domenica 10 gennaio 2021

AIETA. Fondazione Convento Aieta 1520. // L'ANGOLO DELLA FOTOGRAFIA. GENOVA-PEGLI. Vedute. Da Molo Antico a Pegli. Battello. Foto di Giovanni Pititto.

AIETA.

Fondazione Convento Aieta 1520.

Nel 1529 l’imperatore Carlo V confiscò a Francesco di Lorya, che si era schierato con i francesi, il feudo di Aieta e ne fece donazione a un non ben precisato Lonquingen e nel 1530 a un certo Stringhen.

Palazzo di Aieta era stato costruito come dimora baronale nel sec. XIII da Riccardo di Loyra o Loria, marito in prime nozze di Palliana di Castrocucco e in seconde nozze di Isabella Lancia (da cui nacquero Riccardo Junior, Ruggero, futuro Ammiraglio, e Ilaria) e rimase proprietà dei Loira con Riccardo Junior e con i figli dell’Ammiraglio Ruggerone, Carlo e Ruggero Berengario che sposò la vedova Giovanna di Tortora (questa in prime nozze aveva sposato Rainaldello Castrocucco da cui era nato Giacomo Castrocucco) da cui nacque Ricciardello di Lorya che ebbe ad Aieta come magistrato ed esattore il fratello uterino Giacomo Castrocucco.

Il feudo passò nel XV secolo al discendente collaterale dei Lorya Tommaso a cui, avendo egli partecipato alla congiura dei baroni  ed essendosi schierato con i Francesi al tempo della venuta in Italia di Carlo VIII, il feudo fu tolto nel 1496 da Ferdinando II a Ferrante che lo concesse a Giovanni De Montibus (il feudo di Aieta comportava il titolo di Barone) e passò alla figlia Margherita che sposò Marcello Colonna, signore di Cirella.

Successivamente per vendita la terra di Aieta passò a Diana Carafa che sposò Francesco di Lorya a cui venne tolto per infedeltà da Carlo V.
Dopo il Loquingen e lo Stringhen, probabilmente Lucrezia, figlia di Francesco, riebbe il feudo che fu venduto all’asta e aggiudicato a Giovanni Villani e di nuovo venduto per 15 mila ducati nel 1534 a Giovanni Battista Martirano, che lo intestò al figlio Bernardino, (Cedolario del 1536, n° 893).

I Martirano tennero il feudo fino al 1571 e per prestigio della famiglia e per adeguarsi alla concezione rinascimentale fecero ristrutturare e ampliare l’antico e mal ridotto castello baronale e crearono, affidando lavori - si deve supporre – ad architetti toscani che allora operavano nel regno di Napoli, il nuovo palazzo con la meravigliosa facciata rinascimentale che è modello unico nell’Italia meridionale.
Altri lavori di restauro, di modifiche nelle strutture esterne e interne, di rifacimento e di sopraelevazione furono effettuati in tempi diversi dai Cosentino che acquistarono il feudo di Aieta nel 1571 per 13 mila ducati e lo tennero fino al 1767.

Si notano chiaramente sulla facciata, indicati dai cornicioni, i segni della sopraelevazione effettuata, per ragioni di peso, con materiali tufacei, specialmente nella parte sovrastante il loggiato dove venne creato anche un arco in mattoni a sesto ribassato". 
[Da: Francesco MANDARANO -15/06/2020 17:28]




L'ANGOLO DELLA FOTOGRAFIA. 
GENOVA-PEGLI. Vedute. Da Molo Antico a Pegli. Battello. 
Foto di Giovanni Pititto.

"Antico, sono ubriacato dalla voce
ch'esce dalle tue bocche quando si schiudono
come verdi campane e si ributtano
indietro e si disciolgono.
La casa delle mie estati lontane,
t'era accanto, lo sai,
là nel paese dove il sole cuoce
e annuvolano l'aria le zanzare.
Come allora oggi in tua presenza impietro,
mare, ma non piú degno
mi credo del solenne ammonimento
del tuo respiro. Tu m'hai detto primo
che il piccino fermento
del mio cuore non era che un momento
del tuo; che mi era in fondo
la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso
e insieme fisso:e svuotarmi cosí d'ogni lordura
come tu fai che sbatti sulle sponde
tra sugheri alghe asterie
le inutili macerie del tuo abisso."

(Montale, “Ossi di seppia” – Mediterraneo).
 
190.



Progetto Parzifal
Dolci Presenze del Viandante seguono l'Ombra in questo Silenzio popolato di Assenza.

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Blog a cura di Giovanni Pititto 
(E-mail: 
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sabato 9 gennaio 2021

GIUSPATRONATO E IUS PRESENTANDI. L_ANGOLO DELLE FOTO: Genova-Sestri. Vedute. Epigrafi. 1895. 1899. 1907.


Giuspatronato
"Il giuspatronato [dalla locuzione latina ius patronatus, «diritto di patronato»] è un istituto giuridico esistito in passato che si applicava a un beneficio ecclesiastico. In particolare riguardava la relazione tra il beneficio (un altare all'interno di una chiesa, o anche una chiesa parrocchiale) e colui (soggetto collettivo o persona fisica) che aveva costituito la dote patrimoniale del beneficio stesso. Con tale diritto, ad esempio, coloro che dotavano un altare o una cappella, disponevano anche del beneficiato. Nel caso di una chiesa, chi ne promuoveva la costruzione ne diventava “patrono” e aveva il diritto di nominare il sacerdote, cui avrebbe assicurato il sostentamento".
Il patrono aveva il dovere di mantenere buona la funzionalità del beneficio e spesso anche quello di garantire uno stipendio al parroco ed ai suoi collaboratori".

"Il giuspatronato garantiva sostanzialmente ai suoi detentori tre diversi privilegi [1]:
l'onore (consistente nell'obbligo da parte dei rettori di recitare preghiere particolari per la salute spirituale del patrono e dei suoi familiari);
la pensione (se il patrono era laico aveva diritto a riscuotere le rendite del beneficio);
la presentazione del rettore (lo ius patronatus era associato allo ius presentandi cioè il diritto da parte della famiglia di presentare il sacerdote o il chierico adatto ad essere "investito", cioè a possedere il beneficio).
Di fatto, secondo il diritto consuetudinario, il giuspatronato era una "cosa": poteva essere frazionato in quote, poteva essere trasmesso ai successori legittimi, oppure donato (la vendita invece era vietata)".

***
GIUSPATRONATO.
Le origini di questo istituto di diritto canonico risalgono -pare - intorno al Mille. Caratterizza i rapporti tra nobiltà e curia. Termini sinonimi e promiscui: patronato, beneficio, cappella, cappellania, altare.
L’istituto testimonia di una consuetudine di prestigio e di potenza tra le classi sociali del feudo o della provincia. 
onsiste in «quel complesso di privilegi e di oneri che per concessione della Chiesa spettavano ai fondatori di una chiesa, di una cappella o di un beneficio oppure a coloro che dai fondatori ne ripetessero legittimamente il diritto» (F. von Lobstein). 

Il giuspatronato si estrinsecava nel cosiddetto "jus presentandi et nominandi", al quale ben spesso si accoppiava lo "jus sepeliendi": il patrono aveva il diritto, cioè, di presentare all’autorità ecclesiastica locale il sacerdote, sovente della stessa famiglia del presentatore, che egli desiderava fosse preposto all’officiatura e di nominarlo all’officio, fatta salva, beninteso, l’approvazione vescovile che disolito non veniva negata. Lo jus sepeliendi era il diritto per il fondatore diessere sepolto, talvolta con i suoi antecessori, sempre con i discendenti, nel sepolcreto familiare la cui cella era praticata nell’ipogeo. Generalmente ledotazioni venivano elargite in eterno e non di rado accresciute dagli eredi.Altro diritto del patrono era quello di «ottenere dai redditi della chiesa o delbeneficio gli alimenti, nel caso cadesse, non per colpa sua, in povertà»(F.v.L.); altri diritti ancora erano quelli di apporre nella chiesa il propriostemma, di precedere gli altri laici nelle processioni e di godere di un postodistinto nell’ambito della cinta ecclesiale. I giuspatroni, quando possono,presentano all’Ordinario chierici della propria famiglia, i quali cosìaggiungono i cespiti beneficiali al reddito tratto dal patrimonio ecclesiasticoche veniva costituito a loro favore all’atto della tonsura con la contestualerinuncia ad eventuali eredità. Il giuspatronato, che ha avuto vitaplurisecolare, da tempo si è estinto quasi dovunque, soprattutto per il venirmeno dei redditi che ne assicuravano l’esistenza. Di questa realtà il Codicecanonico ha giustamente preso atto vietando la costituzione di nuovi diritti dipatronato: «è cessata così fortunatamente una singolare ingerenza laica nelconferimento dei benefici ecclesiastici» (F.v.L.). Nei ‘Bollari dei vescovi diGerace’ figurano casi di rinuncia da parte di sacerdoti che avevano avutiassegnati i benefici, motivati da «inimicizie che ne mettono in pericolo lavita» (p. 65), o più spesso per “incompatibilità”, o ancora più spesso privi dimotivazione. [Bibliografia. – "Bollari dei vescovi di Gerace", a cura di Franz von Lobstein con una saggio introduttivo di Giuseppe Sorge, Chiaravalle Centrale, edizioni effeemme, 1977, pp. 29-42]. 
[A. CARACCIOLO, "Dizionario", ad voc.]

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Franz von Lobstein ("Settecento calabrese", vol. I) enumera fra le fontes honorum nobilitanti l’istituto del “giuspatronato” che così definisce:
"Quel complesso di privilegi e di oneri che, per concessione della Chiesa, spettavano al fondatore di una chiesa, di una cappella o di un beneficio oppure a coloro che dai fondatori ne ripetessero legittimamente il diritto. Per fondatori si devono intendere, con coloro che abbian donato il suolo edificatorio, anche coloro che abbiano costituito un reddito perpetuo a favore della istituzione, familiarmente detti «donanti». Il Giuspatronato si estrinsecava nel cosiddetto «jus presentandi et nominandi», cui si aggiungeva ben spesso lo «jus sepeliendi». Aveva, cioè, diritto il patrono di presentare all’autorità ecclesiastica locale (l’Ordinario) il sacerdote, spesso appartenente alla famiglia del presentatore, che egli desiderava fosse preposto all’officiatura e di nominarlo all’officio, fatta salva, beninteso, l’approvazione vescovile che di solito non era negata. Per quanto ha tratto allo jus sepeliendi esso era il diritto per il fondatore di esser sepolto, talvolta con i suoi antecessori, sempre con i suoi discendenti, nel sepolcreto familiare la cui cella era praticata nell’ipogeo. Diritti comuni erano ancora per il patrono ottenere dai redditi della chiesa o del beneficio gli ali-menti nel caso cadesse, non per colpa sua, in povertà, di porre nella chiesa il proprio stemma, di precedere gli altri laici nelle processioni e di godere di un posto distinto nell'ambito della cinta ecclesiale. Ancor oggi a chi vada alla ricerca di notizie sull’esistenza o meno di «status» nobiliare relativo ad una determinata famiglia incombe l’obbligo di riguardare con particolare considerazione la titolarità di «giuspatronati» familiari".

"Questo istituto, per la sua natura e per i costi che comportava, era in effetti un privilegio di appannaggio della nobiltà in quanto «la legge canonica e gli usi del Regno non concedevano anticamente [i patronati] che ai patrizi indigeni o aggregati» (cfr. A. SALMENA, Morano calabro e le sue case illustri, Milano 1882). Tale asserzione è valida almeno fino al secolo XVII in ambito rurale, quando acquistò peso nella società il ceto degli “onorati” o della ricca borghesia".

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https://www.jstor.org/stable/43778065?seq=1

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https://istituzionidirittoeconomia.eu/jean-paul-de-jorio-il-popolo-di-dio-e-le-sue-incerte-tutele-linconciliabile-rapporto-tra-diritti-fondamentali-ed-ordinamento-canonico-tra-jus-patronatus-e-jus-presentandi-oggi-a-proposito/
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http://www.iagiforum.info/viewtopic.php?p=56397
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http://archivi.beniculturali.it/dga/uploads/documents/Saggi/Saggi_85.pdf
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http://paduaresearch.cab.unipd.it/6364/1/vol._I_tesi_sara_calore.pdf
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https://www.gravinaoggi.it/famiglie-e-alberi-genealogici.html
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https://books.google.it/books?id=VEVtuUX1fgEC&pg=PA8-IA24&lpg=PA8-IA24&dq=lo+ius+presentandi&source=bl&ots=vWZPg6T7Fw&sig=ACfU3U3JHeZ4xO_VUyZHNMrL98sEzOTzHg&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwjV5crj7I7uAhUR3KQKHZf9BC8Q6AEwJXoECGwQAg#v=onepage&q=lo%20ius%20presentandi&f=false
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https://www.google.com/search?q=lo+ius+presentandi&oq=&aqs=chrome.0.69i59i450l8.351642146j0j15&sourceid=chrome&ie=UTF-8

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L'ANGOLO DELLE FOTO: 

GENOVA-SESTRI. Vedute. Epigrafi. 1895. 1899. 1907.

Foto di Giovanni Pititto


GENOVA-SESTRI. Epigrafe 1895. 
Foto di Giovanni Pititto
(Per dimensioni maggiori ved. sotto)
GENOVA-SESTRI. Epigrafe 1899. 
Foto di Giovanni Pititto
(Per dimensioni maggiori ved. sotto)

GENOVA-SESTRI. Epigrafe. 1907.
Foto di Giovanni Pititto
(Per dimensioni maggiori ved. sotto)




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Genova-Sestri. Vedute. Epigrafi. 1895. 1899. 1907.

Foto di Giovanni Pititto


GENOVA-SESTRI. Epigrafe 1895. 
Foto di Giovanni Pititto
GENOVA-SESTRI. Epigrafe 1899. 
Foto di Giovanni Pititto
GENOVA-SESTRI. Epigrafe. 1907.
Foto di Giovanni Pititto





Dolci Presenze del Viandante seguono l'Ombra in questo Silenzio popolato di Assenza. 

Viaggiare. Dentro. Fuori. 

Occhi. Lago di Nuvole.



(Blog a cura di Giovanni Pititto)
(E-mail: giovanni_pititto@libero.it
  

venerdì 8 gennaio 2021

Beneficio ecclesiastico

Beneficio ecclesiastico

Da Cathopedia, l'enciclopedia cattolica.
Il beneficio ecclesiastico è un istituto giuridico risalente ai tempi del feudalesimo, costituito da un patrimonio con relativo reddito, connesso a un ufficio ecclesiastico, di cui fruiva il detentore dell'incarico per assicurarsi il mantenimento. Alla morte del fruttuario, colui che aveva fondato il beneficio procurandone la dote, i beni passavano alla Chiesa ed erano amministrati normalmente dal vescovo.

Con l'acquisizione del beneficio l'autorità ecclesiastica competente ne deteneva la libera collazione, cioè il diritto di conferimento del beneficio. Questa era il modo ordinario di provvista del beneficio ecclesiastico ancora sancito nel Codice Piano Benedettino del 1917. Il papa, in virtù del suo primato di giurisdizione, deteneva il diritto di conferire i benefici nella Chiesa universale e di riservarsene la collazione; i cardinali nell'ambito del loro titolo o della loro diaconia, e gli ordinari nel loro territorio[1].

L'istituto fu oggetto di una vasta normativa da parte della Chiesa che creò un vasto corpo giuridico volto a regolarne i vari aspetti della complessa materia che forniva ai presbiteri la primaria fonte di sostentamento. A partire dal XIX secolo questo istituto perse gradatamente importanza per gli importanti mutamenti intervenuti nella società occidentale, in particolare con la fine delle forme di governo assolutiste e con la creazione degli stati moderni non più retti su principi feudali.

Nel conferimento di un beneficio ecclesiastico si distinguono tre elementi:

  • 1) la designazione del beneficiario (ius ad rem): tale atto può essere compiuto dai parrocchiani e dal patrono (diritto di patronato) rispetto al parroco, dal capitolo cattedrale rispetto al vescovo;
  • 2) la institutio canonica fatta dal legittimo superiore, che conferisce il diritto nella cosa (ius in re), ossia il reale diritto sul beneficio e la vera giurisdizione spirituale;
  • 3) l'investitura, ossia l'installazione, per cui il beneficiato prende attuale possesso del beneficio o personalmente o per procuratore.[2]

Mentre agli inizi del XX secolo nel Codice Piano Benedettino trovava ancora una ampia trattazione, nell'attuale Codice di Diritto Canonico nel capitolo dedicato ai beni temporali della Chiesa, trova menzione solo nel Can. 1272:

«Nelle regioni dove ancora esistono benefici propriamente detti, spetta alla Conferenza Episcopale regolarne il governo con norme opportune concordate con la Sede Apostolica e dalla medesima approvate, così che i redditi e anzi per quanto è possibile la stessa dote dei benefici siano poco a poco trasferiti all'istituto di cui al ⇒ can. 1274, §1 »
«Can. 1274 - §1. Nelle singole diocesi ci sia un istituto speciale che raccolga i beni o le offerte, al preciso scopo che si provveda al sostentamento dei chierici che prestano servizio a favore della diocesi, a norma del ⇒ can. 281, a meno che non si sia provveduto ai medesimi diversamente. »

Origini

Nell'impero romano con beneficium si indicava la terra che l'imperatore concedeva ai soldati che si erano distinti per merito, affinché ne traessero sostentamento.

Agli inizi del V secolo dall'uso civile passò nella Chiesa e indicò i beni stabili che venivano assegnati agli ecclesiastici per il sostentamento del loro ministero. Questo uso si moltiplicò con il cambiamento intervenuto nella vita degli ecclesiastici, che nei primi secoli facevano vita comune e i frutti dei beni posseduti erano goduti comunitariamente e l'amministrazione di questi beni era affidata al vescovo, per passare a poco a poco a uso individuale. Inizialmente con affidamenti, a discrezione, per quei chierici che servivano la Chiesa in luoghi lontani, ma poi divenuta modalità comune in tutta la Chiesa cattolica.

A partire dal X secolo sorsero normative che codificarono il diritto di percepire le rendite ecclesiastiche. Se la rendita era frutto di un bene particolare era detta beneficio, se era il salario concesso a un chierico era detta prebenda o congrua.

Il concilio di Trento prescrisse il concorso per il conferimento dei benefici parrocchiali (sess. XXIV, cap. 18 de ref.). La forma di esso fu con chiarezza e precisione determinata da papa Pio V con la costituzione apostolica In conferendis del 18 marzo 1567 e da papa Clemente XI con l'istruzione della Congregazione del Concilio Quo parochiales pubblicata per ordine espresso del detto pontefice il 10 gennaio 1721 e in seguito da papa Benedetto XIV con la costituzione Cum illud del 14 dicembre 1742.

Con i concordati stipulati dai papi con le singole nazioni a partire dal XIX secolo la Santa Sede cedette al potere politico, in non pochi casi fino al XX secolo, il diritto di conferire benefici ecclesiastici fuori dallo Stato pontificio.[3]

Tipologie

I beni ecclesiastici potevano essere perpetui o revocabili e si distinguevano in benefici "concistoriali" (nella terminologia del Codex) o "maggiori" (nella dottrina). Questi benefici potevano essere creati, mutati e soppressi solo dal papa e da lui conferiti in concistoro, che regolavano i patrimoni dei vescovadidecanatiprepositure nullius dioecesispievanati.

I benefici "non concistoriali" o "minori" erano creati e conferiti di regola dai vescovi, salvo nel caso di dignità capitolari, per cui era competente il papa.[4].

I benefici potevano essere "semplici" (sine cura) o "residenziali" con cura delle anime. I benefici "semplici" comportavano la sola recita dell'ufficio divino e spesso la celebrazione di un determinato numero di messe, normalmente in suffragio per le anime del purgatorio.

I benefici "residenziali" reggevano le parrocchiecanonicati ecc., con obbligo per il sacerdote della residenza.

Il presbitero poteva usufruire di più benefici ecclesiastici "semplici", purché non presenti nella stessa chiesa, mentre poteva usufruire dei frutti di un solo beneficio "residenziale".

I benefici potevano essere "secolari", se goduti da chierici secolari, oppure "regolari" se amministrati dai monaci.

Con i concordati stipulati dai papi con i vari Stati a partire dal XV secolo la Santa Sede cedette ai poteri d'Oltralpe, in non pochi casi fino al XX secolo, il diritto di conferire benefici ecclesiastici fuori d'Italia.

Giuspatronato

Il giuspatronato è il diritto di patronato sul beneficio ecclesiastico, riconosciuto giuridicamente dalla Chiesa e spettante a costitutore della dote patrimoniale del beneficio alla fondazione con diritto di successione. Questo diritto poteva essere ecclesiastico, fornito da enti, ordini o persone ecclesiastiche (come un monastero maschile o femminile, un capitolo canonicale, un pievanato etc.), oppure laicale. In quest'ultimo caso la tipologia dei possessori era assai vasta: sovrani, feudatari, città o comunità rurali, parrocchiani, luoghi pii, associazioni (corporazioni di arti e mestieri, confraternite e compagnie devozionali), vicinie o vicinati (aggregati di residenti in proprietari del terreno su cui sorgeva il luogo sacro), famiglie (intese come corpi unitari, i cui patrimoni e i cui diritti non erano trasmessi o ceduti a persone estranee al casato), singoli privati (a carattere ereditario, sia per intero indiviso, sia per quote parti). Col passare dei secoli, poi, a seguito di successioni ereditarie, di donazioni e persino di vendite (giuridicamente vietate) divennero assai frequenti i patronati misti fra le famiglie, gli enti, i parrocchiani ecc. La stretta relazione, esistente fra la costituzione della dote beneficiale e il riconoscimento del giuspatronato, produceva un legame altrettanto stretto fra la proprietà della dote e il possesso del giuspatronato: spesso il giuspatronato seguiva il destino del patrimonio beneficiale come un diritto accessorio, goduto da chi deteneva i beni dotali del beneficio.

Il giuspatronato garantiva sostanzialmente ai suoi detentori tre diversi privilegi:

  • L'onore consistente nell'obbligo per i detentori di questi benefici di recitare l'ufficio o delle messe per la salute spirituale e per il benessere dei patroni e dei loro familiari, che fruivano di uno stallo chiuso, una panca o degli sgabelli propri dentro la chiesa.
  • La pensione alimentare a favore dei patroni laici, ma solo se questi erano dei privati, gravava sulle rendite del beneficio in caso di loro miseria, valutata in relazione al tenore di vita ritenuto consono alla propria condizione sociale.
  • La presentazione del beneficiario che doveva avvenire entro un tempo determinato (tre o quattro mesi per i laici, sei mesi per gli ecclesiastici) pena la decadenza dal godimento di questo diritto per quella volta.

Di fatto, secondo il diritto civile consuetudinario il giuspatronato era una "bene": frazionabile in quote, era posseduto, ereditato, donato, venduto (anche se non formalmente, altrimenti si sarebbe trattato di simonia) e persino affittato (nei casi estremi ma non rari di nomina con riserva di pensione). Infine a questa forma di "patronato attivo" è da aggiungere l'esistenza di norme o pratiche di "patronato passivo", cioè del diritto degli appartenenti a una nazione, a una comunità, a una corporazione oppure a una stirpe familiare a essere eletti a preferenza di estranei. Con il passare dei secoli questo patronato passivo divenne sempre più determinante soprattutto in caso di contrasto fra più eletti, inducendo a preferire l'eletto ex sanguine patronorum anche a danno di candidati più e meglio qualificati.[5]

Note
  1. Salta Cesare Burgazzi op. cit.
  2. Salta Pietro Parente 2012, op. cit.
  3. Salta cfr. Umberto Ratti 1930, op. cit.
  4. Salta cfr. Gaetano Greco op. cit.
  5. Salta cfr. Gaetano Greco op. cit.
Voci correlate
Collegamenti esterni



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