ARCHIVIO STORICO DELL'ARTE
A CURA DI GIOVANNI PITITTO
DELOS
Delos Cyberzine 01 - Dicembre 1994
INTERVISTE
Intervista con William Gibson
di Franco Forte e Luigi Pachì
"Delos: Dopo dieci anni dalla nascita ufficiale del genere "cyberpunk"  - che viene generalmente associato al suo romanzo Neuromante - cosa è cambiato  nel vostro movimento letterario? Crede che il termine fantascienza sia ancora  accostabile a quello più autonomo di cyberpunk? 
Gibson: Non sono mai stato davvero convinto che il cyberpunk fosse un  movimento letterario in senso formale. Questa visione viene di molto distorta  dal piacere di Sterling nell'utilizzare la retorica di un movimento radicale,  pur sospettando che un certo elemento di umoristica autoconsapevolezza si perda  nella traduzione. Non che egli non prenda ciò che dice seriamente, ma è  totalmente cosciente della oltraggiosità di alcune delle sue asserzioni. Per  cyberpunk io intendo una tendenza nella cultura pop degli ultimi dieci anni  circa, qualcosa che noi possiamo scorgere nella narrattiva, fumetti, musica,  cinema, videoclip, moda. 
Delos: Quale è stata la ragione principale che l'ha spinta a scrivere  per la rima volta di reti computerizzate e decadenti megaconglomerati, in un  complesso stile neologistico? 
Gibson: Stavo semplicemente cercando di scoprire un modo di fare  narrativa che potesse servire come fantascienza nel nostro momento storico. 
Delos: L'oligarchia capitalista che descrive nei suoi romanzi,  all'interno di un mondo ricco di tecnologie cibernetiche e bioingegneristiche, è  qualcosa in cui crede veramente, o si tratta, piuttosto, di una società da  grande incubo di cui sente la necessità di narrare? 
Gibson: Penso principalmente al mondo che descrivo nei miei romanzi  come ad un tipo di riflesso impressionista della realtà contemporanea. Ho sempre  respinto l'idea che la fantascienza potesse avere una particolare capacità  produttiva. 
Delos: Bruce Sterling, crede nel cyberpunk come si trattasse di uno  strumento ideologico, anziché letterario. Cosa ne pensa a riguardo? 
Gibson: Penso che Sterling stia semplicemente cercando di utilizzare  gli strumenti degli scrittori "classici" di fantascienza nel mondo strano,  complesso e spesso tragico in cui oggi viviamo.
  
Delos: Quale sensazione prova nello scrivere racconti a quattro mani  con autori come Bruce Shirley, Michael Swanswick e Bruce Sterling? 
Gibson: La collaborazione è attualmente una tradizione radicata nella  cultura della fantascienza americana. Il fatto che essa sia del tutto aliena al  mondo della narrativa contemporanea rende il tutto più interessante. La società  moderna si ha progredito molto dal 1984, ma certamente non come la teoria del  villaggio globale. Pensa che raggiungeremo fantascienza americana. Il fatto che  essa sia del tutto aliena al mondo della narrativa contemporanea rende il tutto  più interessante. Relativamente al nostro futuro, l'unica cosa di cui sono  assolutamente certo é che esso sarà infinitamente più strano di ciò che io abbia  mai potuto prevedere. Ho sempre immaginato che "Neuromancer" si svolgesse nel  2035. Il vero 2035 ha una buona possibilità di essere molto più strano di quanto  descritto. Non potevo ad esempio, nel 1982, immaginare la dissoluzione  dell'Unione Sovietica... Non potevo immaginare l'AIDS... 
Delos: Cosa pensa delle etichette, della fantascienza "tradizionale",  del "cyberpunk"...? 
Gibson: Sono molto in dubbio davanti alle etichette. Non sono mai  stato interamente soddisfatto né con "fantascienza", né con "cyberpunk". Ammiro  gli scrittori come Thomas Pynchon e William Burroughs il cui lavoro mi ha  suggerito che elementi di fantascienza sono ora strumenti necessari per ogni  profonda ricerca della realtà contemporanea. Il nostro mondo è diventato  fantascienza. 
Delos: Quale dei suoi lavori considera maggiormente profetico? 
Gibson: Non credo che la mia funzione sia di quelle da profeta. Al  momento faccio persino fatica a vedermi come futurista. Penso che la mia  funzione coinvolga le interrogazioni della realtà contemporanea con alcune  tecniche associate al profetico. Tra i miei libri il preferito è "The Difference  Engine", perché realizza le sue interrogazioni in maniera metodica. 
Delos: Da quale opera ha tratto maggiori soddisfazioni? 
Gibson: Anche in questo caso si tratta di "The Difference Engine". E'  l'unico dei miei libri che rileggo per puro piacere. 
Delos: Nel suo ultimo romanzo "Virtual Light" (pubblicato da  Mondadori: Luce Virtuale) parla di gioventù bruciatatra le rovine tecnologiche  di una civiltà consumistica. Da dove attinge per ottenere la rabbia e la  frustrazione che descrive? 
Gibson: Per molta gente vivere oggi nel nostro mondo è sicuramente un  incubo. Non certo in Vancouver o Roma, ma noi siamo (al momento) i più  fortunati. In una certa misura scrivo come se fossi in circostanze meno  privilegiate. 
Delos: Da dove nascono personaggi atipici come Turner, il Samurai  cibernetico che appare nel suo secondo romanzo "Count Zero"? 
Gibson: Il personaggio fu un vero e coscienzioso sgretolamento del  mito dell'eroe americano. In effetti viene letteralmente distrutto (con una  bomba) nelle prime righe e successivamente ricostruito da operazioni chirurgiche  che sostituiscono i suoi occhi e i suoi genitali con quelli di qualcun altro.  (Di chi? Turner non pensa mai di chiederlo.) 
Delos: Gli scrittori americani sono gli indiscussi leader di romanzi,  dalla fantasy a giallo. Quali sono le ragioni di questo successo, secondo lei? 
Gibson: Con l'inglese (scusatemi) la lingua franca del mondo  post-bellico, gli scrittori americani con la loro vasta economia di mercato sono  stati in grado di assicurarsi una larga fetta del mercato globale.  Personalmente, in questo periodo, quando cerco un'esperienza di lettura  soddisfacente tendo verso gli scrittori britannici. 
Delos: Quale lavoro avrebbe voluto fare se non avesse ottenuto  successo con i suoi romanzi? 
Gibson: Se non avessi fatto questo lavoro penso che starei  probabilmente lavorando in una libreria. Per natura non sono una persona  estremamente ambiziosa e i miei libri sono andati oltre le mie migliori  aspettative. A questo punto la mia ambizione è sforzarmi di ignorare l'intero  "business" del successo e semplicemente cercare di scrivere i libri che voglio  scrivere. 
Delos: Crede che la realtà virtuale sostituirà nel prossimo futuro le  sensazioni naturi? 
Gibson: Soltanto se credi che la televisione "sostituisce per natura i  sentimenti umani". La realtà virtuale è semplicemente l'ultima oggettivazione di  un numero di cose che stiamo già facendo. Sospetto realmente che i primi  articoli sulla televisione diedero voce alla stessa paura. Avevano ragione? Non  lo so. 
Delos: Religione e cyberpunk. Un difficile connubio. Ha mai scritto  qualcosa a questo proposito? Pensasia possibile collegare le due cose? E come? 
Gibson: Credo che ci siano molti palesi pensieri religiosi nei miei  romanzi, sebbene nessuno dei miei personaggi sembri credere in Dio nel senso  tradizionale (eccezion' fatta forse per i "Rastafarians" di "Neuromancer"). Nel  mondo di questi romanzi le principali religioni sembrano essere cadute nel  silenzio, sebbeno io pensi che ciò non accadrà realmente. 
Delos: Quali sono i nuovi autori emergenti, non solo in ambito  cyberpunk, che lei considera interessanti? 
Gibson: Ammiro molto Jack Womack e Steve Erickson, negli Stati Uniti.  Lo scrittore britannico Iain Sinclair è uno dei mie grandi favoriti, così come  Iain Banks (scozzese). 
Delos: In conclusione, può spiegare ai nostri lettori cosa realmente  si intende con il neologismo di cyberpunk? 
Gibson: Il cyberpunk è sia un movimento letterario all'interno della  fantascienza nato nei primi anni '80 e ora largamente diffuso all'interno della  cultura popolare contemporanea che tenta di abbracciare l'avvento di nuovi modi  di percezione, tecnologicamente perfezionati. L'abbraccio è profondamente  ambivalente e contraddistinto dalla consapevolezza di quello che può essere  chiamato "il postmoderno sublime" - il mescolarsi inquieto e simultaneo di paura  ed estasi". 
(Versione integrale dell'intervista apparsa sul quotidiano "L'Avvenire" il  18/2/94.) 
(c) Luigi Pachì e Franco Forte