ARCHIVIO STORICO DELLA CALABRIA
Nuova serie
Fra i contenuti:
Torino
di Maura Pini (1)
"Avvolta nella ragnatela dei fili tranviari, dai quali gli occhi del viaggiatore non riescono a liberarla, alla fine della piazza più grande della città , dopo il ponte gettato su un acerbo Po, sopra un'alta scalinata, in neoclassiche vesti mutuate dal pantheon romano, la Gran Madre sta, come il manzoniano masso che, rotolato da "lunga erta montana", "giace in sua lenta mole".
Intorno alla sua costruzione c'era di mezzo, se non proprio un voto, come succede spesso per le chiese intitolate alla madre di Dio, un ringraziamento per il ritorno del re Vittorio Emanuele I di Savoia il 20 maggio 1814, dopo le ritirate degli eserciti di Napoleone.
Sul timpano del tempio l'epigrafe «ORDO POPVLVSQVE TAVRINVS OB ADVENTVM REGIS», ribadisce il gioioso evento al viaggiatore, che nel frattempo vede il re in posizione centrale, in romane vesti, sopra un alto piedistallo, ai piedi della scalinata. Tutto è orchestrato per trattenere lo sguardo del passante che intendeva recarsi al parco lungo il fiume: due statue ai lati della scalinata su un grande basamento.
Al viaggiatore viene raccontato che siano la Fede e la Religione, di uno scultore carrarese, Carlo Chelli, che, ancor fresco d'Accademia, vinse nel 1827 il concorso per quelle opere.
Due donne sedute, coperte da latini pepli, che avanzano fuor dal basamento, la Fede, il piede sinistro, la Religione, quello destro, provvisti entrambi di egual tipo di calzatura, ché sarebbe stato strano il contrario.
La Religione tiene con la mano destra la croce e, assorta, chiusa in un suo mondo interiore, pare ignorare le tavole della legge che un giovincello angelo/ganimede vorrebbe offrire al suo sguardo.
La Fede tiene un libro aperto con la destra e con la sinistra alza un calice; a sua volta, ignora un angelo, che, pur giovine, è già munito di spada.
La Fede pare guardare lontano.
Al viaggiatore vien detto che il suo sguardo indica il luogo dove è celato il Graal.
Il viaggiatore pensa che gli occhi senza pupille della Fede rendono incerta l'identificazione del luogo indicato.
La ricerca è sempre iter personale.
"Torino inanella tutta una serie di piazze di razionale rigorosa bellezza e chiarezza metafisica.
Sono piazze che si aprono alla fine di una lunga teoria di portici o all'uscire da quello che era una volta il ghetto ebreo ( piazza Carlina, che ci rammenta di un Savoia che amava travestirsi) o a cui si sbuca centralmente provenendo dalle geometrie sinuose di Palazzo Carignano.
In un angolo di quest'ultima piazza, dedicata a Carlo Alberto sguainante spada, al 13, sopra l'alllegra pizzeria colà aperta da Chiambretti, c'è una fila di finestre, quasi quadrate, che rivelano stanze dal soffitto più basso rispetto a quelle dei piani superiori, che, a fine ottocento, erano date in affitto anche a qualche viaggiatore.
In una di esse, fra poco mobilio, un tavolino per scrivere, un baule per gli abiti, libri e bottigliette di medicamento sparsi ovunque, soggiornò, dal 21 settembre 1888 al 9 gennaio 1889, Nietzsche.
Sopra quel tavolino, cui abbiamo accennato sopra, vergava qualche lettera in cui narrava l'occupazione del momento: "Un piccolo pamphlet di argomento musicale mi tiene occupate le mani."
E parlava della città in termini condivisibili, cioè Torino destava in lui ciò che pare destare ad ogni visitatore, quel senso di ariosa aristocratica ampiezza, su cui è diffusa una "unità di gusto" , dice lui, o coerenza stilistica.
Sottolineava con una sorta di voluttà, che stupisce, dati i suoi problemi di digestione, la bontà del vitto locale.
Personalizza, sotto i titoli di proprie opere, due suoi momenti torinesi.
Una passeggiata serale sul ponte del Po diventa: Al di là del bene e del male.
Il suo incontro con la mole Antonelliana gli suggerisce un: Ecce homo.
Ma per Nietzsche Torino è fatale.
C'è un passo di un piccolo libro di Zweig, Il demone di Nietzsche, che narra in pochi forti tratti la caduta definitiva di Friedrich nella follia. " Per quindici anni Nietzsche sorge dalla bara della sua stanza, vi ricade, di dolore in dolore, di morte in morte, di resurrezione in resurrezione, finché il suo cervello surriscaldato da troppe energie, s'incrina.
Uomini estranei trovano, caduto sulla pubblica via, colui che fu l'uomo più estraneo al suo tempo.
Estranei lo portano su, nella camera straniera di via Carlo Alberto a Torino.
Nessuno è testimone della sua morte spirituale, come nessuno lo fu della sua vita spirituale." Certo tante erano state le cadute e le resurrezioni, ma colpisce che a Torino avvenga quella definitiva, dopo le parole spese da Nietzsche per una città che dona " uno squisito senso di benessere diffuso su tutte le cose” e "buonumore", "lavoro ed energia", l'unica città "possibile".
C'è una frase di Calvino che trovo illuminante, perché spiega come la prima sensazione che procura Torino possa condurre al suo contrario: "Torino è una città che invita al rigore, alla linearità, allo stile.
Invita alla logica, e attraverso la logica apre alla follia”.
___________
(1) Il testo di Maura Pini presenta la pagina Torino su questo blog, ma non fa parte del libro con testi di Carlo Grande, di cui sotto illustrazioni.