sempre più noioso; e secondo: perché non si era contento con i "Führer" (i capi) della HJ. Un ragazzo interrogato, di professione meccanico per automobili, dichiarò che era stato volentieri nella "Motor-HJ", (una delle sezioni particolari della HJ per giovani che si interessavano per le moto e le macchine), finché allievi della scuola media non avevano cominciato a dargli ordini. Generalmente il giudizio fu: ai pirati della stella alpina "ist mehr los!" (c'è di più...)

Aumento esplosivo dei "gruppi di cani sciolti" giovanili

I "gruppi di cani sciolti", come i "pirati della stella alpina", non appartenevano ai gruppi illegali dei "confederati", nonostante l'influsso della tradizione del movimento giovanile, e benché la Gestapo e la HJ li chiamavano "confederati". I veri confederati illegali parlavano di loro persino con un certo disprezzo. Ma quasi tutti coloro che nella Renania si radunavano in un gruppo di giovani fuori della HJ, adesso chiamavano se stessi "pirati della stella alpina". Per la regione della Renania bassa si stimava che ci fossero 10.000 membri dei "pirati della stella alpina", da Wuppertal si riferì che quasi tutti i ragazzi dai 15 ai 17 anni portassero il segno della stella alpina, a Köln la Gestapo registrava in uno schedario particolare 3.000 nomi di giovani sospetti di aderire ai "pirati della stella alpina".

Nella parte orientale della Germania si sviluppò quasi una guerra civile fra i "pirati della stella alpina" e i nazisti. Nonostante le persecuzioni, gli interrogatori permanenti, le punizioni draconiane, la tortura, la Gestapo non riuscì di sopprimere i "pirati della stella alpina". La loro "attività" non consisteva esclusivamente negli atti diretti di resistenza, in primo luogo essi volevano seguire le loro idee di una vita "autodeterminata"; per esempio radunarsi la sera in certi punti per chiacchierare e cantare, cosa che era vietata. I limiti fra "resistenza" e comportamento criminale oscillavano continuamente; talvolta si rubarono armi, poi usate per attentati, talvolta si trattava di saccheggi dopo un bombardamento. Cercavano contatti con i tanti giovani stranieri deportati nella Germania per lavori forzati, cosa vietata severamente. Anche i gruppi dei pirati della stella alpina si combattevano, quando un membro invadeva il territorio di un altro gruppo.

Ma il nemico comune era sempre la HJ: a Wuppertal la sera nessun ragazzo in uniforme della HJ osava andare sulla strada perché temeva di essere bastonato di santa ragione; e sono conosciuti casi in cui un pirata ammazzò un poliziotto che cercava di arrestarlo... Di simili forme di opposizione giovanile si riferisce a Frankfurt, Leipzig, München. Ma nella Germania occidentale questo "movimento" aveva la più grande estensione e anche maggiori riferimenti alle tradizioni del movimento giovanile "classico". La Gestapo fondò "lager" particolari per la "rieducazione" di questi giovani, a causa della loro crudeltà e dei maltrattamenti paragonabili con i KZ nazisti; alla fine, p.e. a Colonia nel novembre del 1944, anche quattro sedicenni furono condannati a morte e impiccati pubblicamente! Gli alleati, interrogando dopo l'occupazione i ragazzi che erano appartenuti ai "pirati della stella alpina", constatarono ingenuamente che essi non conoscevano la parola "democrazia" senza vedere che erano in primo luogo vittime del nazismo, che si opponevano a modo loro al Terzo Reich...

Una opposizione giovanile di carattere principalmente nuovo

Vorrei chiudere la mia relazione con un rimando ad un'altra forma di opposizione giovanile nel Terzo Reich, che si allontanava definitivamente dalla tradizione del movimento giovanile tedesco. Una ultima volta sto raccontando una esperienza personale:

Un delitto particolarmente grave (minacciato della pena di morte!) era durante gli ultimi anni della guerra di ascoltare le notizie della radio BBC. Nel 1944/1945 la radio era uno strumento molto importante per noi, perché si poteva ascoltare le cosiddette notizie antiaeree che ci informavano del volo degli aeroplani americani e britannici. Aspettando queste notizie, la tentazione di cambiare e passare alla BBC era molto grande per un quattordicenne. Ma per dire la verità: io non ascoltavo le notizie, annunciate sempre con quel motivo della quinta sinfonia di Beethoven; mi interessava molto di più la musica! Scoprivo così Glenn Miller e il fascino dei ritmi della sua musica - in mezzo ai terrori della guerra.

La HJ e la Gestapo temevano estremamente una opposizione singolare: ad Amburgo (e anche nei paesi occupati, p.e. a Parigi) gruppi di giovani (di famiglie della media ed alta borghesia!) si entusiasmavano per la musica "Swing": per essi era l'espressione di uno stile di vita tanto lontano dall'ideologia nazista. Himmler stesso, il capo delle SS, si occupò della persecuzione degli "Swingboys" e comandò l'eliminazione totale di quei gruppi. I nazisti si confrontarono col fenomeno di una resistenza allegra, ironica, già petulante, non politica, e oltre ciò parte di un "movimento" internazionale e "anglofilo".

Nel 1941 ad Amburgo si radunarono alla stazione centrale circa 60 ragazzi e ragazze, aspettando l'arrivo di due loro amici, che salutarono con un applauso immenso come "Reichsstatistenführer" (molto ironico: capi delle comparse del Reich!). I due ragazzi, che erano saliti sul treno soltanto una stazione prima, erano vestiti tipicamente come "Swing": una giacca estremamente lunga e ampia, a grandi quadri, i pantaloni anch'essi molto ampi, le scarpe con suola molto alta, e sempre portando l'ombrello... I compagni, vestiti in modo simile, suonarono un grammofono, si disposero come su due ali, i due salirono tra i lampi dei flash su di una carrozza aperta e andarono attraverso la città, accompagnati dai loro amici che gridavano di giubilo!

Ma con la Gestapo non si scherzava: La conseguenza fu una ondata di arresti, interrogatori, maltrattamenti, torture. Alcuni ragazzi furono condannati, altri furono portati per due, tre anni a Moringen, il famigerato "lager" per i giovani. La persecuzione degli "Swing" ad Amburgo è un capitolo vergognoso della storia dei giovani nel Terzo Reich: Insegnanti e allievi delle scuole di Amburgo denunziarono altri allievi di appartenere agli "Swing". Più di 300 giovani furono arrestati e maltrattati dalla Gestapo e nella prigione di Fuhlsbüttel. Si stima che fino a 70 giovani furono portati nel "lager" di Moringen; quanti vi morirono non è dato di sapere. Anche i genitori dovevano temere ritorsioni. Lo choc dell'arresto, la paura dei maltrattamenti, le minacce permanenti contro i genitori spinsero il diciassettenne Dirk Dubber al suicidio. Anche lui membro dell'opposizione giovanile nel Terzo Reich e vittima del nazismo!

Gerd Neises
annetteneises@libero.it

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Annamaria Manna,
"La Rosa Bianca" di Marc Rothemund
"La Rosa Bianca", il film che ha vinto l’orso d’argento al Festival di Berlino, è arrivato nelle nostre sale e narra gli ultimi sei giorni di Sophie Scholl prima della decapitazione ad opera dei nazisti. 

Sophie insieme a suo fratello Hans e ad altri cinque studenti cattolici dell’università di Monaco si riunirono per sette mesi dall’agosto al febbraio del ‘43 con il nome di Rosa bianca e cercarono di sensibilizzare gli altri studenti e la popolazione contro le aberrazioni del regime nazista. Produssero in tutto 6 volantini e un’ottantina di scritte murali in varie città della Germania e furono brutalmente imprigionati e condannati a morte. 
Il regista Marc Rothemund si avvale per la sceneggiatura, e quindi per il taglio del film, di documenti autentici: i verbali degli interrogatori di Sophie; perciò la storia del gruppo non è in primo piano, mentre lo è la personalità e lo spirito civico ed etico di Sophie e di suo fratello. Non è il primo film sull’argomento: già Michael Verhoeven nel suo Die Weiße Rose (1982) aveva affrontato l'argomento e anche Percy Adlon in Fünf letzte Tage (1982) ma con tagli molto differenti.

La rosa bianca di Marc Rothemenund non può non far chiedere ai suoi spettatori perché un così alto senso morale espresso dai giovani componenti di questo gruppo di universitari cristiani di Monaco non fosse esteso ad un numero maggiore di tedeschi al punto da poter individuare e rafforzare una Resistenza tedesca che risparmiasse milioni di morti e tanta distruzione.
Le risposte sono almeno quattro:

1) la rete di oppositori di sinistra e cattolica era stata messa brutalmente a tacere nei primi anni della dittatura e sistematicamente isolata e internata nel corso della dittatura; 
2) a guerra iniziata e nella prospettiva del disastro la Resistenza in Germania non riuscì ad essere una rete di rapporti stabilmente impegnata a perseguire un piano comune ma fu espressione di individui in opposizione al regime e alle sue aberrazioni; 
3) le poche realtà organizzate non riuscirono a concordare un piano determinato e condiviso che potesse traghettare la Germania oltre la soglia della disgraziata follia in cui si era plebiscitariamente avviata da anni; 
4) da parte alleata non si fecero sforzi per incoraggiare una sollevazione nell'esercito tedesco perché, nella certezza della sconfitta della Germania, non si volevano creare problemi di attribuzione dei meriti e dover poi discutere sui territori conquistati dall’esercito tedesco.

Queste risposte sono tragicamente collegate tra loro, unite dal fatto che combattere una dittatura non può essere né un fatto organizzato da singoli, né dell’ultimo minuto, né avvenire senza l’appoggio di altri stati, né senza una visione comune del dopo regime, né tanto meno senza un’etica condivisa di quali siano i diritti e i doveri di tutti i cittadini e delle loro responsabilità nelle scelte di politica estera del proprio paese. Quest’ultimo fatto in particolare è quello che richiede una certosina preparazione in una nazione e non solo per mettere fine ad una dittatura, ma soprattutto per prevenirla. Perché se il senso civico nei singoli, nelle associazioni e nelle istituzioni (e non il vuoto “amore per la patria”) e se un senso etico della politica estera (e non un miope perseguimento di una politica protezionistica) fossero atteggiamenti spiegati, coltivati, sottolineati e premiati, forse non si arriverebbe a certe soglie di non ritorno di cui il Nazismo è stato uno degli esempi maggiori e, con il pessimismo della ragione, purtroppo neanche l’ultimo a venire.

Il visione del film La Rosa Bianca, lodevole nelle sue intenzioni di mostrare questo aspetto della resistenza tedesca, non può terminare con una commossa tacitazione della cattiva coscienza: "Però in Germania qualcuno si è ribellato!". Può essere invece il punto di partenza per una ricerca più approfondita sul cammino vittorioso di una dittatura i cui passi fondamentali sono stati:

gli avvenimenti che portarono alla fine della Repubblica di Weimar;
le lotte interne tra comunisti e socialdemocratici (e con esse la messa fuori combattimento di un’opposizione politica legittima);
la progressiva estensione dei provvedimenti di internamento dai comunisti ed ebrei e zingari a omosessuali, handicappati, cattolici non conniventi, testimoni di Geova, protestanti non allineati;
gli episodi singoli di resistenza a regime instaurato e in piena terribile efficienza (dal più noti di Oscar Schindler a Georg Callmeyer, Anton Schmidt o Isabel von Malzan);
i motivi del fallimento di attentati come quello di Rastenberg ad opera di Stauffenberg o degli oltre 40 attentati contro Hitler;
i motivi del fallimento del circolo Kreisau o di quello della Rote Kapelle;
i motivi del ritiro da un tentativo di complotto di alcuni generali (Von Brauchitsch e Ludwig Beck);
i fallimenti dei contatti tra alcuni ufficiali tedeschi e esponenti del governo inglese e americano;
l’incapacità della classe operaia restia ad allearsi con la nobiltà prussiana;
l’assenza della borghesia e della classe imprenditoriale che più di tutta sperava di ricavare vantaggi dalle conquiste territoriali naziste.
Agli spettatori attivi e coraggiosi il compito di scoprire tutti questi avvenimenti, se ancora non li conoscono, e naturalmente il dovuto atto di riflessione sul nostro presente. Perché se un’opera, sia pure un film, arte notoriamente considerata minore, non dà questi frutti ma mero sollazzo, o solo commozione, allora non vale il prezzo del biglietto e la bella prova dell’attrice Julia Jentsch (bravissima anche nel suo precedente film Die fetten Jahren sind vorbei) rimane uno dei tanti ruoli di brave attrici destinato alla cineteca ma non ad entrare nel patrimonio emotivo e culturale dello spettatore.

Annamaria Manna è insegnante di tedesco a Trento

(Da: http://www.viaggio-in-germania.de/rosa-bianca.html)

Articolo di Annamaria Manna.

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Saggio del 1996-97, pubblicato nell'aprile 2005
Resistenza antinazista in Germania
Cosa ne sappiamo? - Quadro generale - Resistenza civile? - Analisi di opere: Collotti, Semelin, Vaccarino, Ghezzi - Resistenti e ribelli nell'esercito - Boicottaggio umnanitario della Shoah - Obiezione degli scienziati atomici? - Arte come resistenza - Resistenza di coscienze - Al resistente ignoto
8 giugno 2005 - Enrico Peyretti
Fonte: La nonviolenza è in cammino, n. 915, 30 aprile 2005, nbawac@tin.it
LA RESISTENZA ANTINAZISTA IN GERMANIA

Lezione di Enrico Peyretti 
nel corso di aggiornamento per docenti 
"Nonviolenza nella storia. 
Casi di resistenze civili nel Novecento" 
(Torino, ottobre 1996 - gennaio 1997) 
Centro Studi e Documentazione Domenico Sereno Regis 
Istituto Piemontese per la storia della Resistenza 
e della società contemporanea.

1. Che cosa ne sappiamo? 
Della resistenza al nazismo interna alla Germania, in genere ne sappiamo poco. «Non si può dire che la resistenza tedesca (...) abbia (...) finora suscitato grande interesse fra il pubblico colto, in Italia come in quasi tutto il mondo (...). In questa opera di rimozione ha certamente pesato, specialmente nei primi anni del dopoguerra, il cliché della "colpa collettiva". (...) Questo schema nefando (...) escludeva per definizione l'esistenza di un' "altra Germania". Oggi una storiografia più avvertita e critica sta scoprendo il fenomeno resistenziale, nelle sue diverse stratificazioni e componenti» . 
Forse ne sanno ancora meno i tedeschi stessi: un sondaggio serio eseguito nella Repubblica Federale Tedesca nell’ aprile 1970 rilevava che, tra i 16 e i 29 anni di età, il 47% non era in grado di citare alcun fatto relativo all’attentato a Hitler del 20 luglio 1944. Nel 1984, 14 anni dopo, questo dato era salito al 63%! Nel gruppo di età 16-19 anni, fra coloro che sapevano qualcosa del 20 luglio, solo il 14% nel 1970 e la metà, il 7%, nel 1984, era in grado di riferire correttamente nomi di preti, pastori, sindacalisti, socialisti, comunisti, che avevano preso parte alla resistenza. 
Ho percorso i migliori manuali liceali che avevo a disposizione. In alcuni non si trova assolutamente nulla: quindi nessun tedesco si sarebbe opposto a Hitler in nessun modo! (Ortoleva-Revelli, De Rosa, Saitta). Altri citano solo l’attentato del 20 luglio (Bontempelli-Bruni), oppure questo insieme al gruppo studentesco della Rosa Bianca (Desideri), o insieme all’azione delle chiese (De Bernardi-Guarracino, Giardina-Sabbattucci-Vidotto). Uno (Traniello) informa sull’ opposizione di chiese ed intellettuali. Questa azione è sottolineata nel più recente manuale di Bordino-Chiattella-Gatti-Martignetti, entro un'ampia scheda di Alberto Monticone sulla Resistenza morale. Un manuale (Gentile-Ronga-Salassa) descrive più ampiamente il fenomeno portando anche la cifra di un milione di tedeschi imprigionati dal 1933 al 1945 come oppositori. Lo stesso dato è fornito dal Salvadori scolastico, insieme all’opposizione di chiese, intellettuali, militari. Naturalmente la “Storia dell’età contemporanea” dello stesso Salvadori porta informazioni molto più complete in diverse pagine, ma con giudizi che minimizzano il peso e il significato della Resistenza tedesca. 
Nelle biblioteche si trovano 10-20 titoli, in gran parte sul 20 luglio. L’Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza conserva quasi 80 titoli di cui 32 in tedesco, 3 in francese, 2 in inglese, 4 pubblicazioni promosse dal Consiglio Regionale Piemontese. 
Ma qui non ci interesssa tanto la Resistenza in tutte le sue forme, quanto verificare se ci sono state in Germania, oppure tra cittadini tedeschi nelle zone occupate dal Reich, fatti e forze che attuarono una resistenza civile, nonarmata e/o nonviolenta. Se troveremo questa realtà, sarà provata la possibilità di opporre anche ad un regime feroce come quello nazista, e dal suo interno, una resistenza che non ne imiti e riproduca la violenza. In tal caso, resterà da verificare l’efficacia di una tale forma di resistenza.

2. Un rapido quadro generale 
Mi servo a questo scopo della relazione tenuta a Torino il 6 aprile 1995 da Hans Mommsen, autorevole studioso tedesco, nel convegno “Resistenza, Resistance, Widerstand” indetto da Goethe Institut, Centre Culturel Français, Dipartimento di Studi Politici dell’Università di Torino. 
Queste furono le caratteristiche salienti della Resistenza tedesca : 
- Fu una resistenza contro la propria nazione e il suo governo, a differenza di tutte le altre resistenze nazionali 
- Non potè riferirsi ad una forma costituzionale preesistente, ne Weimar nè precedente (in ciò simile alla Resistenza italiana) 
- Fu condotta dai partiti antinazisti, scomparsi però dopo i primi anni di regime. Dal 1938, fu condotta non da una classe politica, ma da alti funzionari, alti gradi militari. Fece eccezione il partito comunista, anche oltre il 1943. E’ un errore vedervi un’azione soltanto a favore dell'URSS. Così, è un errore vedere nel complotto del 20 luglio 1944 soltanto una matrice conservatrice e aristocratica, perchè ci furono pure socialdemocratici, sindacalisti, cristiani (Bonhoeffer). Il movimento del 20 luglio non rappresentava tutta la resistenza tedesca, non prospettava una democrazia ma un principio autoritario corporativo. Molti dei congiurati pensavano che il nazismo fosse l’effetto della iper-democrazia di Weimar, dell’industrializzazione e urbanizzazione. Gruppi borghesi di destra volevano fare tabula rasa dell’ordinamento di Weimar pre-1933, non tenevano conto dei partiti. Bisogna ammettere che non furono nè i democratici nè le sinistre che tentarono di abbattere il regime del terrore. 
- Schematicamente possiamo vedere due fasi della Resistenza. Nella prima i comunisti tentarono una organizzazione compatta, più esposta alla Gestapo, che non conquistò adesioni. Nella seconda fase, dal 1938, la componente borghese-militare rinuncia alle tecniche cospirative, perciò sfugge alla Gestapo. L’esercito valeva come una forma di esilio interno. Hitler e la Gestapo non seppero valutare appieno la forza politica della borghesia. Caratteristica di questa fase è di essere nazional-conservatrice: una “Resistenza senza popolo”. Il Circolo di Kreisau si considerava la “guida nata” della nazione, non cercò appoggio nella popolazione. Solo dopo la richiesta degli inglesi: «Chi c’è dietro di voi ?», Goerdeler cercò contatti con le sinistre. Ma la resistenza rimase senza popolo: il 20 luglio, la popolazione reagì sfavorevolmente all’attentato. Nel 1943 emerse l’attività comunista, pericolosa per i nazional-conservatori, tra i quali nacquero divisioni per questo motivo. 
- Per quel che riguarda gli obiettivi dei congiurati ci furono molteplici piani e progetti. Mancavano dei veri politici. Il piano aveva tratti utopici. Il Circolo di Kreisau era anti-liberale: per esempio non prevedeva il voto passivo alle donne. Padre Delp, gesuita di Monaco, voleva una riforma morale-politica, non solo delle idee; diceva che i tedeschi erano diventati un “popolo sulla strada”, avendo perduto il senso di patria e dei valori religiosi e sociali; bisognava riportare l’uomo “fuori dalla sua solitudine” (elemento, dirà Hannah Arendt, del totalitarismo). Quindi: ricostruzione delle capacità politiche del singolo ma con tratti elitari. Però anche Goerdeler accettava la nazionalizzazione delle industrie delle materie prime. Il denominatore comune era il ripristino del diritto calpestato, del diritto divino e naturale della persona umana. I resistenti furono spinti anche dalla conoscenza della persecuzione degli ebrei. 
- Infine, Mommsen valuta l’estremo tentativo del 20 luglio (ma gli attentati a Hitler furono una ventina fra quelli preparati, quelli sfumati all’ultimo, sventati, falliti) come un atto morale per uscire dalla complicità del popolo tedesco col terrore: era necessario tradire anche se il popolo non avrebbe capito. Questo contava più di ogni ambizione personale. Incerta era la possibiltà di costituire un governo dopo il 20 luglio. Ci sarebbe stata una guerra civile, una situazione simile alla Resistenza italiana. Ciò avvrebbe dovuto accelerare la fine della guerra durata invece ancora quasi un anno. 
- Ma gli alleati non volevano altro che la resa senza condizioni, perciò abbandonarono a se stessa l’ “altra Germania”. Invece era importante spezzare il mito dell’onnipotenza del sistema, anche per merito soltanto di una piccola minoranza. Oltre ai congiurati del 20 luglio, si opposero alla tirannia totalitaria anche molti singoli che disobbedirono a ordini disumani. 
- Dopo il 1945 non ci furono rappresentanti sopravvissuti della Resistenza nella politica tedesca, ma piuttosto la classe della Repubblica di Weimar. Così pure nella DDR (Repubblica Democratica Tedesca): non i comunisti della resistenza ma quelli provenienti da Weimar. Così la Resistenza tedesca è stata rappresentata da un “generazione perduta”, che non potè dare contributi successivi. Ma la Resistenza è ancora una sfida per la Germania. 
Fin qui, una mia sintesi della relazione di Hans Mommsen.

3. Si può parlare di“Resistenza civile” in Germania ? 
Certamente questa realtà ha molti limiti. Ma agisce anche un forte condizionamento mentale e culturale. Cioè, accade questo: l’immagine ed esperienza pesante, invasiva, terrificante della violenza tirannica e omicida, attira a sè (come un corpo celeste di massa maggiore del satellite) e assimila a sè ogni forza antagonista; e ciò sia precedentemente, sia durante, sia successivamente al confronto diretto. E’ la mimesi, imitazione speculare della violenza, di cui parla René Girard, che opera anche nella rappresentazione storica, per cui l’opposizione e resistenza ad un potere violento non sembra poter essere altro che violenta. Lo è ben spesso proprio per la realtà di questo meccanismo di imitazione. Ma lo è molto meno di quanto non lo configuri la rappresentazione della memoria, anche nella memoria critica storiografica, essa pure soggetta a quella attrazione fatale. Si tratta di accrescere la criticità e libertà dell’indagine, anche per allargare le maglie del possibile presente e futuro, grazie ad una più varia e accurata rappresentazione dei fatti. Questo vuol fare la ricerca di aspetti e filoni, o anche solo di singoli conati, liberi o in cerca di libertà dalla coazione a ripetere la violenza. Tali esperienze sono presenti anche nella Resistenza tedesca, quella che più direttamente di ogni altra resistenza nazionale, in un terribile corpo a corpo che penetrava le coscienze dei resistenti, si confrontò con la violenza nazista. 
Cerchiamo di non subire la distorsione della “storia potente e rumorosa” per poter udire il sottofondo della vita. E’ il grande tema di “Guerra e pace” di Tolstoj. Napoleone e Platòn Karatajev: il grande è questo secondo, l’ultimo è il primo. Così, tra Hitler e Franz Jagerstatter, il primo distrugge la storia umana, il secondo, decapitato per obiezione di coscienza, la costruisce. 
Dei fatti di resistenza civile ci sono. Jacques Sémelin in Senz’ armi di fronte a Hitler, sulla scorta di una ricerca in corso nell’università di Harvard, dice in sintesi che i dati mostrano «quanto l’opinione tedesca fosse in grado di frenare il genocidio, nel caso in cui manifestava la sua disapprovazione di fronte alla persecuzione degli ebrei» . Ci fu questa disapprovazione? Fu manifestata, e quanto intensamente, dal popolo tedesco? 
Anzitutto, chi si oppose alla dittatura nazista, lo fece, secondo Hoffmann, soprattutto mosso dalla condanna morale della persecuzione degli ebrei. Questo autore afferma «con sicurezza che la maggioranza dei tedeschi era contraria alla persecuzione violenta e all’eccidio di massa degli ebrei» (pp. 81-82) anche se nella stessa pagina porta un dato non facilmente accordabile con questa affermazione. D’altra parte un altro autore tedesco, David Goldhagen, ha scritto che i tedeschi non solo hanno saputo, ma hanno voluto la Shoah. 
Lasciando sospeso un giudizio generale, guardiamo quei fatti che dimostrano disapprovazione e opposizione di cittadini tedeschi non soltanto alla Shoah, ma alla dittatura, opposizione e lotta senza uso di armi nè violenza, con la forza umana e l’unità. Elencherò, quindi, dei fatti di tal genere, rintracciabili nei lavori di storici che per lo più non hanno specificamente ricercato la resistenza nonarmata e/o nonviolenta.


4. Collotti 1962. 
Enzo Collotti dedica il capitolo nono di La Germania nazista a L'oppposizione antinazista. Ne traggo alcuni principali dati. 
Nei primi due anni della dittatura si ebbero piccoli scioperi non esclusivamente sindacali, ma anche politici. Gli episodi più rilevanti si verificarono nelle elezioni dei fiduciari aziendali nel 1934 e 1935: le masse manifestavano il loro dissenso con larghe astensioni dal voto; in alcuni casi riuscirono perfino ad imporre esponenti di loro fiducia contro i candidati ufficiali del partito nazista. Fu un grave scacco per il governo, che il 31 marzo 1936 prolungò di un anno la durata in carica degli eletti, di nuovo il 9 marzo 1937, la terza volta il 1 aprile 1938. «Il governo di Hitler mai più osò effettuare elezioni direttamente nelle fabbriche» (Walter Bartel). 
Gli emigrati, specialmente in Cecoslovacchia, sostennero i superstiti gruppi di opposizione con stampa clandestina. Socialdemocratici e comunisti cercavano motivi di unione, si diffondeva la parola d’ordine “Fronte Popolare” (Manifesto di Praga, gennaio 1934). Il 2 febbraio 1936 una grande manifestazione unitaria a Parigi esprime solidarietà con le vittime del nazismo, chiede libertà per i leaders in prigione, anche per lo scrittore pacifista Carl von Ossietzky, premio Nobel per la pace 1936, torturato già nel 1933. 
Ma la stampa clandestina è irregolare ed episodica. Lo spirito pubblico non reagisce. La demagogia e l’orgoglio nazionalistico di Hitler ottengono consensi. Questo pesante condizionamento spiega perchè l’opposizione non andò mai oltre un blando astensionismo dal coro, ad eccezione di un numero esiguo di episodi concreti e precisi. 
Collotti dissente da Gerhard Ritter, il quale attribuisce alle chiese qualcosa che assomiglia a «un reale movimento popolare contro il nazismo», l’unica resistenza che conseguì un «successo pratico». Tuttavia Collotti ammette che le chiese compirono «gesti di dignità», difesero la loro autonomia, assunsero posizioni coraggiose anche al di là dei loro interessi, e che - e furono i casi più rilevanti - singoli esponenti delle chiese parteciparono a più vasti gruppi e progetti di opposizione. 
Le pubbliche proteste del cardinale Von Galen nel 1941 furono tra i pochi aperti moniti levati in Germania, sotto il nazismo, contro le atrocità e le violazioni dei diritti umani. Ma l’opposizione delle chiese non fu sistematica nè con fini politici, ma in generale diretta a salvaguardare la posizione e l’autonomia delle chiese stesse. Le quali non si posero il problema del rapporto storico e politico tra il nazismo e la società tedesca, ma del rapporto tra le chiese e il regime nazista. «La resistenza fu opera di singoli coraggiosi, non della chiesa come tale» (pag. 287). 
La chiesa evangelica tedesca subì una lacerazione che arrivò alla scissione. I tentativi dei “cristiani tedeschi” di conciliare la teologia protestante e l’ideologia nazista rivelano lo sbandamento profondo della cultura tedesca e la degenerazione dei valori che si accompagnò all’affermazione del nazismo. 
Proprio sul problema dell’antisemitismo si ebbero le prime reazioni della parte sana del protestantesimo. L’affermazione dei “cristiani tedeschi” nelle elezioni interne alla chiesa evangelica (luglio 1933) con l’appoggio nazista, provoca la frattura: nasce la Chiesa Confessante, che il Sinodo di Barmen (maggio 1934) proclama unica legittima chiesa evangelica tedesca. Ci sono in essa nobili figure di antinazisti, ma solo dei singoli fecero resistenza politica. 
Nuclei popolari di oppositori pubblicano “Die Innere Front”, quindicinale e anche settimanale, in più lingue per i lavoratori stranieri in Germania. E’ un fronte popolare antifascista che fa solidarietà con i perseguitati politici e razziali e coi movimenti di resistenza dei territori occupati, e tiene anche i contatti con l’URSS. Nel dicembre 1942 sessanta esponenti di questi nuclei sono condannati a morte. Altri nuclei minori vicini ai comunisti fanno propaganda e anche azione terroristica. Diverse centinaia di loro componenti sono impiccati o fucilati. 
Collotti registra una svolta dopo Stalingrado e parla a questo punto del noto gruppo della Rosa Bianca. Ma anche lui fa l’errore di Hoffmann. La Rosa Bianca si mosse coi primi volantini nel giugno 1942, ben prima della battaglia di Stalingrado, che dura dal 19 novembre 1942 al 2 febbraio 1943. Quattro dei suoi sei (oppure sette) volantini precedono la battaglia e cinque su sei (o sette) precedono la disfatta tedesca di Stalingrado. Quando la Rosa Bianca comincia la sua azione, Hitler è nel pieno dei suoi successi, contrariamente all’osservazione di Collotti e di Hoffmann. 
Quando viene a parlare del complotto militare, Collotti osserva che né Beck né Goerdeler furono veri capi politici. L'obiettivo di evitare alla Germania la sconfitta sopravanzò sempre le esigenze della lotta senza compromessi al nazismo. Limiti e contraddizioni del complotto furono il nazionalismo (difesa dell'Anschluss), la ricerca di pace separata e continuazione della guerra all'Urss, la sfiducia nella democrazia. La maggiore contraddizione stava nel fatto che l'esercito era una componente del regime.

5. Vaccarino 1981 
Da un gornale di sinistra del 2 agosto 1933 si apprende che venticinquemila operai scioperano a Kiel per ottenere l’espulsione di 10 operai nazisti. Sono registrati altri esempi significativi delle agitazioni che interessavano la classe operaia senza distinzioni di partito. Dal 1933 al 1937 si verificano scioperi simultanei e contagiosi, più o meno estesi in tutte le regioni industriali, o anche semplicemente una diffusa resistenza passiva nelle aziende. 
Nel 1933 si istituiscono i campi di prigionia per operai, prima che per intellettuali e altri oppositori (politici, uomini di chiesa). Nel 1933 il 4% (20.565 persone) di tutti i sottoposti a giudizio, lo è per fatti politici. In sei anni, dal 1933 al 1939, sono condannate 225.000 persone per reati politici. Fra il 1933 e il 1945, tre milioni di tedeschi sono internati in lager per ragioni politiche, da poche settimane a tutti i dodici anni di durata della dittatura. Negli stessi anni 32.600 persone sono giustiziate con sentenza, ma centinaia di migliaia con esecuzioni extra-giudiziali. 
Il lavoro di Vaccarino è molto dettagliato riguardo alle chiese e porta una impressionante quantità di appoggi ecclesiastici cattolici al nazismo. «La chiesa non seppe o non volle valutare la sua forza reale, o fu incline a sottovalutare il potere nazista» sui fedeli, scrive Vaccarino dopo avere riportato l’effetto della denuncia di Von Galen che fermò il programma di eutanasia. Aggiunge però che forse anche un più fermo intervento avrebbe trovato i fedeli già troppo traviati dalla propaganda nazista. Non mancarono cattolici che protestarono con coraggio fino a pagare con la vita, come i pochissimi obiettori di coscienza: «Dei sette cattolici (sei austriaci) che in tutto il Reich rifiutarono di lasciarsi arruolare nell’esercito di Hitler, sei furono condannati a morte e uccisi e uno dichiarato infermo di mente». 
Quanto ai protestanti tedeschi, Vaccarino nota anzitutto l'impressionante cedimento protestante (luterano) al nazismo e razzismo. Per i Cristiani Tedeschi non c'era più un Dio umile e sofferente, ma un Cristo forte e glorioso, come gli dei nordici. Pesava su questo atteggiamento la tradizione luerana dell'obbedienza al principe, ridimensionata soltanto dalla Chiesa Confessante. Vaccarino però si chiede se fu resistenza quella di questa chiesa, e osserva che ci fu generosità e slancio morale non solo teologico, però neppure la Chiesa Confessante accettò tutte le implicazioni politiche della lotta a fondo. Ma, in alcune notevoli pagine , Vaccarino afferma che resistenti non furono solo i partigiani armati e dimostra la radicale opposizione e resistenza morale dei Kreisauer (membri del Circolo di Kreisau) e della Rosa Bianca. Neppure la Chiesa Confessante osò (nè lo credette suo compito), condannare il regime nazista. Così la coscienza dei fedeli non rimase turbata nei suoi doveri verso lo stato. Così come Pio XII non turbò la coscienza dei cattolici tedeschi. Per questo la dichiarazione di Stoccarda del 19 ottobre 1945 confessa una “solidarietà di colpa” della chiesa evangelica col popolo tedesco. Nessun prelato cattolico riconobbe con tale franchezza la responsabilità della sua chiesa.

6. Sémelin 1993 
Quest'opera di Sémelin , a differenza di quelle citate finora, è una ricerca specificamente diretta a cogliere le forme di resistenza civile al nazismo. «Per quanto riguarda la Germania, è poco conosciuto il fatto che le chiese siano riuscite a fare indietreggiare Hitler su uno degli intenti più deliranti della sua azione: lo sterminio dei malati di mente». Tuttavia Sémelin non esalta la resistenza morale attuata dalle chiese - cioè, non tenta di provare troppo la propria tesi -, anzi denuncia (riferendo un giudizio di Scholder) che quel potenziale non fu «attivato in maniera significativa dalle alte gerarchie delle due chiese» e avverte di «non sopravvalutare la lotta delle chiese» (cfr. Collotti e Vaccarino nello stesso senso). Però gli archivi della Gestapo mostrano che Hitler temeva più le chiese che il Partito Comunista perchè potevano mobilitare le masse. 
Sémelin riferisce di una ricerca in corso nel 1989 di Nathan Stolzfus a Harvard secondo cui l’opinione pubblica tedesca poteva frenare il genocidio quando manifestava la sua disapprovazione. Emblematico è ciò che avvenne dal 27 febbraio al 5 marzo 1943: 600 persone, specialmente mogli tedesche di uomini ebrei, protestano apertamente per strada contro l’arresto di questi. Goebbels nel suo diario e la legazione degli Stati Uniti a Berna registrano che «l’azione della Gestapo ha dovuto essere interrotta in seguito alle proteste suscitate». 
La società tedesca tollerò la persecuzione degli ebrei, non l’eutanasia dei malati di mente. Questa seconda opposizione fu efficace perchè ci fu un movimento di opinione che invece non sorse contro la persecuzione deglli ebrei. Il primo settembre 1939 (giorno di inizio della guerra!), cominciò l’operazione T4 per l’uccisione degli incurabili. Subito ci fu resistenza da parte di alcuni istituti psichiatrici e di alcuni medici. Reagirono le famiglie che però fecero molto fatica a trovare portavoci istituzionali. Si ebbero agitazioni di magistrati che dichiararono la completa illegalità dell’operazione, ma poi, convocati in conferenza, non fecero alcuna rilevante opposizione. Si opposero anche i militari. E’ evidente che si può temere, in guerra, di diventare invalidi incurabili, mentre non si può diventare ebrei... La base delle chiese protestò prima delle autorità religiose. Finalmente quando vescovi protestanti e cattolici decisero di intervenire pubblicamente dando voce a quelle reazioni, il governo dovette interrompere il programma. 
Il vescovo di Munster, Von Galen, il 3 agosto 1941, arriva a chiamare i cristiani alla resistenza, alla non-collaborazione, visto che usa l’espressione «sottrarci alla loro influenza». Poteva nascere un movimento di disobbedienza civile. Altri vescovi si associano. Si associa l'aviatore Werner Molders, eroe decorato della Croce di Ferro. 
Sorgono divisioni sul da farsi all’interno del governo. Il 24 agosto la Cancelleria lascia intendere che, per decisione del Führer, l’operazione T4 è interrotta. Hitler sentì questo come una sconfitta personale e intendeva saldare i conti con le chiese dopo la guerra, perchè ora gli erano utili. Fu il suo primo smacco importante. 
L’operazione T4 fece da 70.000 a 100.000 vittime, tra il settembre 1939 e l’agosto 1941. Sémelin segnala i limiti di questa azione di resistenza, la cui importanza tuttavia consiste nell’esserci stata e nell’aver dimostrato la sua potenzialità inespressa. C’è un giudizio severo di Adenauer in questo senso. Interrotta la T4, il primo settembre 1941 gli ebrei vennero obbligati a portare la stella gialla.


7. Ghezzi 1994 
La Rosa Bianca, un'azione di grande significato, è uno dei pochi fatti più noti della Resistenza tedesca, sebbene mal conosciuto anche da buoni autori (come abbiamo visto). Fu un vero attentato alla dittatura di Hitler, non col tentare di ucciderlo, ma cercando di levargli il rispetto e l’obbedienza del popolo. Ghezzi ci fa conoscere, attorno ai fatti più noti, altre azioni di resistenza civile. Il 13 gennaio 1943, gli studenti universitari di Monaco fecero una clamorosa contestazione pubblica contro il Gauleiter Giesler, che aveva offeso pesantemente le studentesse invitandole a farsi femmine da riproduzione della pura razza ariana, invece di studiare. In dieci anni di regime non si era mai vista una simile contestazione, arrivata a fronteggiare fisicamente le SS e a picchiare (certo non era perfettamene nonviolenta!..) il capo degli studenti hitleriani. Alla fine del mese il Gauleiter Giesler dovette scusarsi pubblicamente con gli studenti. Da questo episodio, i fratelli Scholl trassero la convinzione purtroppo errata (Ghezzi, p. 184), che il tempo era maturo per una ribellione delle coscienze (pp. 19-20). 
Quando Hitler inaugurò il primo tratto di autostrada Francoforte-Darmstadt, la notte precedente, in molti punti dell’asfalto nuovo comparvero le scritte “Fame!”, “Abbasso Hitler”, e furono messi fuori uso altoparlanti e telefoni. La polizia non scoprì mai gli autori. Questa azione corrispondeva al metodo teorizzato in un volantino di quel periodo dal socialista Ernst Fraenkel: il lavoro illegale deve essere visibile sia per la popolazione sia per la Gestapo, perchè uno dei suoi effetti essenziali sta nel dare insicurezza proprio ai detentori del potere. L’attività illegale sia visibile, l’attivista illegale invisibile! Solo così l’azione ha un significato politico (pp. 246-247). 
Con azione individuale, l’operaio berlinese Quangel e sua moglie, riconoscendo lucidamente la brutalità e la menzogna del regime, la denunciano per due anni scrivendo cartoline che depongono davanti alle porte delle case. Sono «appelli alla resistenza contro la perversione dello spirito». Arrestato, Quangel incalza e rende sempre più insicuri gli inquisitori che lo interrogano, prima di essere giustiziato. E’ una tipica azione di resistenza morale, fondamento e movente di ogni resistenza analoga a quella della Rosa Bianca. Quangel fu ricordato dal presidente della Repubblica Federale Tedesca Richard von Weizsäcker, il 15 febbraio 1993, insieme ai giovani della Rosa Bianca (p. 296). 
Hans e Sophie Scholl e Christoph Probst sono ghigliottinati di nascosto in carcere il giorno stesso della sentenza, invece che nella Marienplatz di Monaco, come voleva Giesler, perchè il governo di Berlino temeva manifestazioni di solidarietà (p. 183). Invece, non ci fu nessun sollevamento di studenti, nessuna protesta per la loro uccisione. Soltanto, il giorno della sepoltura, 24 febbraio 1943, qualcuno aveva scritto sul muro dell’università «Lo spirito vive» (pag. 188). Debole e forte simbolo di vita sotto la pressione della morte: un resistere, esistere, stare fermi, stare e ri-stare, reggere sotto la violenza, alla quale così si vieta di vincere davvero. Sebbene piccolo come un granello di senape, questo resistere personale e in qualche modo comunicato è il seme di ogni resistenza: «Resistere è l'atto principale della fortezza. Resistere è più difficile (richiede più forza) che aggredire» . 
La notte prima del processo, Sophie fa un sogno che racconta alla compagna di cella Else Gebel: «Era un giorno di sole e portavo un bambino al battesimo, avvolto in una lunga veste bianca. La strada per la chiesa diventava un ripido sentiero di montagna. Ma io camminavo sicura tenendo forte il bambino. Improvvisamente mi si aprì davanti un crepaccio. Ma ebbi il tempo di posare il bambino in un posto sicuro prima di sprofondare nell’abisso». Sophie aveva spiegato a Else il sogno: «Il bambino è la nostra idea, che si affermerà nonostante tutti gli ostacoli. Per questa idea abbiamo dovuto preparare la strada, ma anche morire» (pp. 186-187). Morire con questa visione è un fortissimo atto di resistenza, più forte di ogni arma che si oppone alla morte con altra morte, ed è una resistenza tutta consegnata a chi vive dopo grazie a questi morti, alla loro luce, alla loro superiorità sulla violenza.

8. Resistenti e ribelli nell’esercito tedeco 
In questa sede richiamo solamente alcuni dati: 35.000 furono i disertori nell'esercito nazista. Di questi, 15.000 vennero arrestati e giustiziati. Su 12 milioni di soldati, sono pochi? Una quantità molto maggiore avrebbe avuto effetti decisivi, ma il significato di questi coraggiosi ribelli trascende il loro numero. Sembra di poter dire che, nelle stragi naziste di S. Anna di Stazzema (Lucca) e di Marzabotto (Bologna), alcuni militari tedeschi, anche delle SS, si adoperarono per salvare alcuni civili, altri eistarono ad obbedire all'ordine di ucciderli, altri si rifiutarono di obbedire e pagarono con la vita questo loro riscatto morale. 
Degli obiettori di coscienza e renitenti alla leva si conoscono alcuni nomi, sufficienti a pensare che il fenomeno occultato sia stato almeno un poco maggiore. Anche qui, il numero è piccolo, grande il segno. Più numerosi i semi-obbedienti: coloro che obbedivano a rilento, capivano male gli ordini, li dimenticavano, trovavano un modo astuto di sottrarvisi, e non sempre senza rischio personale. Chi ricorda l'occupazione nazista in Italia può testimoniare alcuni di questi casi. Non erano resistenti aperti, ma certo non collaboravano appieno e cercavano di frenare la macchina che li coinvolgeva.

9. Il boicottaggio della Shoah con l’azione umanitaria in favore degli ebrei 
In altra sede ho raccolto un certo numero di nomi e storie di "altri Schindler", con riferimento al personaggio reso famoso dal film di Steven Spielberg. Quanto al numero di ebrei salvati, alcuni di loro ne sottrassero allo sterminio molti più di Schindler, fino a molte migliaia, fino ai 100.000 di Raoul Wallenberg, diplomatico svedese. Ma, per limitarci qui ai cittadini tedeschi, richiamo soltanto il fatto che, secondo i calcoli del Centro per le ricerche sull'antisemitismo dell'Università tecnica di Berlino, quando nel maggio 1943 la città fu dichiarata "libera dagli ebrei", vivevano in Berlino almeno 1.400 ebrei nascosti e protetti da cittadini tedeschi. Dato che l'esistenza di ogni clandestino era nota a circa 4-5 persone, si ricava che, solo a Berlino, almeno 6-7.000 tedeschi sfidavano la morte per proteggere ebrei. In tutta la Germania gli ebrei nascosti erano circa 4.000. Contando anche i casi in cui l'aiuto fallì, il Centro suddetto calcola che 50-80.000 tedeschi aiutarono coraggiosamente gli ebrei.

10. Obiezione degli scienziati atomici tedeschi? 
Questa non appare come una chiara e dichiarata obiezione di coscenza. 
Per Leandro Castellani resta incerto quanto pesò il “non potere” (per “mancanza di mezzi”, dovuta anche a sabotaggi e bombardamenti inglesi e statunitensi sulle riserve di uranio e di acqua pesante) e quanto il “non volere” degli scienziati tedeschi. Karl Friederich von Weizsäcker dichiara all’autore nel 1967: «Non sarei mai andato da Hitler a dirgli: “Ecco. Abbiamo trovato l’arma definitiva”. Avevo delle buone, buonissime ragioni per non farlo. Primo non lo volevo fare; e poi comunque non sarebbe stato possibile farlo.». Resta però il fatto che gli scienziati tedeschi ingannarono il governo nazista facendogli credere fino all’ultimo di poter lavorare alla costruzione dell’atomica. 
Secondo Thomas Powers , essi non misero «un serio impegno», «non si apprestarono mai attivamente alla costruzione della bomba». Egli sottolinea di più la non volontà di Heisenberg e degli altri scienziati di mettere in mano a Hitler l’atomica. Gli scienziati tedeschi «smorzarono» l’interesse. Powers dubita che Heisenberg fosse sincero e leale nel dire che il progetto era «troppo impegnativo». Egli «si preoccupava soltanto del problema posto dalla bomba e non del problema di come costruirla». Non si limitò ad astenersi ma fu lui stesso a far abbandonare il progetto. Houtermans, nell’aprile 1941, fa arrivare agli americani informazioni sul progetto tedesco della bomba e dice che Heisenberg cerca di procrastinare il più possibile i risultati. Nel 1941 Heisenberg in Danimarca informa Niels Bohr e gli propone un accordo tra i fisici di tutto il mondo per far fallire ovunque il progetto atomico dicendo sia ai tedeschi sia agli alleati che la costruzione della bomba è troppo impegnativa e incerta. La verità è che le iniziative tedesche «furono stroncate dal pessimismo tecnico dei più eminenti scienziati tedeschi che non volevano costruire la bomba per Hitler». Powers riferisce questa dichiarazione di Heisenberg: «Era orribile l’idea di mettere in mano a Hitler la bomba atomica». Ma Heisenberg rimase poi reticente, non rivendicò alcun merito perchè - suppone Powers - amava la Germania, rimase in «esilio interiore» e non volle figurare come sabotatore, non si assunse la responsabilità di essere anche un esempio oltre il risultato contingente. 
Mi pare di capire che la coscienza di questi scienziati cercò degli spiragli per non collaborare al male, pur senza affrontarlo di petto e apertamente. Anche questa tuttavia fu una resistenza civile, non armata, alla violenza nazista. Infatti Sèmelin individua, tra le forme di questa resistenza, il lavoro a rilento. Tale fu il lavoro di questi scienziati, anzi una non-collaborazione e un boicottaggio mascherati da collaborazione faticosa, difficile, lunga. Essi tennero occupato il posto di collaboratore senza dare collaborazione.


11. L’arte come resistenza 
Senza sviluppare questo tema affascinante nè raccogliere altra documentazione, vorrei ricordare un solo nome di donna tedesca: Käthe Kollwitz (1867-1945), di cui abbiamo visto alcuni disegni e sculture nella mostra “L’arte per la libertà”, a Genova nel gennaio 1996: scene tese, scabre, dolenti, soprattutto di donne; scene che sono un vivente grido contro guerra e violenza; sono quel rifiuto, quel no profondo e solenne all’offesa, che è fondamento e completamento di ogni resistenza, tanto più quanto più questa è radicalmente alternativa alla violenza anche nei mezzi. Käthe Kollwitz morì all’inizio del 1945, non vide la fine della querra. Ma le sue opere anche oggi gridano “fine" ad ogni guerra contro l’umanità, la dignità, la giustizia. Quel piccolo gruppo in legno scuro di donne appoggiate le une alle altre, che salutano dolorosamente i loro uomini in partenza per la guerra, emana un lutto così straziante che non si ha un cuore umano se non ci lascia determinare ad opporre il no di tutta la propria persona, di tutte le proprie energie, al male che in Germania in quegli anni si chiamava nazismo, e che sotto molti nomi e aspetti sempre si ripresenta a minacciare moralmente prima che fisicamente la vita umana in noi tutti.

12. Per un giudizio generale: la Resistenza tedesca come resistenza di coscienze. 
Friedrich Muckermann, gesuita, autore di La via tedesca, pubblicò in Olanda dal 1933 al 1939 una rivista con lo stesso titolo, Der Deutsche Weg, diretta ai tedeschi, per contestare al nazismo il monopolio del patriottismo, al quale egli rivendicava (con un tentativo oggi discutibile più di allora) il fondamento cristiano. In conclusione del libro, nel 1945, Muckermann scrive: «Ci fu in Germania un movimento di resistenza che ebbe uno sviluppo sino ad oggi sconosciuto nell'opinione pubblica mondiale. Questo movimento di resistenza ha condotto la sua battaglia nel campo essenziale e più importante: nel campo della libertà di coscienza, che è il fondamento e la premessa di ogni libertà umana». 
In effetti, la Resistenza tedesca fu una lotta nelle coscienze e delle coscienze. Lotta nelle coscienze per i militari, che passarono all'azione contro Hitler e dovettero superare il giuramento di fedeltà personale, che non era solo un alibi, ma un vero problema di coscienza, anche riguardo all'uccidere (come sentirono in particolare Goerdeler e Moltke), cioè all'usare un metodo nazista per abbattere il nazismo. Lotta nelle coscienze per i cristiani ispirati alla tradizione luterana dell'obbedienza "teologica" al principe, superata con forza e sforzo interiore dalla Chiesa Confessante con la Confessione di Barmen. Lotta delle coscienze, perché quel milione (o tre milioni, secondo Vaccarino) di tedeschi chiusi in lager come oppositori politici, opposero a Hitler invece delle armi, e ben più che le armi, il rifiuto delle loro coscienze ad obbedire al comando malvagio. Questo rifiuto è, come ha detto Muckermann, fondamento della libertà. La quale ha, nelle armi, al massimo uno strumento molto ambiguo e insicuro, e invece, nella responsabilità delle coscienze, la sua sostanza. 
Colgono meno questo carattere della Resistenza tedesca giudizi come quelli di Collotti citati sopra al paragrafo 4, o questo di Salvadori: «Un movimento di resistenza vero e proprio non potè svilupparsi». «Nessuna forma di opposizione, né direttamente politica come quella comunista e socialdemocratica, né militare, né religiosa, riuscì a rappresentare altro che la protesta di una piccola minoranza del popolo tedesco (...). La macchina del totalitarismo nazista fu spezzata, essa che aveva quasi tutto travolto all'interno del paese, soltanto nel corso di una guerra perduta». 
Un tale giudizio, molto diffuso, che riconosce alla guerra antinazista tutto il merito e il valore di opposizione efficace al nazismo, richiede alcune semplici considerazioni: 
1) la previsione e avvertimento di Gandhi, che non si sarebbe potuto vincere il nazismo con la guerra, cioè con metodi simili si suoi, perché la guerra può essere vinta solo facendosi più spietati e più crudeli del nemico , si è verificata nel fatto che i vincitori di Hitler ne hanno ereditato lo sterminismo nella misura amplificata del dominio atomico sull'umanità. La guerra ha distrutto l'impero di Hitler, ma non il suo spirito. Certamente si deve riconoscere che la cultura politica e l'evoluzione morale umana non erano in grado allora (come ancora oggi, ma in presenza di una consapevolezza assai cresciuta) di opporre alla guerra di Hitler se non altra guerra, ma si deve ugualmente riconoscere che l'opposizione morale e spirituale dei resistenti senza violenza batteva vie più antiche e più nuove, più profondamente contrarie e alternative al nazismo. 
2) quel giudizio di Salvadori appare meno illuminato e chiaroveggente di quelli che riconoscono e valorizzano più della guerra, in un bilancio umano profondo e di lunga prospettiva, il moto di coscienze, pur minoritario e nell'immediato sconfitto e fisicamente soppresso, che fu la Resistenza tedesca. 
3) quel giudizio però pone giustamente il problema dell'efficacia irrinunciabile: l'opposizione ad un potere iniquo deve proporsi di sostituirlo, non soltanto di giudicarlo, né soltanto di negargli la collaborazione e l'obbedienza personali senza che questi rifiuti lo svuotino e lo facciano cadere. Oltre la testimonianza si deve cercare il risultato storico. Certamente. Ma l'efficacia delle lotte nonviolente - come quella di ogni tipo di lotta e di impresa importante - non è soltanto quella immediata (che pure in alcuni casi storici si è avuta: per esempio nell'opposizione degli insegnanti norvegesi alla nazificazione della scuola ), ma è anche quella profonda, che agisce a lungo nel tempo successivo col porre le premesse di esperienza, le premesse teoriche, soprattutto le premesse morali per la lotta alla violenza senza ripetere la violenza. Lo vediamo dal fatto che, se il nazismo avesse avuto di fronte soltanto una opposizione violenta (fallita e soppressa in Germania e in ciò esauritasi, a differenza della opposizione morale), il giudizio su di esso sarebbe più appannato risolvendosi quasi in un confronto di forze brute. E tale è infatti quel giudizio per chi vede la storia come uno scontro di forze materiali, di violenze che si giustificano a vicenda, e non dei valori umani contro le negazioni dell'umanità. La disumanità della violenza risalta invece quando la fronteggia l'umanità più pura, più tesa a liberarsi da ogni offesa e danno ad esseri umani, fossero pure colpevoli. 
Questa efficacia morale, di esempio, incoraggiamento, stimolo, direi che è assicurata sempre all'azione nonarmata mossa da volontà di nonviolenza, dalla ricerca di liberarsi anche dalla propria violenza. La morte dei fratelli Scholl e dei loro compagni, per esempio, è un fallimento nell'immediato, ma è una forza operante ed efficace nel trasmettere ad ogni tempo e luogo umano la forza del rifiuto della tirannia disumana. Questa forza è l'anima e la ragione di ogni ricerca doverosa di effettiva e rapida demolizione politica di un potere ingiusto. Senza quella forza, la più potente forza materiale non cambia veramente le cose in meglio: può cambiare gli occupanti del potere senza affatto renderlo più giusto, meno violento. Abbondano le prove storiche. La disposizione al sacrificio della propria vita (anche chi usa le armi può essere ucciso, e gli occorre questa disposizione) non è rinuncia all'efficacia attuale, ma affermazione dell'efficacia certa dei fini più umani. Non è da calcare la distinzione weberiana tra etica dei fini, delle intenzioni da un lato, e ricerca responsabile del risultato dall'altro lato: nel concreto, escluse le posizioni estreme, chi agisce con un senso morale umano persegue entrambe le cose. L'importante è che, se viene a mancare il risultato, non manchi la chiarezza del fine e la forza dell'intenzione. Il fine e l'intenzione potranno trovare in altra circostanza, per mano di altri, la loro realizzazione, mentre non è vero il contrario: un risultato concreto e vantaggioso ottenuto in contraddizione con quelli che erano i fini e le intenzioni pure originarie dell'agente, non è un risultato positivo, perché ha un valore statico ed ambiguo, non dinamico. Altra cosa è il risultato parziale, sulla linea dei fini maggiori, cioè quello che Gandhi chiamava il "nobile compromesso". L'importante è che tanto il risultato, piccolo o grande, quanto il sacrificio, indichino chiaramente il fine maggiore. In tal caso, una efficacia c'è. 
Dunque, la Resistenza tedesca è stata, come scrive Hans Mommsen, «un atto di autodifesa morale», una resistenza dello spirito. 
Quando leggiamo l'ultima lettera di Helmuth James von Moltke alla moglie, dell'11 gennaio 1945, dodici giorni prima di essere impiccato, in cui racconta il suo processo e la condanna a morte, ci pare di leggere gli antichi Atti dei martiri. Il presidente del "Tribunale del popolo", Roland Freisler (lo stesso feroce giudice che aveva condannato il gruppo della Rosa Bianca), gli chiede retoricamente: «Da chi prende ordini lei? Dall'aldilà o da Adolf Hitler? (...) A chi va la sua fedeltà e la sua fede?». Il delitto di Moltke è il non essere tutto di Hitler. Egli scrive alla moglie che è felice di essere condannato «non come protestante, non come latifondista, non come nobile, non come prussiano, non come tedesco (...) bensì come cristiano e assolutamente nient'altro». Davanti al potere assolutamente prevaricante, che pretende adorazione divina, si alza la resistenza della coscienza. Colpiscono, in questa nostra ricerca, le parole di Freisler quando accusa Moltke, protestante, per i contatti col gesuita Alfred Delp : «Un padre gesuita, e proprio con lui lei va a discutere i problemi della resistenza civile!». 
Un documento, forse il più grande per profondità, di questa resistenza dello spirito, sono le pagine di Dietrich Bonhoeffer, pubblicate in apertura delle sue lettere dal carcere e scritte nel 1943 .

13. Dedica al Resistente Ignoto 
Dedichiamo questo sguardo, molto incompleto e correggibile, sulla Resistenza civile al nazismo da parte di cittadini tedeschi, al più sconosciuto e disconosciuto, al più offeso e calpestato - perchè diversi di loro furono offesi e sono disconosciuti anche nella democrazia, dopo la caduta del nazismo - tra quanti tedeschi opposero alla violenza nazista l'insorgere della loro coscienza. Infatti, l'oscurità di questo "Resistente Ignoto" è più luminosa dei lampi mortali del nazismo, e il suo rifiuto ha costruito la Germania umana tra i popoli umani, per molto più che mille anni, non soltanto meglio e più veramente di ogni superbia e violenza che essa abbia prodotto, ma anche meglio e più solidamente di ogni ricchezza ed influenza che essa oggi produce. 
Se la Resistenza tedesca è stata soltanto un moto di coscienze è stata molto, non poco. E non è un caso, probabilmente, che, negli anni '80, gli anni della montata dello sterminismo atomico, il movimento per la pace abbia avuto in Gerrmania forse il suo luogo più vivo. Forse non è un caso che le manifestazioni popolari tedesche per la pace, cioè per la «incapacità strutturale di aggressione» , siano state, tramite la televisione, modello e proposta delle tecniche di rivoluzione nonviolenta che, nell'Europa dell'est, hanno delegittimato e fatto cadere senza violenza i regimi autoritari .

Enrico Peyretti (e.pey@libero.it)

Appendice - Riferimenti attuali (2000) in Germania sulla Resistenza antinazista: 
1 - DRAFD, Deutsche in der Résistance, in den Streitkräften der Antihitlerkoalition und der Bewegung Freies Detschland (Tedeschi nella Resistenza, nelle forze armate della coalizione antihitleriana, nel movimento Libera Germania). Telefono sede centrale di Berlino: 0049/30/509.88.52. Contatto diretto con un partigiano del DRAFD: Peter Gingold, Reichsforststrasse 3, D-60528 Frankfurt, tel 0049/69/672.631 
2 - Bundesvereinigung Opfer der NS Militärjustiz (Associazione vittime dei tribunali militari nazisti), Freidrich Humbert Strasse 116, D-28758 Bremen, tel 0049/421/622.073, fax 621.422. Contatto diretto con il presidente Ludwig Baumann, Aumunder Flur 3, D-28757 Bremen, tel 0049/421/66.57.24 
3 - Antikriegsmuseum, Friedensbibliotek, Bartolomäuskirche, Friedensstrasse 1, D-10249 Berlin, tel 0049/30/508.12.07 
4 - Mahn- und Gedenkstätte für die Opfer der Nationalsozialistischen Gewaltherrschaft (ammonimento e memoria per le vittime del dominio nazista), Mühlenstrasse 29, D-40591 Düsseldorf 
(Da: http://www.peacelink.it/storia/a/11490.html)