E così, invece di una o due stanze dei locali posti al piano terra ... la Postazione di Polizia Municipale Estiva da qualche giorno occupa l'intero primo piano della Palazzina Gentilizia della Tonnara di Bivona! Dicono che l'occupazione è temporanea, limitata ai mesi estivi, percui rimandiamo di esprimere il nostro parere all'inizio della stagione autunnale su quella che appare, anche se temporanea, una poco corretta vicenda amministrativa. Nel frattempo informiamo che il Comune ha chiesto alla Regione Calabria, una proroga di 14 mesi per la conclusione dell'intervento di Restauro Conservativo e valorizzazione del Castello di Bivona in Vibo Valentia. Già, perchè sui lavori di restauro sul Castello, interrotti a seguito della necessità di rimuovere quello strano stabilizzato simile a bitume nero, era calato un silenzio impenetrabile. In nostro soccorso giunge la Determina n. 405/Settore6 pubblicata in questi giorni sul sito istituzionale del Comune di Vibo, alla quale è allegata una "Relazione Riepilogativa e generale sui lavori di Restauro Conservativo e valorizzazione del Castello di Bivona" Ovviamente nel link sottoriportato sarà possibile leggere l'interno documento, mentre è utile trascrivere - per comprendere lo stato delle cose ad oggi, con il Castello abbandonato all'incuria - stante la stessa relazione, quanto accaduto a seguito della richiesta della Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici per le Provincie di Reggio Calabria e Vibo Valentia (del 03 giugno 2011, protocollo 1467, ricevuta in data 14/06/2011) di rimozione "di una parte della pavimentazione stradale adiacente il muro perimetrale del Castello, subordinando il parere sulla variante alla rimozione della stessa pavimentazione; [vedi nostra segnalazione] Il 14 Giugno 2011, con Ordine di Servizio n.3, la Direzione Lavori ordina all'impresa appaltatrice di ottemperare alle richieste della Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici per le Provincie di Reggio Calabria e Vibo Valentia. L'impresa si è attivata e il 15 giugno u.s. ha provveduto a rimuovere la pavimentazione in eccesso realizzata (...); Il 25 luglio 2011 la Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici per le Provincie di Reggio Calabria e Vibo Valentia, concede il nulla osta definitivo all'esecuzione dei lavori. L'ultimazione dei lavori, in considerazione dell'esiguità delle lavorazioni da farsi, e precisamente messa in opera delle lanterne sui pali dell'illuminazione esterna con collegamento alla rete elettrica già predisposta e definizione del percorso interno all'area di pertinenza del Castello in stabilizzato Levostab 99, dovrebbe avvenire in 90 giorni lavorativi dalla ripresa degli stessi.
Dunque, con la Determina n.405/2011, Settore 6, avente come oggetto il RESTAURO CONSERVATIVO E VALORIZZAZIONE DEL CASTELLO DI BIVONA IN VIBO VALENTIA. APPROVAZIONE RELAZIONE RIEPILOGO GENERALE SULLO STATO DEI LAVORI, CRONOPROGRAMMA E PROSPETTO SPESE SOSTENUTE E DA SOSTENERE. RICHIESTA PROROGA CONCESSIONE. [leggi Determina per intero dall'Albo Pretorio Online del Comune di Vibo Valentia] si richiede alla Regione di accettare richiesta di proroga ultimazione dei lavori al FEBBRAIO 2012. Considerato che la II^ perizia di Variante è stata approvata a fine luglio 2011 ... beh, nel prossimo inverno, avremo forse la fortuna di vedere fruibili i resti della nostra storia. In fondo per la Tonnara o per il Castello ... è solo questione di attendere, come sempre, altre nuove stagioni.
Dopo anni di abbandono, finalmente la popolazione vedrà rivivere un pezzo di storia. Sabato 13 agosto 2011, alle ore 19.00, verrà aperta parzialmente la Tonnara di Bivona con una cerimonia dal forte valore simbolico: la riapertura al culto della Cappella della Tonnara. La cerimonia inoltre proseguirà anche con l’apertura della postazione permanente della polizia locale (non nella cappella, ma nei locali adiacenti)!
Ovviamente saranno presenti il Sindaco Nicola D’Agostino, unitamente alla giunta e al Consiglio Comunale, al Comandante dei vigili urbani, Filippo Nesci, alle massime cariche istituzionali, che condivideranno il simbolico momento con l’intera popolazione.
Ovviamente l'apertura al culto della cappella non potrà che essere un'ulteriore occasione per pregare Dio, affinchè illumini di grazia, passione e concretezza i nostri amministratori. Preghiamo!
Probabilmente qualcuno intende rinviare l'avvio della definitiva ultimazione dei lavori della Tonnara di Bivona e la sua destinazione "pubblica" alimentando le voci che nulla è stato ancora deciso, che i soldi non ci sono e non ci saranno mai e che dunque è bene che l'edificio monumentale venga dato in gestione a degli imprenditori, pena il suo definitivo abbandono e depreziamento. Per sgombrare ogni ulteriore dubbio e spazzare via ogni altro interesse privato sul prezioso bene pubblico pubblichiamo integralmente la lettera inviata dall'Assessore Regionale Gentile, con il quale si informa il Sindaco dell'avvenuto ripristino del finanziamento. Ora è il caso di non disperdere queste risorse e di lavorare seriamente affinchè la Tonnara divenga un'occasione di crescita della nostra comunità!
IL COMUNE RICEVE 135,000,00 EURO PER L'INTERVENTO “MUSEO DEL MARE E TONNARE- LOC. BIVONA”
Con grande soddisfazione il Sindaco Nicola D'Agostino comunica che, nonostante la rimodulazione del Programma del Dipartimento Infrastrutture e Lavori Pubblici , causato dai tagli effettuati in sede di approvazione del Bilancio, la Regione Calabria ha concesso, al Comune di Vibo Valentia, un finanziamento pari a euro 135,000,00, di cui lo stesso potrà usufruire per l'intervento “Museo del Mare e Tonnare- Loc. Bivona”.Il Sindaco nel comunicare l'importante notizia intende ringraziare il Presidente Scopelliti e l'Onorevole Pino Gentile per "il personale impegno che ha permesso, nonostante le difficoltà legate alla riduzione dei fondi ed ai conseguenti tagli effettuati in sede di approvazione bilancio, di garantire il compimento di un'importante Opera Pubblica nella città di Vibo Valentia". Questo è il comunicato.
Noi ne approfittiamo per ringraziare quanti, cittadini e amministratori, sostengono la valorizzazione concreta della Tonnara di Bivona. Avere i soldi, specialmente per opere da realizzare lungo la costa, non è mai coinciso con nulla, anzi ... sono troppi i lavori fermi, bloccati o mai realizzati. Questi dovranno servire a completare la pavimentazione della Loggia e a dare il via all'allestimento museale. La Tonnara potrebbe rappresentare la tanto augurata inversione di tendenza? Noi ce l'auguriamo e continuiamo a crederci, proprio perchè ci è capitato di incontrare disponibilità inattese ... dunque rinnoviamo la nostra disponibilità che - come sempre - non manca di produrre risultati positivi. Questo incluso!
1100. PASQUALE II a Ruggero, abate del monastero di S. Angelo a Mileto. Confermazione apostolica tutela.
1135. RUGGERO II. Permuta con l'abate David, del monastero della Trinità di Mileto, alcuni beni per comodità del monastero stesso.
1139. INNOCENZO II a David, abate del monastero di Mileto che sta a Monte Verde,
1139 con cui concede a LEONE, notaio del monastero di S. NICODEMO dei fondi rustici appartenenti al monastero di S. FANTINO, in territorio di Tauriana. ( pp. 96-97 ) ( + ved. SALETTA: Vita inedita...)
1150. EUGENIO III a Roberto, abate del monastero della SS. Trinità di Mileto e di S. Michele Arcangelo.
1166. BERNARDO, cardinale vescovo Portuensis e legato apostolico di S. Rufina con l'assistenza di Manfredo, cardinale custode di S. Giorgio presso il Velo d'Oro, a Mauro abate della S. Trinità di Mileto.
1170. ALESSANDRO III a Martino abate del monastero della SS. Trinità e di S. Michele Arcangelo a Mileto. Confermazione apostolica tutela.
[1171 o 1181] . ALESSANDRO III a Imberto, abate del monastero di Mileto. Confermazione apostolica tutela al monastero di Mileto e notifica di approvazione della transazione avvenuta tra il detto abate e Anselmo, vescovo di Mileto in merito a questioni di reciproco interesse per abbazia e sede episcopale.
1177. MAST. TRIBUNALE ABBAZIALE. Giudicato a favore di Lamberto figlio di Giorgio Fettisti
1178. ALESSANDRO III a Imberto abate del monastero di Mileto. Approvazione della Sede apostolica sulla pacificazione stipulata con Anselmo vescovo di Mileto.
1179. ALESSANDRO III a Imberto, abate del monastero della SS. ma Trinità e di S. Michele Arcangelo a Mileto. Confermazione apostolica tutela.
Oggi la sede della Pro Loco di Vibo Marina è stata trasformata in una vera e propria "macchina del tempo"!
In pochi istanti la piccola stanza si è trasformata in uno studio di registrazione, nel quale tutti eravamo incantati dalle storie e dai racconti dei Canduci, antichi e dolci uomini di tonnara.
Nunzio, Salvatore e Nunzio Gaetano, ripresi ed intervistati dallo staff di "StudioAzzurro", hanno regalato alla memoria storica della città parte del loro vissuto, trascorso tra gli antichi barconi impeciati della tonnara e le emozioni del mare.
Le registrazioni rientrano nel progetto "Valentia Sensibile", all'interno delle attività di Sensi Contemporanei, programma per la promozione e diffusione dell’arte contemporanea e valorizzazione di contesti architettonici e urbanistici, ideato dal Ministero dello Sviluppo Economico, Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione economica (DPS), dal Ministero per i Beni e le Attività , Direzione Generale per i Paesaggio, le Belle Arti, l’Architettura e l’Arte Contemporanea (PaBAAC) e dalle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia.
Il Progetto "Valentia Sensibile" è stato elaborato da Studio Azzurro Srl e promosso dal Comune di Vibo Valentia, con l’obiettivo di valorizzare e promuovere il patrimonio ambientale e culturale del territorio vibonese, attraverso il linguaggio espressivo dell’arte contemporanea e l’elaborazione di una mappa culturale del territorio, che restituisca la trama dei suoi segni identitari, attraverso una video ambientazione che, connettendo scienza, tecnologia e arte, racconti e valorizzi le ricchezze terL'arte da toccare, vivere, in simbiosi, per immergersi nell'atto artistico e attraversarlo con il proprio sentire. Attore e protagonista, con il territorio e nel territorio. I Canduci saranno tra i diversi protagonisti di una istallazione polimaterica e multimediale, un'opera artistica permanente studiata proprio per il Museo di Santa Chiara (sic! come era prevedibile verrà attivato molto prima che venga attivato quello della Cività del Mare alla Tonnara di Bivona), che racconterà il nostro territorio anche con la loro memoria.
E' stata una giornata coinvolgente che ci ha donato più di quanto ci aspettavamo e qualunque sarà l'esito del progetto ... abbiamo la certezza di aver recuperato/documentato delle vite e delle storie che non vedranno mai più oblio.
E' stato emozionate ieri sera scoprire il sito della Association for Cultural Equity (culturalequity.org ), nel quale è online gran parte dell'archivio fotografico dell'etnomusicologo americano Alan Lomax. E' una emozione che vogliamo condividere con voi, pubblicando alcuni fotogrammi scattati il 3 agosto del 1954 nel porto di Vibo Marina, legati all'attività dei tonnaroti. Brevemente ricordiamo che a bordo di un pulmino nel 1954-55 Alan Lomax realizza un viaggio in Italia assieme a Diego Carpitella, per effettuare le registrazioni, da utilizzare con la BBC e la Columbia, dei suoni e dei canti popolari. Un viaggio avventuroso che lo porterà a trascorrere qualche giorno tra i tonnaroti prima a mare, a bordo dei barconi della tonnara ed infine nel porto. I canti qui registrati sono ormai entrati nella storia delle tradizioni popolari, ma le foto (bellissime ed uniche) di quell'inedita intesa tra l'americano ed i tonnaroti ... erano ancora sconosciute ai più. E' impressionante notare la forte similitudine tra il trasporto delle ancore a riva e le processioni devozionali: ogni ancora è portata a spalla da decine di uomini al pari delle statue di santi e madonne. Da qualche mese sono online le circa 150 foto realizzate in quel giorno e riscoprirle farà certamente comprendere quanto andiamo dicendo da anni: riscoprire la cultura del mare partendo dall'uomo, valorizzare le nostre tonnare è impossibile senza la ricerca, lo studio e la memoria. Abbiamo perso tante occasioni per valorizzare le nostre ricchezze, altre ancora ne perderemo ... e mentre noi arranchiamo dinanzi all'abbandono, allo sfacelo ed a tristi prospettive. Altrove celebrano la nostra storia ... mentre da noi la rimuoviamo. Oggi però ci rianimano le emozioni che il web inaspettatamente ci offre! Cercheremo in questi giorni di contattare la Fondazione e di comprendere come realizzare qualcosa assieme per valorizzare quell'incontro tra l'americano ed i fishermen del nostro porto. Nessuno tra i vecchi tonnaroti ricorda il suo nome, ma basta accennargli de "l'americano" ed i loro ricordi riprendono vita. Così come quell'agosto del '54 è ancora vivo tra gli appunti del Lomax impressionato per la possente figura del Boss della Tonnara, ripreso al fresco dell'ingresso di un bar (il mitico bar pasticceria Comi!), e chiamato "Pescecane" dalla ciurma dei suoi tonnaroti ... che non vedevano una lira dall'inizio della stagione!
"Un complesso architettonico di grande interesse storico quello della Tonnara di Bivona, condannato, però, a breve esistenza, visto lo stato di incuria ed abbandono in cui, da svariati anni, si trova. Difficile credere, infatti, osservando le barche poste in una zona recintata adiacente la piazzetta di Bivona, (alcuni esemplari delle quali sono ormai dal legno marcio o, peggio, ridotti a carcasse), che si tratti proprio degli ultimi testimoni del periodo in cui la frazione costituiva un polo industriale dalla flotta all'avanguardia e competitiva. Un degrado tanto più grave se si pensa che a questo complesso, vista la distruzione delle altre tonnare del vibonese, è ormai affidata la memoria storica di questo particolare tipo di attività, un tempo punto cardine e fonte di sviluppo. Uno sviluppo che, oggi, potrebbe essere intravisto recuperando il tutto facendone, finalmente, una risorsa turistica per tutto il territorio.
A dirlo è stato Nunzio Gaetano Canduci, la cui vita, in quanto figlio dell'ultimo Rais, è stata vissuta a stretto contatto con le alterne vicende della Tonnara in questione. Il padre ha infatti, come i suoi predecessori, svolto un ruolo essenziale per il funzionamento di ogni attività legata alla pesca del tonno, oltre a quella, fondamentale, di dirigere e comandare le attività dei pescatori. «Spesso mi privo di tornare in quei posti per non vedere un degrado che mi provoca una stretta al cuore, visto che la mia famiglia ha vissuto e lavorato nello stabile per mezzo secolo», ha infatti esordito Canduci.
Lo stabile in questione, di proprietà statale e attualmente in uso all'amministrazione comunale, è infatti composto dalla palazzina gentilizia in cui risiedeva il Rais con la sua famiglia, dall'ampia loggia in cui oggi trovano riparo le barche della mattanza più "fortunate" (a differenza di quelle che, fuori, sono costantemente esposte alle intemperie climatiche), e dalla piccola cappella patronale, oggi chiusa alle visite ma che, riferisce sempre Canduci, «versa in uno stato di degrado avanzato». Il tutto rappresenta, o meglio dovrebbe rappresentare, un fulgido esempio di archeologia industriale ancora esistente, legato alla pesca in Calabria. «Gli ultimi interventi, soprattutto di pavimentazione e manutenzione generale, risalgono a poco dopo l'alluvione: dopo la pulitura dal fango delle barche e dell'interno delle struttura e le riparazioni destinate alla cappella, infatti, non è stato fatto nulla, per quanto molte siano state le promesse fatte riguardo a possibili riparazioni destinate alla tettoia e alla salvaguardia delle barche, autentici reperti con più di un secolo di storia, per mezzo dell'intervento di maestri d'ascia. Le problematiche – ha riferito sempre Canduci – sono arrivate in consiglio comunale durante il periodo dell'amministrazione Sammarco, ma il fatto che non vi sia stata trovata soluzione, lo si può vedere con i propri occhi». Ancora, lo stabile è «continuamente interessato da atti di vandalismo, e molto ormai non si può recuperare». Un buon motivo per continuare a lasciare la Tonnara nell'incuria più totale? «No», ha riferito ancora Nunzio Canduci, infatti «alcune barche, al loro interno, sono quasi integre, e per tutelarle molto di più di quanto si faccia adesso, sarebbe sufficiente spostarle nella loggia, dove è già posta qualche barca. Le sollecitazioni, a questo proposito, risalgono al periodo precedente all'amministrazione Sammarco, e anche queste sono rimaste del tutto inascoltate". Altrettanto oggetto di incuria, il piccolo parco destinato ai bambini che si trova proprio a ridosso della zona recintata esterna che contiene «autentici pezzi di storia come il rimorchiatore "Caterina", " 'u Scieri" e la "Musciara", cioè una barca di servizio». Per la manutenzione dell'intera zona, l'intervento dei volontari, ha proseguito Canduci «ha fatto tanto, visto che gli stessi si sono impegnati a renderla maggiormente vivibile, tagliando l'erba e, grazie all'aggiunta di giochi, facendone un'area per bambini», che però non viene assolutamente considerata, vista la presenza di piccoli rifiuti sparsi un po' ovunque. Insomma, un degrado generalizzato che colpisce un'insieme di strutture il cui recupero «incentiverebbe molto gli aspetti turistici, visto che in tutta Bivona non c'è nient'altro che abbia un tale interesse storico. La sua trasformazione in museo, cosa avviata con l'inserimento dell'illuminazione all'interno della loggia e mai completata, costituirebbe infatti, assieme al recupero dell'intero complesso, un buon punto di partenza per riconsiderare positivamente il tutto, facendone uno strumento concreto di crescita per Bivona e non solo». L'appello, dunque, di Nunzio Canduci rivolto all'attuale amministrazione comunale, vuole essere «uno stimolo affinchè gli interventi riprendano al più presto, di modo che un bene così importante non scompaia. Soprattutto la cappella, cui sono state sottratte le statue dei santi in essa contenute, è completamente dimenticata e necessiterebbe di interventi urgenti visto lo stato di degrado avanzato. E pensare che per molto tempo è stata simbolo di questa comunità e sede di importanti funzioni religiose che creavano affluenza da ogni parte del Vibonese. In questi luoghi ho trascorso la mia gioventù e non voglio assistere alla loro scomparsa», è stato il commento conclusivo di Nunzio Canduci." Ci è piaciuto molto l'articolo pubblicato l'altro giorno sul Quotidiano della Calabria a firma di Zaira Bartucca, ne condividiamo in tutto il modo ed il senso. Lo consideriamo dunque a buon titolo un bel contributo per il recupero della Tonnara di Bivona! Grazie Zaira e Grazie Nunzio! (brano estratto integralmente dal blog dell'autrice [http://calabro9.ilcannocchiale.it/] A noi non resta che aggiungere, dinanzi al permanere di tanto degrado, una nota positiva. Era il 1991 quando crollò il solaio della cappella della Tonnara, mettendo in evidenza il rischio per l'intera struttura: Dopo quasi 20 anni dal Decreto Ministeriale di Vincolo, del 6.12.1991, ai sensi della L. 1089/1939, nei quali tanti sono stati gli studi, articoli di stampa, iniziative, incontri, scontri e ricerca di fondi per il suo recupero, restauro e valorizzazione ... il futuro Museo della Civiltà del mare è stato inserito dall’Assessore Regionale alla Cultura Mario Caligiuri nel Censimento dei Musei dalla Regione Calabria. La presenza nel documento regionale della Tonnara e del suo uso museale (vedi pag. 19) è in qualche modo una importante garanzia per il suo definitivo recupero e dunque del suo inserimento nella Rete Museale della Regione! La Regione continua a sostenere il recupero della Tonnara, ma quello che finora è mancato è esclusivamente l'impegno locale. Sta a noi invertire questo dato, unire le forze, le idee e l'impegno affinchè quello che sembra oggi un traguardo ancora lontano diventi nel più breve tempo un traguardo raggiunto! [scarica intero documento in pdf]
Tentavi alle bende sottrarti dell'Ade rinata all'assenza di luce che ormai tutto fasciava di te. Ma ...
per ogni giro ti si imponeva ricordo.
Ma...
pur non potendo, volevi.
Tentare.
Poi...
fiamma di un Fu ad ogni benda cadeva.
Consunta.
Poi...
spes nel braccio di lui che va in un su.
Ma mano di Hermes è solo in un Giù.
Poi...
di te crisalide rimase è vero l'anelito.
Del moto pur timido, certo, la ciocca. Immota questa nel nero del gelo.
Rimase un velo sospeso...
Eco tuo passo ormai solo Assenza.
Volere Movenza interrotti.
Oh!
Fu solo un soffio di vento avvisa tu ferma appena su soglia
ad oggi da Ade ripresa.
κατάβασις
Auguste Rodin, Camille Claudel, 1884, gesso (22,8 x 17 x 16 cm), Paris, Musée Rodin. (1)
Rilke
E u r i y d i k e
Era l’ardua miniera delle anime. Correvano nel buio come vene
d’argento, silenziose. Tra radici sgorgava il sangue che poi sale ai vivi nella tenebra duro come porfido. Poi null’altro era rosso.
V’erano rocce e boschi informi. Ponti sopra il vuoto e quell’immenso, grigio, cieco stagno che premeva sul fondo come un cielo di pioggia sui paesaggi della terra. Fra i prati tenue e piena di promesse correva come un lungo segno bianco l’incerta traccia della sola strada.
E quell’unica strada era la loro.
Avanti l’uomo nel mantello azzurro agile, con lo sguardo volto innanzi muto e impaziente. Il passo divorava la strada a grandi morsi. Gravi, rigide cadevano le mani dalla veste e ignoravano ormai la lieve lira cresciuta alla sinistra come un cespo di rose in mezzo ai rami dell’ulivo. E i suoi sensi rompevano discordi: lo sguardo andava innanzi, si aggirava come un cane, era accanto e poi di nuovo lontano, fermo sulla prima curva - l’udito indietro come resta un’ombra.
Talvolta egli credeva di tornare ai due che indietro sulla stessa via dovevano seguirlo. Poi di nuovo alle spalle restava appena l’eco / [p. 33] dei suoi passi e il mantello alto nel vento. Ma diceva a se stesso: Essi verranno -, ad alta voce, e si sentiva spegnere. E tuttavìa venivano ma due dal lentissimo passo. Se egli avesse potuto volgersi un istante (e volgersi era annullare tutta quell’impresa che si compiva ormai) li avrebbe visti, i due che taciturni lo seguivano.
Il dio dei viaggi e del lontano annunzio Che innanzi a sé reggeva la sottile verga, e aveva sugli occhi il breve casco e alle caviglie un palpitare d’ali; e affidata alla sua sinistra: lei. Lei cosi’ amata che piu’ pianto trasse da una lira che mai da donne in lutto; così che un mondo fu lamento in cui tutto ancora appariva: bosco e valle, villaggio e strada, campo e fiume e belva; e sul mondo di pianto ardeva un sole come sopra la terra, e si volgeva coi suoi pianeti un silenzoso cielo, un cielo in pianto di deformi stelle - : lei così amata.
Ma ora seguiva il gesto di quel dio, turbato il passo dalle bende funebri, malcerta, mite nella sua pazienza. Era in se stessa come un alto augurio e non pensava all’uomo che era innanzi, non al cammino che saliva ai vivi. Era in se stessa, e il suo dono di morte le dava una pienezza. Come un frutto di dolce oscurità
ella era piena della grande morte e così nuova da non piu’ comprendere.
Era entrata a una nuova adolescenza e intoccabile: il suo sesso era chiuso // [p. 35] come i fiori di sera, le sue mani così schive dal gesto delle nozze che anche il contatto stranamente tenue della mano del dio, sua lieve guida, la turbava per troppa intimità.
Ormai non era più la donna bionda che altre volte nei canti del poeta era apparsa, non più profumo e isola dell’ampio letto e proprietà dell’uomo. Ora era sciolta come un’alta chioma, diffusa come pioggia sulla terra, divisa come un’ultima ricchezza. Era radice ormai. E quando a un tratto il dio la trattenne e con voce di dolore pronuncio’ le parole: si è voltato - , lei non comprese e disse piano: Chi?
Ma avanti, scuro sulla chiara porta, stava qualcuno il cui viso non era da distinguere. Immobile guardava come sull’orma di un sentiero erboso il dio delle ambasciate mestamente si volgesse in silenzio per seguire lei che tornava sulla stessa via, turbato il passo dalle bende funebri, malcerta, mite nella sua pazienza. //
Rainer Maria Rilke
(Praga, 4 dicembre 1875 – Montreux, 29 dicembre 1926)
Orpheus. Eurydike. Hermes
(In Rilke, Aus den Neven Gedichten, 1907 - Dalle Nuove Poesie, 1907).
(Traduzione di Giaime Pintor con testo tedesco a fronte) (2)
Rilke:
"I 55 Sonetti a Orfeo
composti nella solitudine di Muzot
come iscrizione funebre per un'amica
celebrano la figura di Orfeo.
Solo chi ha varcato il confine dell'Erebo
e
si è attardato con i morti nei loro freddi colloqui
può tentare il canto.
Solo chi ha vinto il torbido corso dell'esperienza terrestre
può
tracciare le difficili figure che serbano un valore intatto,
non
perdersi nelle brevi angoscie dell'uomo.
Un atto,
insomma,
di profonda rinuncia ai valori dell'esperienza terrena
come
scuola per il compito tragico della poesia.
(...)
Un albero forse ci resta lungo il pendìo
da rivedere ogni giorno.
Ci resta la strada di ieri." (3)
Rainer Maria Rilke Orpheus. Eurydike. Hermes
(Aus den Neven Gedichten, 1907).
Das war der Seelen wunderliches Bergwerk. Wie stille Silbererze gingen sie als Adern durch sein Dunkel. Zwischen Wurzeln entsprang das Blut, das fortgeht zu den Menschen, und schwer wie Porphyr sah es aus im Dunkel. Sonst war nichts Rotes.
Felsen waren da und wesenlose Wälder. Brücken über Leeres und jener große graue blinde Teich, der über seinem fernen Grunde hing wie Regenhimmel über einer Landschaft. Und zwischen Wiesen, sanft und voller Langmut, erschien des einen Weges blasser Streifen, wie eine lange Bleiche hingelegt.
Und dieses einen Weges kamen sie.
Voran der schlanke Mann im blauen Mantel, der stumm und ungeduldig vor sich aussah. Ohne zu kauen fraß sein Schritt den Weg in großen Bissen; seine Hände hingen schwer und verschlossen aus dem Fall der Falten und wußten nicht mehr von der leichten Leier, die in die Linke eingewachsen war wie Rosenranken in den Ast des Ölbaums. Und seine Sinne waren wie entzweit: indes der Blick ihm wie ein Hund vorauslief, umkehrte, kam und immer wieder weit und wartend an der nächsten Wendung stand, - blieb sein Gehör wie ein Geruch zurück. Manchmal erschien es ihm als reichte es bis an das Gehen jener beiden andern, die folgen sollten diesen ganzen Aufstieg. Dann wieder wars nur seines Steigens Nachklang /
[p. 32] und seines Mantels Wind was hinter ihm war. Er aber sagte sich, sie kämen doch; sagte es laut und hörte sich verhallen. Sie kämen doch, nur wärens zwei die furchtbar leise gingen. Dürfte er sich einmal wenden (wäre das Zurückschaun nicht die Zersetzung dieses ganzen Werkes, das erst vollbracht wird), müßte er sie sehen, die beiden Leisen, die ihm schweigend nachgehn:
Den Gott des Ganges und der weiten Botschaft, die Reisehaube über hellen Augen, den schlanken Stab hertragend vor dem Leibe und flügelschlagend an den Fußgelenken; und seiner linken Hand gegeben: sie.
Die So-geliebte, daß aus einer Leier mehr Klage kam als je aus Klagefrauen; daß eine Welt aus Klage ward, in der alles noch einmal da war: Wald und Tal und Weg und Ortschaft, Feld und Fluß und Tier; und daß um diese Klage-Welt, ganz so wie um die andre Erde, eine Sonne und ein gestirnter stiller Himmel ging, ein Klage-Himmel mit entstellten Sternen - : Diese So-geliebte.
Sie aber ging an jenes Gottes Hand, den Schrittbeschränkt von langen Leichenbändern, unsicher, sanft und ohne Ungeduld. Sie war in sich, wie Eine hoher Hoffnung, und dachte nicht des Mannes, der voranging, und nicht des Weges, der ins Leben aufstieg. Sie war in sich. Und ihr Gestorbensein erfüllte sie wie Fülle. Wie eine Frucht von Süßigkeit und Dunkel, so war sie voll von ihrem großen Tode, der also neu war, daß sie nichts begriff.
Sie war in einem neuen Mädchentum und unberührbar; ihr Geschlecht war zu /
[p. 34] wie eine junge Blume gegen Abend, und ihre Hände waren der Vermählung so sehr entwöhnt, daß selbst des leichten Gottes unendlich leise, leitende Berührung sie kränkte wie zu sehr Vertraulichkeit.
Sie war schon nicht mehr diese blonde Frau, die in des Dichters Liedern manchmal anklang, nicht mehr des breiten Bettes Duft und Eiland und jenes Mannes Eigentum nicht mehr.
Sie war schon aufgelöst wie langes Haar und hingegeben wie gefallner Regen und ausgeteilt wie hundertfacher Vorrat.
Sie war schon Wurzel.
Und als plötzlich jäh der Gott sie anhielt und mit Schmerz im Ausruf die Worte sprach: Er hat sich umgewendet -, begriff sie nichts und sagte leise: Wer?
Fern aber, dunkel vor dem klaren Ausgang, stand irgend jemand, dessen Angesicht nicht zu erkennen war. Er stand und sah, wie auf dem Streifen eines Wiesenpfades mit trauervollem Blick der Gott der Botschaft sich schweigend wandte, der Gestalt zu folgen, die schon zurückging dieses selben Weges, den Schritt beschränkt von langen Leichenbändern, unsicher, sanft und ohne Ungeduld. //
Rainer Maria Rilke
Orpheus. Eurydike. Hermes
[1907]
(Traduzione di Giaime Pintor con testo tedesco a fronte) (4)
Auguste Rodin, La Porta dell'Inferno, 1880 - 1917, bronzo, 635 x 400 x 85 cm., Paris, Musée Rodin.
(Euridice col capo di Orfeo - Particolare testa di Orfeo) (2)
Orphée [Orfeo]
Nella mitologia greca, il genio poetico e musicale di Orfeo era tale da ammansire perfino le belve feroci.
Il giovane ebbe però la sfortuna di conquistare anche le Menadi che, dopo la morte di Euridice lo punirono tagliandolo a pezzi perché egli non aveva ceduto alle loro profferte.
Gustave Moreau prolunga il mito restituendoci l'immagine di una giovinetta adorna di monili orientali con in mano la testa del poeta.
Questa vergine saggia vuole forse far dimenticare la dissennatezza delle baccanti?
(...)
All'orrore del supplizio evocato, segue questa scena serena, che sfugge misteriosamente alla morbosità, immersa in una luce crepuscolare, su uno sfondo di paesaggi fantastici e leonardeschi.
(...)
In Orfeo, si presagisce l'emergere di un universo semifantastico dalle inquietanti atmosfere, carico di oscuri incantesimi. (6)
Auguste Rodin, Orfeo ed Euridice, 1893, marmo, 127 x 76 x 71 cm., New York, The Metropolitan Museum of Art.
(1) Le ill. delle opere di Rodin sono tratte da: Flavio Fergonzi (a cura di), Auguste Rodin, 2005, Roma, Gruppo Editoriale L'Espresso.
(2 - 4) Rainer Maria Rilke, Orpheus. Eurydike. Hermes (In Aus den Neven Gedichten, 1907 - Dalle Nuove Poesie, 1907), in: R. M. Rilke, Poesie (a cura di Giaime Pintor), 1955, Torino, Einaudi, pp. 30 - 35 con testo tedesco a fronte. - Seguono, infra, Aus den Sonetten an Orpheus - Dai Sonetti a Orfeo, pp. 37 - 61.
(Immesso da: LindoroRossini, 10 gennaio 2009 - si ringrazia)
Though originally set to an Italian libretto, "Orfeo ed Euridice", Gluck's first step in his reform of the operatic form, owes much to the genre of French opera, particularly in its' extensive use of accompanied recitative and a general absence of vocal virtuosity. In fact, it is generally supposed that Gluck frankly took Rameau's "Castor et Pollux" as his model when he sat down to compose "Orfeo": indeed, the plot of the earlier work has much in common with that of "Orfeo". Therefore, it seems quite fitting that twelve years after the 1762 premiere of the original work, in 1774, Gluck presented his work to the Parisian public, readapting it, in the process. This reworking was given the title "Orphee et Eurydice" which is the version of this ever well-known piece that I want to present in this series of uploads. The changes, though seemingly insignificant, are actually essential to the work's inner equilibrium. First off, the libretto is given a French translation which does shift some of the accents. Next, and more importantly, the work is greatly expanded, including the addition of a bravura, coloratura-filled aria for Orfeo at the close of Act 1, a more elaborate dance of the blessed spirits and an aria for Eurydice during the Elysium scene; the transformation of the B section of Eurydice's second aria into an intense duettino for the lovers; a penultimate terzet for all three characters and a large ballet for the end of the opera; thus, the work's original omissions are amended with the structure of the piece becoming more logical in the process.Thirdly, the orchestration is changed somewhat: for example, originally each verse of the strophic "Chiamo il mio ben cosi" is accompanied by different solo instruments - flute, horns and English horns - but in 1774 Gluck was required to change this orchestration to that of a single horn and two clarinets. Finally, and even more importantly, the transformation of the originally castrato-voiced Orfeo into the high tenor Orphee, including a more passionate reading than the original. As if that wasn't enough, the present recording, rather controversially, sets the pitch at A=403, a full tone below current pitch, which leads to a further transformation of the work which is especially evident in the baritonal lower notes that the tenor has to approach. All in all, a much different version from the original, and this is where its' interest lies. There are only three versions of this particular version, one - under Hans Rosbaud with Leopold Simoneau in the title role; a more recent one - the Naxos release with Jean-Paul Fouchecourt; and the one that I am going to use in this case (as it is my only recording of the tenor version of "Orfeo") - Minkowski's 2004 live recording of the work with the following cast: Richard Croft - Orphee, Mireille Delunsch - Eurydice, Marion Harousseau - L'Amour, Claire Delgado-Boge - Une ombre heureuse. As per usual, I had to cut some of the music to keep each upload (all in all, ten full postings) under elevenminutes, though I tried to keep these cuts to a minimum: the repeat of the opening chorus and (though I could upload it separately) the ballet sequence which brings the opera its' closure; all the rest of the music is retained. Finally, here is a link to the complete libretto: http://opera.stanford.edu/iu/libretti... Hope you'll enjoy :). No. 1. Sinfonia. Berlioz, when creating his own version of the score, went so far as to describe the overture to "Orfeo" as "an unbelievable trifle" ("une niaiserie incroyable") and, truth be told, it seems ironic that the firstborn of Gluck's reform begins with a piece which, though by turns lively, exciting and life-affirming, does not really go that well with the work as a whole. There are, though, more somber sections that come as a hint to the tragedy that is about to unfold but they quickly give way to the strings' unfailingly thunderous melody. No. 2. Chorus, Dance & Ritournelle - "Ah! dans ce bois tranquille et sombre". The opening scene shows the tomb of Eurydice erected in a grassy valley - a justly famous coup-de-theatre - though this choice comes at the expense of a rather small part for Eurydice and the love of the pair underrepresented from the beginning (even Monteverdi's "Orfeo", where there is, arguably, an even larger part for Orfeo and an even smaller part for Eurydice, gives us an opportunity to see the lovers' symbolic wedding)). Orpheus stands beside it plunged in the deepest grief, while atroop of shepherds and maidens bring flowers to adorn it. The singer's despairing cry of "Eurydice" breaks passionately upon their mournful chorus, and the whole scene, though drawn in simple lines, is instinct with genuine pathos. After a pantomime of Eurydice's death, the chorus slowly leaves over the same melody which is placed strategically to close the scene and to set up Orpheus' first great lament.
(Immesso da: Lindoro Rossini, il 10 gennaio 2009 - si ringrazia)
Though originally set to an Italian libretto, "Orfeo ed Euridice", Gluck's first step in his reform of the operatic form, owes much to the genre of French opera, particularly in its' extensive use of accompanied recitative and a general absence of vocal virtuosity. In fact, it is generally supposed that Gluck frankly took Rameau's "Castor et Pollux" as his model when he sat down to compose "Orfeo": indeed, the plot of the earlier work, in particular, the rescue of Pollux by Castor from the infernal regions, has much in common with that of "Orfeo", so it is possible that Gluck took many hints from Rameau's musical treatment of the various scenes which the two works have in common. Therefore, it seems quite fitting that twelve years after the 1762 premiere of the original work, in 1774, Gluck presented his work to the Parisian public, readapting it, in the process, to suit the tastes of the audience at the Academie Royale de Musique. This reworking was given the title "Orphee et Eurydice" which is the version of this ever well-known piece that I want to present in this series of uploads. The recording presented here is Minkowski's 2004 live recording of the work with the following cast: Richard Croft - Orphee, Mireille Delunsch - Eurydice, Marion Harousseau - L'Amour, Claire Delgado-Boge - Une ombre heureuse. Finally, here is a link to the complete libretto: http://opera.stanford.edu/iu/libretti... Hope you'll enjoy :). No. 3. Scena - "Objet de mon amour". In an interesting touch by the composer, both of Orpheus' important laments are set in the form of rondo, though it is the first of these which represents Gluck's musical invention at its'height, as instead of a continuous musical piece (as in the case of the second lament) the composer utilizes a series of ariosos linked by expressive recitative, strikingly close in approach to arioso (that's one of the reasons why I used the word "scena" to describe the piece), to present the poor man's troubled mind. The highlight here, for me, is the passionate second recitative, featuring a most inspired quiet appeal to the gods (starting at 4:22) accompanied by hushed, flowing string lines. Another point of interest is the rather unusual fact that both of Orpheus' plaints are based on and presented in harmonies not exactly mournful in nature (especially apparent in the final air) but utilized to great effect by Gluck to suggest the introverted, personal torment of the hero. No. 4. Aria - "Si les doux accords de ta lyre" (first appeared in the 1774 version). Amour's music is perhaps less dramatic that either of the lovers' but it provides much needed lightness and humor to the work. Strikingly, Gluck allows Amour's first aria to be repeated after a shocked "I will see her again" from Orpheus but this sounds completely logical, as if the messenger of the gods is assuring the hero of the gods' blessing.
And again, hope you'll enjoy :).
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3.
Christoph Willibald Gluck - Orphee et Eurydice
(1774 tenor version in French)
No_ 3_ The Resolve of Orpheus (Richard Croft, Mireille Delunsch, Marion Harousseau & Claire Delgado-Boge; Marc Minkowski) - YouTube
(Immesso da: Lindoro Rossini, il 10 gennaio 2009 - si ringrazia)
Though originally set to an Italian libretto, "Orfeo ed Euridice", Gluck's first step in his reform of the operatic form, owes much to the genre of French opera, particularly in its' extensive use of accompanied recitative and a general absence of vocal virtuosity. In fact, it is generally supposed that Gluck frankly took Rameau's "Castor et Pollux" as his model when he sat down to compose "Orfeo": indeed, the plot of the earlier work, in particular, the rescue of Pollux by Castor from the infernal regions, has much in common with that of "Orfeo", so it is possible that Gluck took many hints from Rameau's musical treatment of the various scenes which the two works have in common. Therefore, it seems quite fitting that twelve years after the 1762 premiere of the original work, in 1774, Gluck presented his work to the Parisian public, readapting it, in the process, to suit the tastes of the audience at the Academie Royale de Musique. This reworking was given the title "Orphee et Eurydice" which is the version of this ever well-known piece that I want to present in this series of uploads. The recording presented here is Minkowski's 2004 live recording of the work with the following cast: Richard Croft - Orphee, Mireille Delunsch - Eurydice, Marion Harousseau - L'Amour, Claire Delgado-Boge - Une ombre heureuse. Finally, here is a link to the complete libretto: http://opera.stanford.edu/iu/libretti... Hope you'll enjoy :). No. 5. Aria - "Soumis au silence". Anotheraria of reassurance for Amour, reminding one immediately of a form that would achieve great popularity in the nineteenth century: the couplets (it's actually a surprise to see it so early on, albeit in shortened form). No. 6. Arietta - "L'espoir renait dans mon ame". Originally composed for an occasional entertainment, "Il Parnaso confuso" (1765) and subsequently re-used in another one, "Le feste d'Apollo" (1769), the aria is actually surprisingly unbaroque, basically following an elaborate structure of ABAB, almost a da capo aria without the central andante section but still closer to the idiom than Gluck might have wanted. Still, even this aria, a typical coloratura showpiece, is delightful and dramatically viable, placed exactly at the moment when Orpheus begins to rekindle his hope of seeing his beloved once more.
(Immesso da: Lindoro Rossini, il 10 gennaio 2009 - si ringrazia)
Though originally set to an Italian libretto, "Orfeo ed Euridice", Gluck's first step in his reform of the operatic form, owes much to the genre of French opera, particularly in its' extensive use of accompanied recitative and a general absence of vocal virtuosity. In fact, it is generally supposed that Gluck frankly took Rameau's "Castor et Pollux" as his model when he sat down to compose "Orfeo": indeed, the plot of the earlier work, in particular, the rescue of Pollux by Castor from the infernal regions, has much in common with that of "Orfeo", so it is possible that Gluck took many hints from Rameau's musical treatment of the various scenes which the two works have in common. Therefore, it seems quite fitting that twelve years after the 1762 premiere of the original work, in 1774, Gluck presented his work to the Parisian public, readapting it, in the process, to suit the tastes of the audience at the Academie Royale de Musique. This reworking was given the title "Orphee et Eurydice" which is the version of this ever well-known piece that I want to present in this series of uploads. The recording presented here is Minkowski's 2004 live recording of the work with the following cast: Richard Croft - Orphee, Mireille Delunsch - Eurydice, Marion Harousseau - L'Amour, Claire Delgado-Boge - Une ombre heureuse.
No. 7. Scena - "Quel est l'audacieux". The scene between the chorus of Furies and Orpheus is easily the most successful and effective, the barking of Cerberus which sounds through it is another wonderful touch which, though its' naivete may provoke a smile. Orpheus appears and pleads his cause in accents of touching entreaty. Time after time his pathetic song is broken by a sternly decisive "No" but the Furies slowly become more and more sympathetic to the hero who relates his torment in two breathtaking ariosos (6:35 and 8:15). In the end he triumphs, and the Furies grant him passage in a moving chorus (though still using the same angular string effects and a large amount of the first chorus to remind the listener of the Furies' unholy nature).
(Immesso da: Lindoro Rossini, il 10 gennaio 2009 - si ringrazia)
Though originally set to an Italian libretto, "Orfeo ed Euridice", Gluck's first step in his reform of the operatic form, owes much to the genre of French opera, particularly in its' extensive use of accompanied recitative and a general absence of vocal virtuosity. In fact, it is generally supposed that Gluck frankly took Rameau's "Castor et Pollux" as his model when he sat down to compose "Orfeo": indeed, the plot of the earlier work, in particular, the rescue of Pollux by Castor from the infernal regions, has much in common with that of "Orfeo", so it is possible that Gluck took many hints from Rameau's musical treatment of the various scenes which the two works have in common. Therefore, it seems quite fitting that twelve years after the 1762 premiere of the original work, in 1774, Gluck presented his work to the Parisian public, readapting it, in the process, to suit the tastes of the audience at the Academie Royale de Musique. This reworking was given the title "Orphee et Eurydice" which is the version of this ever well-known piece that I want to present in this series of uploads. The recording presented here is Minkowski's 2004 live recording of the work with the following cast: Richard Croft - Orphee, Mireille Delunsch - Eurydice, Marion Harousseau - L'Amour, Claire Delgado-Boge - Une ombre heureuse.
No. 8. Dance of the Furies. The original version of "Orfeo" featured quite a small amount of actually ballet sequences, and the 1774 rewrite capitalizes on this omission by adding a large amount of additional dance music, including this furious dance of the furies on Orpheus' departure (featuring strong parts for horns and strings) which serves as a perfect contrast to the serenity that follows in the Elysium scene and, specifically, the similarly elaborate Dance of the Blessed Spirits.
(Immesso da: Lindoro Rossini, il 10 gennaio 2009 - si ringrazia)
Though originally set to an Italian libretto, "Orfeo ed Euridice", Gluck's first step in his reform of the operatic form, owes much to the genre of French opera, particularly in its' extensive use of accompanied recitative and a general absence of vocal virtuosity. In fact, it is generally supposed that Gluck frankly took Rameau's "Castor et Pollux" as his model when he sat down to compose "Orfeo": indeed, the plot of the earlier work, in particular, the rescue of Pollux by Castor from the infernal regions, has much in common with that of "Orfeo", so it is possible that Gluck took many hints from Rameau's musical treatment of the various scenes which the two works have in common. Therefore, it seems quite fitting that twelve years after the 1762 premiere of the original work, in 1774, Gluck presented his work to the Parisian public, readapting it, in the process, to suit the tastes of the audience at the Academie Royale de Musique. This reworking was given the title "Orphee et Eurydice" which is the version of this ever well-known piece that I want to present in this series of uploads. The recording presented here is Minkowski's 2004 live recording of the work with the following cast: Richard Croft - Orphee, Mireille Delunsch - Eurydice, Marion Harousseau - L'Amour, Claire Delgado-Boge - Une ombre heureuse.
No. 9. Dance of the Blessed Spirits. The gently pastoral Dance of the Blessed Spirits beautifully exemplifies Gluck's revolutionary principle that in opera,music and poetry should never overstate their message. Written for solo flute with string accompaniment, this piece is in simple ternary form (ABA), the first part an elegant, stately melody that conjures up images of pastoral tranquility. The contrasting minor part, however, like a sudden zephyr, introduces, with its muted passion, an element of anguish that is perhaps an echo of the earlier dialogue with the Furies. However, as the A section is reiterated, the idyllic landscape reappears, perhaps suggesting that Orpheus' quest will be successful.
No. 10. Aria - "Cet asile paisible" (first appeared in the 1774 version). This simple, graceful appraisal of the Elysium is yet another piece that did not appear in the original version of the work but without which I cannot imagine the work. In effect its' Eurydice's "cavatina", the first time we are supposed to see her on stage. In this recording, however (and that is my only major quibble with this rendition of the score), the aria is given, inexplicably, to one of the happy shades which does help to underline Orpheus' entrance into Elysium but this decision relieves the role of Eurydice of a proper entrance.
(Immesso da: Lindoro Rossini, il 10 gennaio 2009 - si ringrazia)
Though originally set to an Italian libretto, "Orfeo ed Euridice", Gluck's first step in his reform of the operatic form, owes much to the genre of French opera, particularly in its' extensive use of accompanied recitative and a general absence of vocal virtuosity. In fact, it is generally supposed that Gluck frankly took Rameau's "Castor et Pollux" as his model when he sat down to compose "Orfeo": indeed, the plot of the earlier work, in particular, the rescue of Pollux by Castor from the infernal regions, has much in common with that of "Orfeo", so it is possible that Gluck took many hints from Rameau's musical treatment of the various scenes which the two works have in common. Therefore, it seems quite fitting that twelve years after the 1762 premiere of the original work, in 1774, Gluck presented his work to the Parisian public, readapting it, in the process, to suit the tastes of the audience at the Academie Royale de Musique. This reworking was given the title "Orphee et Eurydice" which is the version of this ever well-known piece that I want to present in this series of uploads.
The recording presented here is Minkowski's 2004 live recording of the work with the following cast: Richard Croft - Orphee, Mireille Delunsch - Eurydice, Marion Harousseau - L'Amour, Claire Delgado-Boge - Une ombre heureuse.
No. 11. Scena, Chorus, Dance & Chorus - "Quel nouveau ciel par ces lieux", "Viens dans ce sejour paisible" & "Pres du tendre objet". Orpheus appears in a quasi-recitative of great effect, lost in wonder at the magical beauty of all around him. Here again is a remarkable instance of Gluck's pictorial power, simple as are the means he employs, the effect is extraordinary: the murmuring of streams, the singing of birds, and the placid beauty of the landscape are depicted with a touch which, if light, is infallibly sure. The chorus' answers to his desire are rather traditional but strikingly appropriate to the surroundings and the characters that sing them.
(Immesso da: Lindoro Rossini, il 10 gennaio 2009 - si ringrazia)
Though originally set to an Italian libretto, "Orfeo ed Euridice", Gluck's first step in his reform of the operatic form, owes much to the genre of French opera, particularly in its' extensive use of accompanied recitative and a general absence of vocal virtuosity. In fact, it is generally supposed that Gluck frankly took Rameau's "Castor et Pollux" as his model when he sat down to compose "Orfeo": indeed, the plot of the earlier work, in particular, the rescue of Pollux by Castor from the infernal regions, has much in common with that of "Orfeo", so it is possible that Gluck took many hints from Rameau's musical treatment of the various scenes which the two works have in common. Therefore, it seems quite fitting that twelve years after the 1762 premiere of the original work, in 1774, Gluck presented his work to the Parisian public, readapting it, in the process, to suit the tastes of the audience at the Academie Royale de Musique. This reworking was given the title "Orphee et Eurydice" which is the version of this ever well-known piece that I want to present in this series of uploads.
The recording presented here is Minkowski's 2004 live recording of the work with the following cast: Richard Croft - Orphee, Mireille Delunsch - Eurydice, Marion Harousseau - L'Amour, Claire Delgado-Boge - Une ombre heureuse.
No. 12. Duet - "Viens, suis un epoux". This piece seems rather problematic: it starts wonderfully, with Orpheus' repeated warm pleas to his wife whose continuousdesire for her husband's glance introduces a sudden shift to a minor melody that is then used to carry the characters' appeal to the gods. After a repeat of this section, though, Gluck resolves the piece in its' original light melody which proves rather unsatisfying with the final anguishing phrases forming a stark contrast to the music that carries them.
No. 13. Aria (Duettino) - "Fortune ennemie". Eurydice is given an ungratefully small part in the opera (which could have been safely called "Orfeo") but, thankfully, her role is painted sympathetically, especially in this short aria which finds the heroine lamenting her poor fortune. Originally, the B section of the aria was meant to be sung solo but for the 1774 version Gluck opted to add the voice of Orpheus' to the piece, making the section a duettino of stunning beauty which helps to note Orpheus' growing torment at being unable to see his wife. Again, hope you'll enjoy :).
(Immesso da: Lindoro Rossini, il 10 gennaio 2009 - si ringrazia)
Though originally set to an Italian libretto, "Orfeo ed Euridice", Gluck's first step in his reform of the operatic form, owes much to the genre of French opera, particularly in its' extensive use of accompanied recitative and a general absence of vocal virtuosity. In fact, it is generally supposed that Gluck frankly took Rameau's "Castor et Pollux" as his model when he sat down to compose "Orfeo": indeed, the plot of the earlier work, in particular, the rescue of Pollux by Castor from the infernal regions, has much in common with that of "Orfeo", so it is possible that Gluck took many hints from Rameau's musical treatment of the various scenes which the two works have in common. Therefore, it seems quite fitting that twelve years after the 1762 premiere of the original work, in 1774, Gluck presented his work to the Parisian public, readapting it, in the process, to suit the tastes of the audience at the Academie Royale de Musique. This reworking was given the title "Orphee et Eurydice" which is the version of this ever well-known piece that I want to present in this series of uploads. The recording presented here is Minkowski's 2004 live recording of the work with the following cast: Richard Croft - Orphee, Mireille Delunsch - Eurydice, Marion Harousseau - L'Amour, Claire Delgado-Boge - Une ombre heureuse.
No. 14. Aria - "J'ai perdu mon Eurydice". Orphee second lament would have to be the opera's most famous and its' most criticized aria. Truth be told, it does seemdramatically rather relaxed, especially coming after an impassioned and tormented recitative. Set in the form of the rondo, it features only one movement (the fourth, 5:30) which is suitably mournful in melody. Gluck faced criticism during his lifetime of "Che faro senza Euridice?" on the grounds that it was emotionally uninvolved; he responded by pointing out the absolute necessity of fine execution of the aria: "make the slightest change, either in the movement or in the turn of expression, and it will become a saltarello for marionettes". And, in accordance with Gluck's defence, one does feel that the piece lends true credibility to Orpheus' lament: he has completely lost all hope of recovering his wife and his aria, sounding slightly odd in its' surroundings, helps to note his complete breakdown at seeing his wife dead for a second time. And, after all, it is a beautiful piece of music :).
(Immesso da: Lindoro Rossini, il 10 gennaio 2009 - si ringrazia)
Though originally set to an Italian libretto, "Orfeo ed Euridice", Gluck's first step in his reform of the operatic form, owes much to the genre of French opera, particularly in its' extensive use of accompanied recitative and a general absence of vocal virtuosity. In fact, it is generally supposed that Gluck frankly took Rameau's "Castor et Pollux" as his model when he sat down to compose "Orfeo": indeed, the plot of the earlier work, in particular, the rescue of Pollux by Castor from the infernal regions, has much in common with that of "Orfeo", so it is possible that Gluck took many hints from Rameau's musical treatment of the various scenes which the two works have in common. Therefore, it seems quite fitting that twelve years after the 1762 premiere of the original work, in 1774, Gluck presented his work to the Parisian public, readapting it, in the process, to suit the tastes of the audience at the Academie Royale de Musique. This reworking was given the title "Orphee et Eurydice" which is the version of this ever well-known piece that I want to present in this series of uploads.
The recording presented here is Minkowski's 2004 live recording of the work with the following cast: Richard Croft - Orphee, Mireille Delunsch - Eurydice, Marion Harousseau - L'Amour, Claire Delgado-Boge - Une ombre heureuse.
No. 15. Terzet & Finale - "Tendre amour, que tes chaines" & "L'Amour triomphe". In the original ending to "Orfeo", the dialogue between the three characters cuts straight to the final "vaudeville" which proves rather unsatisfying, while in the 1774 version a wonderful, intense terzet is sung by all three, very much needed to bring the conflict to a closing and to express the lovers happiness at seeing each other. This then overflows naturally in the final number that forms the last word of the opera.
Again, hope you'll enjoy :).
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APPARATI
Jacopo Peri (1561-1633) EURIDICE Favola in Musica su testo di Ottavio Rinuccini
Gustave Moreau, Orphée (detail Eurydice) (Rielaborazione: progetto e realizzazione grafica di Giovanni Pititto)
Prologo
La Tragedia
Io che d'alti sospir vaga e di pianti Spars'hor di doglia hor di minaccie il volto Fei negli ampi teatri al popol folto Scolorir di pietà volti e sembianti. Non sangue sparso d'innocenti vene, Non ciglia spente di tiranno insano, Spettacolo infelice al guardo umano Canto su meste, e lagrimose scene. Lungi via lungi pur da regi tetti Simulacri funesti ombre d'affanni Ecco i mesti coturni, e i foschi panni Cangio e desto nei cor più dolci affetti Hor s'avverrà, che le cangiate forme Non senz'alto stupor la terra ammiri Tal ch'ogni alma gentil ch'Apollo inspiri Del mio novo cammin calpesti l'orme
Pastore del coro
Ninfe ch'i bei crin d'oro Sciogliete liete à lo scherzar de'venti E voi ch'almo tesoro Dentro chiudete à bei rubini ardenti E voi ch'à l'Alba in ciel togliete i vanti Tutte venite, ò Pastorelle amanti; E per queste fiorite alme contrade Risuonin liete voci, e lieti canti: Oggi à somma beltate Giunge sommo valor santo Imeneo. Avventuroso Orfeo Fortunata Euridice Pur vi congiunse il Ciel, o dì felice
Ninfa del coro
Raddoppia e fiamme e lumi Al memorabil giorno, Febo, Ch'il carro d'or rivolgi intorno
Pastore dei coro E voi celesti Numi Per l'alto Ciel con certo moto erranti, Rivolgete sereni Di pace, e d'amor pieni Alle bell'alme i lucidi sembianti
Ninfa del coro
Vaghe Ninfe amorose Inghirlandate il crin d'alme viole Dite liete e festose: Non vede un simil par d'amanti il Sole
Coro
Non vede un simil par d'amanti il Sole
Euridice
Donne ch'a miei diletti Rasserenate sì lo sguardo, e'l volto Che dentro à vostri petti Tutto rassembr'il mio gioir raccolto Deh come lieta ascolto I dolci canti, e gli amorosi detti D'amor di cortesia graditi affetti.
Ninfa del coro
Qual in sì rozzo core Alberga alma sì fèra, alma sì dura Che di sì bell'amor l'alta ventura Non colmi di diletto, e di dolcezza
Aminta
Credi Ninfa gentile, Pregio d'ogni bellezza, Che non è fera in bosco, augello in fronda O muto pesce in onda, Ch'oggi non formi e spiri Dolcissimi d'amor sensi, e sospiri. Non pur son liete l'alme e lieti i cori De' vostri dolci amori.
Euridice
In mille guise, e mille Crescon le gioie mie dentr'al mio petto Mentr'ogn'una di voi par che scintille Dal bel guardo seren gioia, e diletto; Ma, deh, compagne amate, Là tra quell'ombre grate Movian di quel fiorito almo boschetto E quivi al suon de' limpidi cristalli Trarren liete caròle e lieti balli.
Ninfa del coro
Itene liete pur, noi qui fra tanto Che sopraggiunga Orfeo L'ore trapasseren con lieto canto
Coro
Al canto, al ballo, all'ombra, al prato adorno Alle bell'onde liete Tutti o pastor correte Dolce cantando in sì beato giorno.
Ninfa del coro
Selvaggia Diva e boscherecce ninfe, Satiri e voi silvani Reti lasciate e cani Venite al suon delle correnti linfe.
Coro
Al canto....
Aminta
Bella madre d'amor, da l'alto coro Scendi ai nostri diletti E coi bei pargoletti Fendi le nubi e il ciel con l'ali d'oro
Coro
Al canto....
Dafne
Corrin di puro latte e rivi, e fiumi Di mel distilli e manna Ogni selvaggia canna Versate ambrosia e voi celesti numi
Orfeo
Antri, ch'a miei lamenti Rimbombaste dolenti, Amiche piagge, E voi, piante selvagge, Che alle dogliose rime Piegaste per pietà l'altere cime, Non fia più, no, che la mia nobile cetra, Con flebil canto a lagrimar v'alletti. Ineffabil mercede, almi diletti Amor cortese oggi al mio pianto impetra. Ma deh, perchè sì lente Del bel carro immortal le rote accese Per l'eterno cammin tardano il corso? Sferza, Padre cortese, A' volanti destrier la groppa e il dorso! Spegni ne l'onde omai, Spegni o nascondi i fiammeggianti rai! Bella madre d'amor, Da l'onde fuora sorgi E la notte ombrosa Di vaga luce scintillando indora. Venga, deh, venga omai la bella sposa Tra il notturno silenzio e i lieti orrori A temprar tante fiamme e tanti ardori!
Arcetro
Sia pur lodato il ciel, lodato amore, Che d'allegrezza colmo Pur ne la fronte un dì ti vidi il core.
Orfeo
O mio fedel! Neppur picciola stilla Agli occhi tuoi traspare De l'infinito mare Che di dolcezza Amor nel cor mi stilla.
Arcetro
Or non ti riede in mente Quando fra tante pene Io ti dicea sovente: Armati il cor di generosa speme! Che dei fedeli amanti Non ponno alfin de le donzelle i cori Sentir senza pietà le voci e i pianti. Ecco che ai tuoi dolori Pur s'ammolliro alfine Del disdegnoso cor gli aspri rigori.
Orfeo
Ben conosco or che tra pungenti spine Tue dolcissime rose Amor serbi nascose. Or veggio, e sento, Che per farne gioir ne dai tormento.
Tirsi
Nel puro ardor della più bella stella Aurea facella di bel foco accendi E qui discendi su l'aurate piume Giocondo nume, e di celeste fiamma L'anime infiamma.
Lieto Imeneo, d'alta dolcezza un nembo Trabocca in grembo ai fortunati amanti E tra bei canti di soavi amori Sveglia nei cori una dolce aura, un riso Di Paradiso.
Arcetro
Deh, come ogni bifolco, ogni pastore, Ai tuoi lieti imenei Scopre il piacer ch'entro racchiude il core
Tirsi
Del tuo beato amor gli alti contenti Crescano ognor come per pioggia suole L'onda gonfiar de' rapidi torrenti.
Orfeo
E per te, Tirsi mio, rimeni il sole Sempre le notti e i dì lieti e ridenti.
Dafne
Lassa, che di spavento e di pietade Gelami il cor nel seno. Miserabil beltade! Come in un punto, ohimè, venisti meno. Ahi, che lampo o baleno In notturno seren ben ratto fugge! Ma più rapida l'ale Affretta umana vita al dì fatale.
Arcetro
Ohimè, che fia giammai? Pur or tutta gioiosa Al fonte degli allor costei lasciai.
Dafne
O giorno pien d'angoscia e pien di guai!
Orfeo
Qual così ria novella Turba il tuo bel sembiante In così lieto di, gentil donzella?
Dafne
O, del gran Febo e delle sacre dive Pregio sovran, di queste selve onore, Non chieder la cagion del mio dolore!
Orfeo
Ninfa, deh, sì contenta Ridir perchè t'affanni, Che taciuto martir troppo tormenta!
Dafne
Com'esser può giammai Ch'io narri e ch'io riveli Sì miserabil caso? O fato, o cieli! Deh, lasciami tacer, troppo il saprai...
Arcetro
Dì pur: sovente del timor l'affanno E' dell'istesso mal men grave assai
Dafne
Troppo più del timor fia grave il danno!
Orfeo
Ah, non sospender più l'alma turbata!
Dafne
Per quel vago boschetto Ove, rigando i fiori, Lento trascorre il fonte degli allori Prendea dolce diletto Con le compagne sue la bella sposa. Chi violetta o rosa Per far ghirlanda al crine Togliea dal prato o dall'acute spine. Ma la bella Euridice Movea danzando il più sul verde prato Quando ahi, ria sorte acerba, Angue crudo e spietato Che celato giacea tra i fiori e l'erba Punsele il piè con sì maligno dente Che impallidì repente Come raggio di sol che nube adombri. E dal profondo core Come un sospir mortale Sì spaventoso ohimè sospinse fuore Che quasi avesser l'ale Giunse ogni ninfa al doloroso suono. Et ella in abbandono Tutta lasciossi allor fra l'altrui braccia. Spargeva il volto e le dorate chiome Un sudor vieppiù freddo assai che ghiaccio Indi si udì il tuo nome Tra le labbra sonar, fredde e tremanti, E volti gli occhi al cielo, Restò tanta bellezza immobil gelo.
Arcetro
Che narri! Ohimè, che sento! Misera ninfa, e più misero amante, Spettacol di miseria e di tormento!
Orfeo
Non piango e non sospiro Che sospirar, che lagrimar non posso, Cadavero infelice, O mio core, o mia speme, o pace, o vita! Ohimè, chi mi t'ha tolto, Chi mi t'ha tolto, ohimè, dove sei gita? Tosto vedrà che invano Non chiamasti morendo il tuo consorte, Non son, non son lontano, Io vengo, o cara vita, o cara morte.
Arcetro
Ahi, morte invida e ria! Così recidi il fior dell'altrui speme, Così turbi d'amor gli almi diletti! Lasso, ma indarno ai venti Ove morte n'assal volan le strida. Fia più senno il seguirlo acciò non vinto Da soverchio dolor se stesso uccida.
Dafne
Va pur, che ogni dolor si fa men grave Ove d'amico fido Reca conforto il ragionar soave
Qui tornano le compagne di Euridice
Tirsi
Dunque è pur ver che scompagnate e sole Tornate, o donne mie, Senza la scorta di quel vivo sole?
Pastore
Sconsolati desir gioie fugaci O speranze fallaci E chi creduto avrebbe In sì breve momento Veder il Sol d'ogni bellezza spento?
Tirsi
Bel dì che in sul mattin sì lieto apristi, Deh, come avanti sera nube di duol t'avvolge oscura e nera!
Dafne
Cruda morte, ahi pur potesti Oscurar sì dolci lampi! Sospirate aure celesti Lacrimate, o selve, o campi. Sospirate
Coro
Sospirate, aure dolenti. Lagrimate, o selve, o campi
Dafne
Quel bel volto almo fiorito Onde Amor suo seggio pose Pur lasciaste scolorito Senza gigli e senza rose. Sospirate
Coro
Sospirate...
Dafne
Fiammeggiar di negre ciglia C'ogni stella oscura in prova Chioma d'or, guancia vermiglia Contro a morte, ohimè, che giova? Sospirate
Coro
Sospirate...
Trio
Ben nocchier costante e forte Sa schernir marino sdegno. Ahi, fuggir colpo di morte Già non val mortal disegno. Sospirate
Coro
Sospirate...
Arcetro
Se fato invido e rio Di queste amate piagge ha spento il sole Donne, ne riconsole! Che per celeste aita Il misero pastor rimaso é in vita
Dafne
Benigno don degli immortali dei, Se vive ancor, da tanta angoscia oppresso! Ma tu, perchè non sei In sì grand'uopo al caro amico appresso?
Arcetro
Con frettoloso passo, Come tu sai dietro gli tenni: orquando Da lungi il vidi, che dolente e lasso Sen gìa com'huom d'ogni allegrezza al bando, Il corso alquanto allento, Pur tuttavia da lungi Tenendo al suo cammin lo sguardo intento. Et ecco al loco ei giunge Ove fù morte il memorabil danno. Ivi, con tanto affanno, Sì dolenti sospir dal cor gli usciro Che le fere e le piante, e l'erbe e i fiori Sospirar seco e lamentar s'udiro. Et egli: o fere, o piante, o fronde, o fiori Qual di voi per pietà m'addita il loco Ove ghiaccio divenne il mio bel foco? E come porsi il caso o volse il fato Girando intorno le dolenti ciglia Scorse sul verde prato Del bel sangue di lei l'erba vermiglia
Dafne
Ahi miserabil vista! Ahi fato acerbo!
Arcetro
Sovra il sanguigno smalto Immobilmente affisse Le lacrimose luci e il volto esangue, Indi tremando disse: o sangue O caro sangue Del mio ricco tesor misero avanzo! Deh, con i baci insieme Prendi dell'alma ancor quest'aure estreme! E quasi ei fosse d'insensata pietra Cadde sulle erba. E quivi Non dirò fonti o rivi Ma di lacrime amare Da quegli occhi sgorgar pareva un mare.
Dafne Ma tu, perchè tardavi a darle aita?
Arcetro
Io che pensato avea di starmi ascoso Fin che l'aspro dolor sfogasse alquanto Quando sul prato erboso Cader lo viddi, e crescer pianto a pianto Volsi per sollevarlo. O meraviglia! Et ecco un lampo ardente Dall'alto Ciel mi saettò le ciglia. Allor gli occhi repente Rivolsi al folgorar del nuovo lume E sovruman costume Entro bel carro di zaffir lucente Donna vidi celeste, al cui sembiante Si coloriva il ciel di luce e d'oro. Ivi dal carro scese L'altera Donna, e con sembiante umano Candida man per sollevarlo stese. Al celeste soccorso La destra ei prese e fe' sereno il viso. Io di sì lieto avviso Per rallegrarvi il cor mi diedi al corso.
Pastore
A te, qual tu ti sia degli alti Numi, Che al nobile pastor recasti aita Mentre avran queste membra e spirto e vita Canterem lodi ognor tra incensi e fumi.
Coro
Se de boschi i verdi onori Raggirar su nudi campi Fa stridor d'orrido verno Sorgon anco, e frond'e fiori Appressand'i dolci lampi Della luce il carro eterno. S'al soffiar d'Austro nemboso Crolla in mar gli scogli alteri L'onda torbida spumante Dolce increspa il tergo ondoso Sciolti i nembi oscuri e feri Aura tremola, e vagante. Al rotar del Ciel superno Non pur l'aer, e'l foco intorno Ma si volge il tutto in giro Non è il ben, nel pianto eterno Come or sorge or cade il giorno Regna qui gioia e martiro.
Tirsi
Poi che dal bel sereno In queste piagge humil tra noi mortali Scendon gli Dei pietosi a nostri mali, Pria che Febo nascondi a Teti in seno I rai lucenti,e chiari, Al tempio a sacri altari Andian devoti e con celeste zelo Alziam le voci e il cor cantando al cielo
Coro
Alziam le voci e il cor cantando al Cielo
FINE ATTO I
(Rielaborazione: progetto e realizzazione grafica di Giovanni Pititto)
Jacopo Peri (1561-1633) EURIDICE Favola in Musica su testo di Ottavio Rinuccini
ATTO II
Venere
Scorto da immortal guida Arma di speme e di fortezza l'alma Che avrai di morte ancor trionfo e palma.
Orfeo
O Dea, madre d'Amor, figlia al gran Giove, Che tra cotante pene Ravvivi il cor con sì soave speme, Dove mi scorgi, dove Rivedrò quelle luci alme serene?
Venere
L'oscuro varco onde siam giunti a queste Rive, pallide e meste, Occhio non vide ancor d'alcun mortale. Rimira intorno, e vedi Gli oscuri campi e la città fatale Del Re che sovra l'ombre ha scettro e regno. Sciogli il tuo nobil canto Al suon dell'aureo legno: Quanto morte t'ha tolto ivi dimora. Prega, sospira e plora, Forse avverrà che quel soave pianto Che mosso ha il Ciel Pieghi l'Inferno ancora.
Venere si parte e lascia Orfeo nell'Inferno
Orfeo
Funeste piagge, ombrosi orridi campi, Che di stelle o di sole Non vedeste giammai scintille o lampi Rimbombate dolenti Al suon delle angosciose mie parole Mentre con mesti accenti Il perduto mio ben con voi sospiro. E voi, deh, per pietà del mio martiro, Che nel misero cor dimora eterno, Lagrimate al mio pianto, ombre d'Inferno.
Ohimè, che sull'aurora Giunse all'occaso il sol degli occhi miei! Misero, e in su quell'ora Che scaldarmi ai bei raggi io mi credea, Morte spense il bel lume, e freddo e soloRestai fra il pianto e il duolo, Come angue suol in cruda piaggia il verno. Lagrimate al mio pianto, ombre d'Inferno.
E tu, mentre al Ciel piacque, Luce di questi lumi, Fatti al tuo dipartir fontane e fiumi, Che fai per entro i tenebrosi orrori? Forse t'affliggi e piangi Líacerbo fato e gli infelici amori. Deh, se scintilla ancora Ti scalda il sen di quei sì cari ardori, Senti mia vita, senti Quai pianti e quai lamenti Versa il tuo caro Orfeo dal cor interno Lagrimate al mio pianto, ombre d'Inferno.
Plutone
Ond'è cotanto ardire Che avanti il dì fatale Scende ai miei bassi regni un huom mortale?
Orfeo
O degli orridi e neri Campi d'inferno, O dell'altera Dite Eccelso Re Che alle nude ombre imperi Per impetrar mercede Vedovo amante a questo abisso oscuro Volsi piangendo, e lagrimando il piede
Plutone
Si dolci preghi, e sì soavi accenti Non spargeresti invan, se nel mio regno Impetrasser mercè pianti, o lamenti
Orfeo
Deh, se la bella Diva Che per l'acceso monte Mosse a fuggirti invan ritrosa, e schiva Sempre ti scopri, e giri Sereni i rai della celeste fronte Vagliami il dolce canto Di questa nobil cetra Ch'io ricovri da te la donna mia L'alma, deh, rendi a questo sen dolente Rendi a questi occhi il desiato Sole A queste orecchie il suono Rendi delle dolcissime parole O me raccogli ancora Tra l'ombre spente ove il mio ben dimore.
Plutone
Dentro l'infernal porte Non lice ad huom mortai fermar le piante Ben di tua dura sorte Non so qual nuovo affetto M'intenerisce il petto. Ma troppo dura legge Legge scolpita in rigido diamante Contrasta ai preghi tuoi misero amante
Orfeo
Ahi, che pur d'ogni legge Sciolto è colui che gli altri affrena, e regge Ma tu dei mio dolore Scintilla di pietà non senti al core? Ahi, lasso, e non rammenti Come trafigga amor, come tormenti E pur sul monte dell'eterno ardore Lagrimasti ancor tu servo d'Amore. Ma deh, se il pianto mio Non può nel duro sen destar pietate, Rivolgi il guardo a quell'alma beltate Che t'accese nel cor sì bel desio; Mira signor, deh, mira Come al mio lagrimar dolce sospira Tua bella sposa, e come dolci i lumi Rugiadosi di pianto a me pur gira Mira signor, deh, mira Queste ombre intorno, e questi oscuri Numi Come d'alta pietà vinti al mio duolo Par che ciascun si strugga, e si consumi
Proserpina
O Re nel cui sembiante m'appago sì Che'l ciel sereno, e chiaro Con quest'ombre cangiar m'è dolce, e caro Deh, se gradito amante Già mai trovasti in questo sen raccolto Onda soave all'amorosa sete Se al cor libero, e sciolto Dolci fur queste chiome e laccio, e rete Di sì gentile amante acqueta il pianto.
Orfeo
A sì soavi preghi A sì fervido amante Mercede anco pur nieghi Che sia però? Se fra tante alme e tante Riede Euridice à rimirar il Sole Rimarran queste piagge ignude, e sole? Ahi, che me seco, e mille e mille insieme Diman teco vedrai nel tuo gran regno! Sai pur, che mortai vita all'ore estreme Vola più ratta, che saetta al segno.
Plutone
Dunque dei regno oscuro Torneran l'anime in ciel, et io Le leggi spezzerò dei nostro regno
Caronte
Sovra l'eccelse stelle Giove a talento suo comanda, e regge Nettuno il mar corregge E muove a suo voler turbi e procelle Tu sol dentro à confin d'angusta legge Havrai l'alto governo Non libero Signor del vasto inferno?
Plutone Romper le proprie leggi è vil possanza Anzi reca sovente, e biasmo, e danno
Orfeo
Ma degli afflitti consolar l'affanno E' pur di regio cor gentil usanza.
Caronte
Quanto rimira il Sol volgendo intorno La luminosa face, Al rapido sparir d'un breve Cade morendo, e fà qua giù ritorno Fa pur legge, o gran Re, quanto te piace
Plutone
Trionfi oggi pietà ne' campi Inferni E sia la gloria, e'l vanto Delle lagrime tue, dei tuo bel canto. O della Reggia mia ministri eterni Scorgete voi per entro all'aere oscuro L'amator fido alla sua donna, avante, Scendi gentil amante Scendi lieto, e sicuro Entro le nostre soglie, E la diletta moglie Teco rimena al Ciel sereno e puro
Orfeo
O fortunati miei dolci sospiri! O ben versati pianti! O me felice sopra à gli altri amanti!
Coro I
Poi che gi'etern'imperi Tolto dal ciel Saturno Partiro i figli alteri Da quest'orror notturno Alma non tornò mai Del Ciel à dolci rai.
Coro II
Unqua ne mortal piede Calpestò nostre arene Che d'impetrar mercede Non nacque al mondo speme. In questo abisso dove Pietà non punge, e muove.
Caronte
Hor di soave Plettro Armato, e d'aurea cetra, Con lagrimoso metro, Canoro amante, impetra Che il Ciel rivegga, e viva La sospirata Diva.
Coro I
Si trionfàro in guerra D'Orfeo la cetra, e i canti. O figli della terra L'ardir frenate, e i vanti: Tutti non sète prole Di lui, che regge il Sole
Coro I e II
Scendere al centro oscuro Forse fia facil opra Ma quanto, ahi quanto è duro Indi poggiar poi sopra. Sol lice alle grand'alme Tentar sì dubbie palme.
FINE ATTO II
Arcetro Già del bel carro ardente Rotan tepidi rai nel ciel sereno E già per l'oriente Sorge l'ombrosa notte e il dì vien meno; Né fa ritorno Orfeo Né pur di lui novella anco si sente.
Ninfa Già temer non si dee di sua salute Se de campi celesti scender nume divin per lui vedesti
Arcetro Viddilo e so che il ver questi occhi han visto Né regna alcun timor nel petto mio. Ma di vederlo men dolente e tristo Struggemi l'alma e il cor caldo desio.
Aminta Voi che si ratte il volo spiegate aure volanti Voi de felici a manti Per queste piagge e quelle Spargete le dolcissime novelle
Ninfa Ecco il gentil Aminta, tutto ridente in viso: Forse reca d'Orfeo giocondo avviso
Aminta Se de tranquilli petti Il seren perturbò nuntia dolente Messaggero ridente La torbida tempesta e i foschi orrori Ecco disgombro E rassereno i cori. Non più non più lamenti Dolcissime compagne Non sia chi più si lagne Di dolorosa sorte Di fortuna, o di morte. Il nostro Orfeo Il nostro Semideo Tutto lieto e giocondo Di dolcezza e di gioia Nuota in un mar che non ha riva o fondo
Ninfa Come tanto dolore Quetossi in un momento? E chi cotanto ardore In sì fervido cor si presto ha spento?
Aminta Spento è il dolor ma vive Del suo bel foc'ancor chiar,e lucenti Splendon le fiamm'ardenti. La bella Euridice Che abbiam cotanto sospirato, e pianto Più che mai bella e viva Lieta si gode al caro sposo accanto.
Arcetro Vaneggi, Aminta? O pur ne speri Rallegrar con tai menzogne? Assai lieti ne fai se n'assicure Che il misero pastor Prenda conforto in sì mortal dolore.
Aminta Voi del regno celeste Voi chiamo testimon superni numi S'il ver parlo o ragiono! Vive la bella Ninfa e questi lumi Pur hor miraro il suo bel viso E queste orecchie udir Delle sue voci il suono
Arcetro Quai dolci e care nuove Ascolto, o dei del cielo! O sommo Giove! Ond'è cotanta grazia e tanto dono!
Aminta Quand'al tempio n'andaste io mi pensai Che opra forse saria non men pietosa Dell'infelice sposa Gli afflitti consolar mesti parenti. E la ratto n'andai Ove tra schiera di pastori amici La sventurata sorte Lagrimavan quei vecchi orbi, e infelici. Or mentre all'ombra di quell'elce antiche Che giro al prato fanno Con dolci voci amiche Erano intenti a disasprir l'affanno, Come in un punto appar baleno o lampo Tal a nostri occhi avanti Sopraggiunti veggiam gli sposi amanti.
Arcetro O di che bel seren s'ammanta il cielo Al suon di tue parole Fulgido più che sul mattin non suole! E più ride la terra e più s'infiora Al tramontar del dì che in su l'aurora!
Orfeo Gioite al canto mio, selve frondose! Gioite amati colli e d'ogni intorno Ecco rimbombi dalle valli ascose.
Risorto è il mio bel sol, di raggi adorno E coi begli occhi onde fa scorno a Delo Raddoppia foco all'alme e luce al giorno E fa servi d'Amor la terra e il cielo.
Ninfa Tu sei, tu sei pur quella Che in queste braccia accolta Lasciasti il tuo bel velo alma disciolta?
Euridice Quella, quella son io per cui piangeste! Sgombrate ogni dolor, donzelle amate. A che più dubbie, a che pensose state?
Ninfa O sempiterni Dei! Pur veggio i tuoi bei lumi e il tuo bel viso E par che anco non creda agli occhi miei.
Euridice Per quest'aer giocondo E vivo e spiro anch'io Mirate il mio crin biondo E del bel volto mio Mirate, donne, le sembianze antiche, Riconoscete omai gli usati accenti, Udite il suon di queste voci amiche.
Dafne Ma come spiri e vivi? Come oggi nell'Inferno Spoglian dei pregi suoi gli eterei divi?
Euridice Tolsemi Orfeo dal tenebroso regno.
Arcetro Dunque mortal valor cotanto impetra?
Orfeo Dell'alto don fu degno Mio donce canto e il suon di questa cetra.
Aminta Come fin giù nei tenebrosi abissi Tua nobil voce udissi?
Orfeo La bella dea d'amore Non so per qual sentiero Scorsemi di Pluton nel vasto impero.
Dafne E tu scendesti nell'eterno orrore?
Orfeo Più lieto assai che in bel giardin donzella
Dafne O magnanimo core! Ma che non puote Amore!
Arcetro Come quel crudo rege Nudo d'ogni pietà placar potesti?
Orfeo Modi or soavi or mesti, Fervidi preghi e flebili sospiri Temprai sì dolci ch'io Nell'implacabil cor destai pietate. Così l'alma beltate Fu mercè, fu trofeo del canto mio.
Aminta Felice Semideo, Ben degna prole di lui che su nell'alto Per celeste sentier rivolge il sole Rompersi d'ogni pietra il duro smalto Viddi ai tuoi dolci accenti E il corso rallentar fiumi e torrenti, E per udir vicini Scender dagli alti monti abeti e pini. Ma vieppiù degno vanto oggi s'ammira Della famosa lira Vanto di pregio eterno: Mover gli Dei del Ciel, placar l'Inferno.
Coro
Biondo arcier che d'alto monte Aureo fonte Sorger fai di sì bell'onda Ben può dirsi alma felice Cui pur lice Appressar l'altera sponda.
Ma qual poi del sacro umore Sparge il core Tra i mortal può dirsi un Dio Ei degli anni il volto eterno Prende a scherno E la morte e il fosco oblio
Se fregiato il crin d'alloro Bel tesoro Reca al sen gemmata lira Farsi intorno alma felice D'Elicona L'alte vergini rimira
Ma se schiusa a bei desiri Par che spiri Tutto sdegno un cor di pietra Del bel sen l'aspra durezza Vince e sprezza Dolce stral di sua faretra.
Non indarno a incontrar morte Pronto e forte Muove il piè guerriero,o Duce La 've Clio da nube oscura Fa secura L'alta gloria ond'ei riluce.
Ma che più se al negro lito Scende ardito Sol di cetra armato Orfeo E del regno tenebroso Lieto sposo Porta al Ciel palma e trofeo
Ottonella Mocellin - Nicola Pellegrini, Una metafora in equilibrio sulla testa, 2005.
Collezione privata.
(Rielaborazione: progetto e realizzazione grafica di Giovanni Pititto)
"Ils suivent, au milieu d'un morne silence, un sentier raide, escarpé, ténébreux, noyé d'épaisses vapeurs. Ils n'étaient pas éloignés du but ; ils touchaient à la surface de la terre, lorsque, tremblant qu'elle n'échappe, inquiet, impatient de voir, Orphée tourne la tête. Soudain elle est rentraînée dans l'abîme. Il lui tend les bras, il cherche son étreinte, il veut la saisir ; elle s'évanouit, et l'infortuné n'embrasse que son ombre. C'en est fait ! elle meurt pour la seconde fois : mais elle ne se plaint pas de son époux. Et de quoi se plaindrait-elle ? Il l'aimait. Adieu ! ce fut le dernier adieu, et à peine parvint-il aux oreilles d'Orphée : déjà l'Enfer a reconquis sa proie."
[In: http://www.youtube.com/watch?v=hZhW76LAnTY || Da: Grandepuf | 19/ott/2009 - Con modifiche di: @ronsoncrown : "Ho intenzionalmente tagliato l'inizio, in modo che il filmato iniziasse direttamente con la parte musicale." - Si ringrazia]
Notizie biografiche su Tom Waits: http://it.wikipedia.org/wiki/Tom_Waits
Euridice nella Contemporaneità
[Img ricavata da: http://www.youtube.com/watch?v=hZhW76LAnTY ||
Tragédie-opéra en trois actes de Christoph Willibald Gluck
Livret français de Pierre-Louis Moline d'après le livret italien de Ranieri de' Calzabigi
Première Représentation: le 2 août 1774
Personnages
Orphée (ténor)
Eurydice (soprano)
L'Amour (soprano)
Acte I - II - III
ACTE I
La scène représente un bois de lauriers et de cyprès, un séjour agréable mais solitaire qui est entrecoupé pour former une petite plaine contenant le tombeau d'Eurydice. Au lever du rideau et pendant la ritournelle du chœur d'entrée, on voit une troupe de bergers et de nymphes dans la suite d'Orphée et tous portent des couronnes de fleurs et de myrtes; quelques-uns versent de l'encens dans le feu sacré, enguirlandent le marbre et couvrent son tombeau de fleurs, pendant que les autres chantent le chœur suivant qui est interrompu par les plaintes d'Orphée adossé sur le devant contre une pierre et répétant le nom d'Eurydice d'une voix gémissante.
CHŒUR
Ah! dans ce bois tranquille et sombre,
Eurydice, si ton ombre
Nous entend, . . .
ORPHÉE
Eurydice!
CHŒUR
. . . Sois sensible à nos alarmes,
Vois nos peines, vois nos larmes
Que pour toi l'on répand.
ORPHÉE
Eurydice!
CHŒUR
Ah! prends pitié du malheureux Orphée,
Il soupire, il gémit,
Il plaint sa destinée.
ORPHÉE
Eurydice!
CHŒUR
L'amoureuse tourterelle,
Toujours tendre, toujours fidèle,
Ainsi soupire et meurt
De douleur.
ORPHÉE
Vos plaintes, vos regrets augmentent mon supplice!
Aux mânes sacrés d'Eurydice
Rendez les suprêmes honneurs,
Et couvrez son tombeau de fleurs.
CHŒUR
Ah! dans ce bois lugubre et sombre,
Eurydice, si ton ombre
Nous entend,
Sois sensible à nos alarmes,
Vois nos peines, vois les larmes
Que pour toi l'on répand.
ORPHÉE
Éloignez-vous; ce lieu convient à ma douleur,
Et je veux sans témoins y répandre des pleurs.
(Les bergers et les nymphes se dispersent dans le bois.)
ORPHÉE
Objet de mon amour,
Je te demande au jour
Avant l'aurore;
Et quand le jour s'en fuit,
Ma voix pendant la nuit
T'appelle encore.
Eurydice, Eurydice, ombre chère, ah! dans quels lieux es-tu?
Ton époux gémissant, interdit, éperdu,
Te demande sans cesse, à la nature entière
Les vents, hélas! emportent sa prière.
Accablé de regrets,
Je parcours des forêts
La vaste enceinte.
Touché de mon destin,
Écho répète en vain
Ma triste plainte.
Eurydice, Eurydice! De ce doux nom
Tout retentit, ces bois, ces rochers, ce vallon.
Sur les troncs dépouillés, sur l'écorce naissante,
On lit ce mot gravé par une main tremblante.
Eurydice n'est plus, et je respire encore!
Dieux, rendez-lui la vie, ou donnez-moi la mort!
Plein de trouble et d'effroi,
Que de maux loin de toi,
Mon cœur endure;
Témoin de mes malheurs,
Sensible à mes douleurs,
L'onde murmure.
Divinités de l'Achéron,
Ministres redoutés de l'empire des ombres,
Vous qui dans les demeures sombres
Faites exécuter les arrêts de Pluton,
Vous que n'attendrit point la beauté, la jeunesse,
Vous m'avez enlevé l'objet de ma tendresse,
Oh, cruel souvenir!
Eh quoi! les grâces de son âge
Du sort le plus affreux n'ont pu la garantir?
Implacables tyrans, je veux vous la ravir!
Je saurai pénétrer jusqu'au sombre rivage,
Mes accents douloureux fléchiront vos rigueurs;
Je me sens assez de courage
Pour braver toutes vos fureurs!
L'AMOUR
L'amour vient au secours de l'amant le plus tendre.
Rassure-toi, les dieux sont touchés de ton sort.
Dans les enfers tu peux te rendre;
Va trouver Eurydice au séjour de la mort.
Si les doux accents de ta lyre,
Si tes accents mélodieux
Apaisent la fureur des tyrans de ces lieux,
Tu la ramèneras du ténébreux empire.
ORPHÉE
Dieux! je la reverrais!
L'AMOUR
Si les doux accents de ta lyre, etc
ORPHÉE
Dieux! je la reverrais!
L'AMOUR
Oui; mais pour l'obtenir
Il faut te résoudre à remplir
L'ordre que je vais te prescrire.
ORPHÉE
Ah! qui pourrait me retenir?
À tout mon âme est préparée.
L'AMOUR
Apprends la volonté des dieux:
Sur cette amante adorée
Garde-toi de porter un regard curieux,
Ou de toi pour jamais tu la vois séparée.
Tels sont de Jupiter les suprêmes décrets.
Rends-toi digne de ses bienfaits!
Soumis au silence,
Contrains ton désir,
Fais-toi violence,
Bientôt à ce prix tes tourments vont finir.
Tu sais qu'un amant
Discret et fidèle,
Muet et tremblant
Auprès de sa belle,
En est plus touchant.
Soumis au silence, etc
(L'Amour s'éloigne.)
ORPHÉE
Qu'entends-je? qu'a-t-il dit?
Eurydice vivra! mon Eurydice!
Un dieu clément, un dieu propice
Me la rendra!
Mais quoi! je ne pourrai,
Revanant à la vie,
La presser sur mon sein?
O mon amie, quelle faveur,
Et quel ordre inhumain!
Je prévois ses soupçons,
Je prévois ma terreur,
Et la seule pensée
D'une épreuve insensée
D'effroi glace mon cœur.
Oui, je le pourrai!
Je le veux, je le jure!
Amour, amour, j'espère en toi
Dans les maux que j'endure.
Douter de ton bienfait
Serait te faire injure.
C'en est fait, dieux puissants,
J'accepte votre loi.
Amour, viens rendre à mon âme
Ta plus ardente flamme;
Pour celle qui m'enflamme,
Je vais braver le trépas.
L'enfer en vain nous sépare,
Les monstres du tartare
Ne m'épouvantent pas.
Je sens croître ma flamme,
Je vais braver le trépas.
L'amour vient rendre à mon âme
Sa plus ardente flamme;
L'amour accroît ma flamme;
Je vais braver le trépas.
L'enfer en vain nous sépare, etc
ACTE II
PREMIER TABLEAU
Une contée épouvantable, hérisée de rochers, au delà du Styx; au loin s'élève une fumée épaisse, sombre, les flammes y jaillissent de temps en temps. Les spectres et les esprits commencent une danse qu'Orphée inerrompt par l'harmonie de sa lyre; à la vue d'Orphée toute la troupe entonne le premier chœur qui suit.
CHŒUR
Quel est l'adacieux
Qui dans ces sombres lieux
Ose porter ses pas,
Et devant le trépas
Ne frémit pas?
(Les esprits dansent autour d'Orphée pour l'effrayer.)
Quel est l'adacieux, etc
Que la peur la terreur
S'emparent de son cœur
À l'affreux hurelement
Du Cerbère écumant
Et rugissant!
ORPHÉE
Laissez-vous toucher par mes pleurs,
Spectres, . . .
CHŒUR
Non!
ORPHÉE
. . . larves, . . .
CHŒUR
Non!
ORPHÉE
. . . ombres terribles!
CHŒUR
Non!
ORPHÉE
Soyez, soyez sensibles
À l'excès de mes malheurs!
CHŒUR
Non! Non! Non!
ORPHÉE
Laissez-vous toucher par mes pleurs, etc
(Le chœur apaisé répond à Orphée avec un peu plus de pitié dans l'expression.)
CHŒUR
Qui t'amène en ces lieux,
Mortel présomptueux?
C'est le séjour affreux
Des remords dévorants
Et des gémissements
Et des tourments.
ORPHÉE
Ah! la flamme qui me dévore,
Est cent fois plus cruelle encore;
L'enfer n'a point de tourments
Pareils à ceux que je ressens.
CHŒUR (encore plus apaisé)
Par quels puissants accords,
Dans le séjour des morts,
Malgré nos vains efforts
Il calme la fureur de nos transports?
ORPHÉE
La tendresse
Qui me presse,
Calmera votre fureur,
Oui, mes larmes,
Mes alarmes
Fléchiront votre rigueur.
CHŒUR (encore plus doux)
Quels chants doux et touchants
Quels accords ravissants!
De si tendres accents
Ont su nous désarmer
Et nous charmer.
Qu'il descende aux enfers!
Les chemins sont ouverts.
Tout cède à la douceur
De son art enchanteur,
Il est vainqueur.
DANSE DES FURIES
(Après le commencement de cette danse, Orphée entre dans les enfers; vers la fin de la danse les spectres et les esprits disparaissent peu à peu.)
DEUXIÈME TABLEAU
Une contrée enchanteresse des champs Elysées pleine de superbe buissons, de fleurs, de ruisseaux, etc.
EURYDICE
Cet asile
Aimable et tranquille
Par le bonheur est habité,
C'est le riant séjour de la felicité.
Nul objet ici n'enflamme
L'âme,
Une douce ivresse
Laisse
Un calme heureux dans tous les sens;
Et la sombre tristesse
Cesse
Dans ces lieux innocents.
EURYDICE ET CHŒUR
Cet asile aimable et tranquille, etc
(Pendant le postlude du chœur disparaissent Eurydice et les esprits bienheureux. Orphée est perdu dans l'admiration.)
ORPHÉE
Quel nouveau ciel pare ces lieux!
Un jour plus doux s'offre à mes yeux.
Quels sons harmonieux!
J'entends retentir ce bocage
Du ramage
Des oiseaux,
Du murmure des ruisseaux
Et des soupirs de zéphire.
On goûte en ce séjour un eternel repos.
Mais le calme qu'on y respire
Ne saurait adoucir mes maux.
O toi, doux objet de ma flamme,
Toi seule y peux calmer le trouble de mon âme!
Tes accents
Tendres et touchants,
Tes regards séduisants,
Ton doux sourire
Sont les seuls biens que je désire.
(Attirés par le chant d'Orphée, les esprits bienheureux se sont rapprochés. Orphée regarde autour de lui, le chœur s'en approche.)
CHŒUR
Viens dans ce séjour paisible,
Époux tendre, amant sensible,
Viens bannir tes justes regrets.
Eurydice va paraître,
Eurydice va renaître
Avec de nouveaux attraits.
ORPHÉE
O vous, ombres que j'implore,
Hâtez-vous de la rendre à mes embrassements.
Ah! si vous ressentiez le feu qui me dévore,
Si vous étiez aussi de fidèles amants,
J'aurais déjà revu la beauté que j'adore!
Hâtez-vous de me rendre heureux!
CHŒUR
Le destin répond à tes vœux.
(Eurydice est introduite par une partie du chœur.)
Près du tendre object qu'on aime
On jouit du bien suprême,
Goûtez le sort plus doux.
Va renaître pour Orphée,
On retrouve l'Elysée
Auprès d'un si tendre époux.
(Eurydice est ramenée à Orphée par le chœur; sans la regarder, il saisit sa main et l'emmène. Le rideau se baisse lentement.)
ACTE III
PREMIER TABLEAU
Une caverne sombre avec un labyrinthe plein de couloirs obscurs et entournée de rochers mousseaux, tombants.
(Orphée mène encore Eurydice par la main sans le regarder.)
ORPHÉE
Viens, viens, Eurydice, suis-moi,
Unique et doux objet de l'amour plus tendre.
EURYDICE
C'est toi? je te vois?
Ciel! devais-je m'attendre?
ORPHÉE
Oui, tu vois ton époux. J'ai voulu vivre encor,
Et je viens t'arracher au séjour de la mort!
Touché de mon ardeur fidèle,
Jupiter au jour te rappelle.
EURYDICE
Quoi! je vis, et pour toi?
Ah, grands dieux, quel bonheur!
ORPHÉE
Eurydice, suis-moi,
Profitons sans retard de la faveur céleste;
Sortons, fuyons ce lieu funeste.
Non, tu n'es plus une ombre,
Et le dieu des amours
Va nous réunir pour toujours.
EURYDICE
Qu'entends-je? ah! se peut-il?
Heureuse destinée!
Eh quoi, nous pourrons resserrer
Les nœds d'amour et d'hyménée?
ORPHÉE
Oui, suis mes pas sans différer.
EURYDICE
Mais, par ta main ma main n'est plus pressée!
Quoi! tu fuis ces regards que tu chérissais tant!
Ton cœur pour Eurydice est-il indifférent?
La fraîcheur de mes traits serait-elle effacée?
ORPHÉE (à part)
Oh dieux! quelle contrainte!
(haut)
Eurydice, suis-moi,
Fuyons de ces lieux, le temps presse;
Je voudrais t'exprimer l'excès de ma tendresse;
(à part)
Mais je ne puis, oh! trop funeste loi!
EURYDICE
Un seul de tes regards . . .
ORPHÉE
Tu me glaces d'effroi!
EURYDICE
Ah! barbare!
Sont-ce là les douceurs que ton cœur me prépare?
Est-ce donc là le prix de mon amour?
Oh fortune jalouse!
Orphée, hélas! se refuse en ce jour
Aux transports innocents de sa fidèle épouse.
ORPHÉE (sent qu'elle est près de lui, il saisait sa main voulant l'emmener)
Par tes soupçons, cesse de m'outrager.
EURYDICE (indignée retire sa main)
Tu me rends à la vie, et c'est pour m'affliger!
Dieux, reprenez un bienfait que j'abhore!
Ah! cruel époux, laisse-moi!
ORPHÉE
Viens! Suis un époux qui t'adore.
EURYDICE
Non, ingrat, je préfère encore
La mort qui m'éloigne de toi.
ORPHÉE
Vois ma peine!
EURYDICE
Laisse Eurydice!
ORPHÉE
Ah! cruelle! Quelle injusice!
Ah viens! je t'implore, suis mes pas!
EURYDICE
Parle, réponds, je t'en supplie!
ORPHÉE
Dût-il m'en coûter la vie,
Non, je ne parlerai pas.
ENSEMBLE
Dieux, soyez-moi favourables!
Voyez mes pleurs,
Dieux secourables!
Quels tourments insupportables!
Quelles rigueurs
Mêlez-vous à vos faveurs!
(Chacun d'eux se dirige vers un autre côté de la scène où ils restent adossés à un arbre ou à un rocher.)
EURYDICE
Mais d'où vient qu'il persiste à garder le silence?
Quels secrets veut-il me cacher?
Au séjour du repos devait-il m'arracher
Pour m'accabler de son indifférence?
Oh destin rigoureux!
Ma force m'abandonne,
Le voile de la mort retombe sur mes yeux!
Je frémis, je languis,
Je frissonne, je tremble, je pâlis,
Mon cœur palpite,
Un trouble secret m'agite,
Tous mes sens sont saisis d'horreur
Et je succombe à ma douleur.
Fortune ennemie,
Quelle barbarie!
Ne me rends-tu la vie
Que pour les tourments?
Je goûtais les charmes
D'un repos sans alarmes,
ORPHÉE
Ses injustes soupçons
Redoublent mes tourments!
Que dire? que faire?
Elle me désespère,
EURYDICE
Le trouble, les larmes
Remplissent aujourd'hui
Mes malheureux moments.
ORPHÉE
Ne pourrai-je calmer
Le trouble de mes sens?
Que mon sort est à plaindre!
Je ne puis me contraindre!
EURYDICE
Je frissonne, je tremble.
Fortune ennemie, etc
ORPHÉE (à part)
Quelle épreuve cruelle!
EURYDICE
Tu m'abandonnes, cher Orphée!
En ce moment ton épouse désolée
Implore en vain tes secours;
O dieux! à vous seuls j'ai recours.
Dois-je finir mes jours
Sans un regard de ce que j'aime?
ORPHÉE (à part)
Je sens mon courage exprir,
Et ma raison se perd
Dans mon amour extrême;
J'oublie et la défense, Eurydice et moi même.
(Il fait un mouvement pour se retourner et tout à fait se retient.)
Ciel!
EURYDICE
Cher époux, je puis à peine respirer.
(Elle tombe sur un rocher.)
ORPHÉE (fort)
Rassure-toi, je vais tout dire . . .
Apprends . . .
(à part)
Que fais-je! . . . Justes dieux,
Quand finirez-vous mon martyre?
EURYDICE
Reçois donc mes derniers adieux,
Et souviens-toi d'Eurydice . . .
ORPHÉE (à part)
Où suis-je? Je ne puis résister à ses pleurs.
(fort)
Non, le ciel ne veut pas un plus grand sacrifice.
(Il se retourne avec impétousité et regarde Eurydice.)
Oh ma chère Eurydice . . .
EURYDICE
(Fait un effort de se lever, et meurt.)
Orphée! o ciel! je meurs . . .
ORPHÉE
Malheureux, qu'ai-je fait?
Et dans quel précipice
M'a plongé mon funeste amour?
Chère épouse! Eurydice!
Eurydice! Chère épouse!
Elle ne m'entend plus, je la perds à jamais!
C'est moi qui lui ravis le jour!
Loi fatale!
Cruel remords!
Ma peine est sans égale.
Dans ce moment funeste
Le désespoir, la mort
Est tout ce qui me reste.
J'ai perdu mon Eurydice,
Rien n'égale mon malheur;
Sort cruel! quelle rigueur!
Rien n'égale mon malheur!
Je succombe à ma douleur!
Eurydice, Eurydice,
Réponds, quel supplice!
Réponds-moi!
C'est ton époux fidèle;
Entends ma voix qui t'appelle.
J'ai perdu mon Eurydice, etc
Eurydice, Eurydice!
Mortel silence! Vaine espérance!
Quelle souffrance!
Quel tourment déchire mon cœur!
J'ai perdu mon Eurydice, etc
Ah! puisse ma douleur finir avec ma vie!
Je ne survivrai pas à ce dernier revers.
Je touche encor aux portes des enfers,
J'aurai bientôt rejoint mon épouse chérie.
Oui, je te suis, tendre objet de ma foi,
Je te suis, attends-moi!
Tu ne me seras plus ravie,
Et la mort pour jamais va m'unir avec toi.
(Lorsqu'il est sur le point de se tuer, l'Amour apparaît.)
L'AMOUR (lui arrache le poignard)
Arrête, Orphée!
ORPHÉE
O ciel! Qui pourrait en ce jour
Retenir le transport de mon âme égarée?
L'AMOUR
Calme ta fureur insensée;
Arrête, et reconnais l'Amour
Qui veille sur ta destinée.
ORPHÉE
Qu'exigez-vous de moi?
L'AMOUR
Tu viens de me prouver ta constance et ta foi;
Je vais faire cesser ton martyre.
(Il touche Eurydice et la ranime.)
Eurydice! respire!
Du plus fidèle époux viens couronner les feux.
ORPHÉE
Mon Eurydice!
EURYDICE
Orphée!
ORPHÉE
Ah! justes dieux!
Quelle est notre reconnaissance!
L'AMOUR
Ne doutez plus de ma puissance!
Je viens vous retirer de cet affreux séjour,
Jouissez désormais des plaisirs de l'amour!
EURYDICE
Tendre amour, que tes chaînes
Ont de charmes pour nos cœurs!
ORPHÉE
Tendre amour, à tes peines
Que tu mêles de douceurs!
L'AMOUR
Je dédommage tous les cœurs
Par un instant de mes faveurs.
EURYDICE
Tendre amour, que tes chaînes, etc
ORPHÉE
Tendre amour, à tes peines, etc
L'AMOUR
Que l'ardeur qui vous enflamme,
Toujours règne dans votre âme,
Ne craignez plus mes rigueurs;
Je dédommage tous les cœurs!
ORPHÉE ET EURYDICE
Quels transports et quel délire,
O tendre amour, ta faveur nous inspire,
Célébrons pour jamais.
Célébrons tes bienfaits.
L'AMOUR
Célébrez pour jamais mes bienfaits.
DEUXIÈME TABLEAU
Un magnifique temple consacré à l'amour - L'Amour, Orphée et Eurydice. Devant eux marche une nombreuse troupe de bergers et de bergères fêtant le retour d'Eurydice par leur chant et leurs joyeuses danses.
ORPHÉE
L'amour triomphe
Et tout ce qui respire
Sert l'empire de la beauté;
Sa chaîne agréable
Est préférable à la liberté.
CHŒUR
L'amour triomphe, etc
L'AMOUR
Dans les peines, dans les alarmes
Je fais souvent languir les cœurs;
Mais dans un instant mes charmes
Font pour jamais oublier mes riguers.
CHŒUR
L'amour triomphe, etc
EURYDICE
Si la cruelle jalousie
A troublé mes tendres désirs,
Les douceurs dont elle est suivie,
Sont des chaînes de plaisirs.
CHŒUR
L'amour triomphe, etc
FIN DE L'OPÉRA
[Da: http://opera.stanford.edu/iu/libretti/orphee.html - Input by Stefan Pilczek - e-mail: stefan.pilczek@fc.bilston.ac.uk - Si ringrazia]
Commento di LindoroRossini, a: Christoph Willibald Gluck - Orphee et Eurydice (1774 tenor version in French) - No. 1. The Mourning of Eurydice:
Though originally set to an Italian libretto, "Orfeo ed Euridice", Gluck's first step in his reform of the operatic form, owes much to the genre of French opera, particularly in its' extensive use of accompanied recitative and a general absence of vocal virtuosity. In fact, it is generally supposed that Gluck frankly took Rameau's "Castor et Pollux" as his model when he sat down to compose "Orfeo": indeed, the plot of the earlier work has much in common with that of "Orfeo". Therefore, it seems quite fitting that twelve years after the 1762 premiere of the original work, in 1774, Gluck presented his work to the Parisian public, readapting it, in the process. This reworking was given the title "Orphee et Eurydice" which is the version of this ever well-known piece that I want to present in this series of uploads.
The changes, though seemingly insignificant, are actually essential to the work's inner equilibrium. First off, the libretto is given a French translation which does shift some of the accents. Next, and more importantly, the work is greatly expanded, including the addition of a bravura, coloratura-filled aria for Orfeo at the close of Act 1, a more elaborate dance of the blessed spirits and an aria for Eurydice during the Elysium scene; the transformation of the B section of Eurydice's second aria into an intense duettino for the lovers; a penultimate terzet for all three characters and a large ballet for the end of the opera; thus, the work's original omissions are amended with the structure of the piece becoming more logical in the process. Thirdly, the orchestration is changed somewhat: for example, originally each verse of the strophic "Chiamo il mio ben cosi" is accompanied by different solo instruments - flute, horns and English horns - but in 1774 Gluck was required to change this orchestration to that of a single horn and two clarinets. Finally, and even more importantly, the transformation of the originally castrato-voiced Orfeo into the high tenor Orphee, including a more passionate reading than the original. As if that wasn't enough, the present recording, rather controversially, sets the pitch at A=403, a full tone below current pitch, which leads to a further transformation of the work which is especially evident in the baritonal lower notes that the tenor has to approach. All in all, a much different version from the original, and this is where its' interest lies.
There are only three versions of this particular version, one - under Hans Rosbaud with Leopold Simoneau in the title role; a more recent one - the Naxos release with Jean-Paul Fouchecourt; and the one that I am going to use in this case (as it is my only recording of the tenor version of "Orfeo") - Minkowski's 2004 live recording of the work with the following cast:
Richard Croft - Orphee,
Mireille Delunsch - Eurydice,
Marion Harousseau - L'Amour,
Claire Delgado-Boge - Une ombre heureuse.
As per usual, I had to cut some of the music to keep each upload (all in all, ten full postings) under eleven minutes, though I tried to keep these cuts to a minimum: the repeat of the opening chorus and (though I could upload it separately) the ballet sequence which brings the opera its' closure; all the rest of the music is retained.
No. 1. Sinfonia. Berlioz, when creating his own version of the score, went so far as to describe the overture to "Orfeo" as "an unbelievable trifle" ("une niaiserie incroyable") and, truth be told, it seems ironic that the firstborn of Gluck's reform begins with a piece which, though by turns lively, exciting and life-affirming, does not really go that well with the work as a whole. There are, though, more somber sections that come as a hint to the tragedy that is about to unfold but they quickly give way to the strings' unfailingly thunderous melody.
No. 2. Chorus, Dance & Ritournelle - "Ah! dans ce bois tranquille et sombre". The opening scene shows the tomb of Eurydice erected in a grassy valley - a justly famous coup-de-theatre - though this choice comes at the expense of a rather small part for Eurydice and the love of the pair underrepresented from the beginning (even Monteverdi's "Orfeo", where there is, arguably, an even larger part for Orfeo and an even smaller part for Eurydice, gives us an opportunity to see the lovers' symbolic wedding)). Orpheus stands beside it plunged in the deepest grief, while a troop of shepherds and maidens bring flowers to adorn it. The singer's despairing cry of "Eurydice" breaks passionately upon their mournful chorus, and the whole scene, though drawn in simple lines, is instinct with genuine pathos. After a pantomime of Eurydice's death, the chorus slowly leaves over the same melody which is placed strategically to close the scene and to set up Orpheus' first great lament.
[Commento di LindoroRossini, a: Christoph Willibald Gluck - Orphee et Eurydice (1774 tenor version in French) - No. 1. The Mourning of Eurydice
Su: http://www.youtube.com/watch?v=wjtcguzYuZs - il: 10/gen/2009]
Orfeo: Fedora Barbieri Euridice: Hilde Güden Amore: Magda Gabory Coro e Orchestra del Teatro alla Scala Cond:Wilhelm Furtwangler Date: Milano,7.4.1951
Christoph Willibald Gluck, Orfeo ed EuridiceOistrakh plays Gluck "Melodie" from "Orfeo ed Euridice" http://www.youtube.com/watch?v=zFEWK2cBxnQ&NR=1 Christoph Willibald Gluck: "Melodie" from the Opera "Orfeo ed Euridice" "Melodie" from the Opera "Orphée et Eurydice" (A.k.a. "Dance of the Blessed Spirits" Violin: David Oistrakh
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