domenica 20 febbraio 2011

Arnold Böcklin, Toteninsel (L'Isola dei Morti), 1880. "Lei potrà sognando inoltrarsi nell'oscuro mondo delle ombre finchè le sembrerà di percepire il leggero alito che increspa il mare, e avrà timore di disturbare il solenne silenzio con una parola espressa a voce alta..." ( 29 Aprile 1880. A. Böcklin, alla committente Marie Berna).

Memorie. Colme di Cassetti. 01

Arnold Böcklin, Toteninsel (L'Isola dei Morti), 1880, Olio su tela, 111x155. Firmato in basso a sx: A B. Basilea, Kunstmuseum (Inv. n° 1055). - Bibl. Christ (154); Andree (343).
Il quadro, dipinto a Firenze, è pervenuto al Museo <di Basilea> nel 1920, dopo vari passaggi. E' la prima versione della serie della Toteninsel, il motivo più famoso e celebrato dell'artista. Di questo soggetto esistono cinque versioni:
- la seconda (1880) si trova al Metropolitan Museum di New York,
- la terza (1883)
- e la quarta (1884)
risultano disperse, e l'ultima redazione (1886) è conservata a Lipsia (Museum der Bildenden Kunste).
E' nota la circostanza che originò il dipinto. Marie Berna, visitando a Firenze nel 1880 lo studio del pittore gli aveva richiesto "un quadro per sognare...".
Böcklin cominciò a lavorare al primo dipinto, poi si interruppe, e incominciatone un secondo lo terminò in breve tempo.

Ivi: Lei potrà sognando inoltrarsi nell'oscuro mondo delle ombre finchè le sembrerà di percepire il leggero alito che increspa il mare, e avrà timore di disturbare il solenne silenzio con una parola espressa a voce alta..."
( 29 Aprile 1880. A. Böcklin, alla committente Marie Berna).

Note da: AA.VV. Arnold Böcklin e la Cultura artistica in Toscana, Fiesole, Palazzina Mangani 24 luglio - 30 settembre 1980, De Luca Editore, scheda pp. 102-3.

I.


II.


III.


V.




Versioni
Toteninsel, 1880. Prima versione (Basilea).
Toteninsel, 1880. Seconda versione (New York).

Toteninsel, 1883. Terza versione (Dispersa).

Toteninsel, 1884. Quarta versione (Dispersa).

Toteninsel, 1886. Quinta versione (Lipsia).











 





Sergey Rachmaninov - The Isle of the Dead, Op. 29 (part 1/2). St. Petersburg Philharmonic Orchestra, conducted by Mariss Jansons.
http://www.youtube.com/watch?v=N10YZ2Sk3Kg&NR=1




Sergey Rachmaninov - The Isle of the Dead, Op. 29 (part 2/2). St. Petersburg Philharmonic Orchestra, conducted by Mariss Jansons.
http://www.youtube.com/watch?v=zn0L9-vxv0g&feature=related












Img 01-05 desunte da: http://it.wikipedia.org/wiki/L'isola_dei_morti_(dipinto)
 I.

Gustav Mahler, Symphony No.1 in D Major "Titan" III.Funeral March (A) http://www.youtube.com/watch?v=WVsLCzSK7Rs&feature=related
Music composed by Gustav Mahler. Michael Tilson Thomas; San Francisco Symphony Orchestra.

Sergey Rachmaninov - The Isle of the Dead, Op. 29 (part 1/2). St. Petersburg Philharmonic Orchestra, conducted by Mariss Jansons.http://www.youtube.com/watch?v=N10YZ2Sk3Kg&NR=1


Sergey Rachmaninov - The Isle of the Dead, Op. 29 (part 2/2). St. Petersburg Philharmonic Orchestra, conducted by Mariss Jansons.http://www.youtube.com/watch?v=zn0L9-vxv0g&feature=related


Richard Wagner, Tristan und Isolde - Prelude.
Zubin Mehta conducting Bayerische Staatsoper Bayerisches Staatsorchester (National Theatre
Munich)

http://www.youtube.com/watch?v=fktwPGCR7Yw&feature=related

Richard Wagner, Siegfried funeral march. 
http://www.youtube.com/watch?v=L8wHteSOwW4



Richard Wagner - Die Walküre - Inicio primer acto. http://www.youtube.com/watch?v=lpJj9c2OV-0&NR=1



Richard Wagner - Die Walküre: "The Ride of the Valkyries" (Boulez)
http://www.youtube.com/watch?v=1aKAH_t0aXA&feature=related



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Progetto 
LOSFELD:
Nello sfondo, sulla sponda di un Mare nero, riconosco me stesso, una figurina minuscola che pare disegnata col gesso. Questo è il mio posto d'avanguardia, sull'Estremo Limite del Nulla: sull'orlo di quell'Abisso combatto la mia battaglia. (Ernst Jünger)



Ad una Naumachìa di barchette dorate affidiamo Ricordi.


"Godi se il vento ch'entra nel pomario / vi rimena l' ondata della vita: / qui dove affonda un morto / viluppo di memorie, / orto non era, ma reliquario. / Il frullo che tu senti non è un volo, / ma il commuoversi dell'eterno grembo; / vedi che si trasforma questo lembo / di terra solitario in un crogiuolo. / [p.16] Un rovello è di qua dall’erto muro./ Se procedi t’imbatti/ tu forse nel fantasma che ti salva: / si compongono qui le storie, gli atti/ scancellati pel giuoco del futuro./ Cerca una maglia rotta nella rete/ che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!/ va, per te l’ho pregato, - ora la sete/ mi sarà lieve, meno acre la ruggine…"
(Eugenio Montale, Ossi di Seppia - In Limine, Mondadori, XV Ediz., 1962 [s.l.st.], pp. 14-16).

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http://parzifalpurissimo.blogspot.com/ - a cura di Giovanni Pititto
(E-mail: parzifal.purissimo@gmail.com




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Michelangelo Merisi da Caravaggio, detto Il Caravaggio.Le opere qui in esame risultano caratterizzate da quel profondo senso di angoscia di morte che sembra essere stata l’ossessione esistenziale dell’artista in tali ultimi anni della propria vita.

Caravaggio. Le opere qui in esame appartengono a tale difficile periodo: del soggiorno maltese, di quello siciliano, del secondo soggiorno napoletano. E risultano tutte caratterizzate da quel profondo senso di angoscia di morte che sembra essere stata l’ossessione esistenziale dell’artista in tali ultimi anni della propria vita.


Memorie XXX. Colme di Cassetti.

CARAVAGGIO
Le opere qui in esame appartengono a tale difficile periodo: del soggiorno maltese, di quello siciliano, del secondo soggiorno napoletano. E risultano tutte
caratterizzate da quel profondo senso di angoscia di morte che sembra essere stata l’ossessione esistenziale dell’artista in tali ultimi anni della propria vita.

Che poi ne acuì, nella leggenda che circonda la biografia, l’immagine a volte distorta – di “pittor maledetto” e di “pittor ribelle”.  Distorsione che si registra ben sino al 1951-52, quando, a seguito di importanti studi di Roberto Longhi, che anche ne curò una importante mostra, la nera leggenda intorno all’uomo si intersecò con evidenti incomprensioni e distorsioni anche della vicenda artistica. 

Già le fonti del periodo stesso dell’artista: Baglione, Mancini, Bellori, pur essendo preziose poiché dettagliate sulla vita ed opere, ne risultano nei giudizi fortemente tendenziose.

Nel periodo successivo si registra un vero e proprio silenzio, in merito ad ogni approfondimento sulla figura ed opera di Caravaggio.

Il merito del Longhi è quindi notevole, avendoci restituito sia l’artista nella sua sofferta dimensio ne umana, sia in quella – eccelsa – del valore e spessore artistico.

Dal 1952, quindi, gli studi sul Caravaggio risultano numerosi.

Con specifico riferimento alle tre opere in esame si individueranno quindi quegli elementi attinenti al loro principale portato simbolico: l’ansia e la speranza per una pronta grazia, l’angoscia e la disperazione nella cupa attesa, il sentimento cristiano – di un cristianesimo difficile, di protesta, evangelico – a cui insistentemente nelle tre opere s’appella  nell’invocare il perdono.

Ma per pervenire a questo, è necessario ripercorrere alcuni tratti e della leggenda e del suo sfatamento.

I primi suoi contatti con gli ambienti innovativi (riformati) del cristianesimo lombardo, a loro volta eredi di una lunga tradizione di fermenti medievali, tesi a rinnovare la Chiesa in funzione evangelica, si registrano già nei primi anni della formazione: 1584-1592.

E’ nel periodo romano, specie dopo il primo difficile inserimento, che, al servizio del cardinale Del Monte, la sua produzione si scontra con una critica abituata al gusto celebrativo e delle grandiose rappresentazioni. E’ già un pittore di frontiera. Una tendenziosa e distorta critica da lì a poco lo presenterà quale artista insofferente alle convenzioni, e ribelle. E con ciò si intende alle regole dell’accademica maniera. 

Nelle opere di questo periodo, già Caravaggio innova fortemente sia le categorie dei soggetti rappresentabili, sia il modo stesso della raffigurazione. Supera anche il proprio naturalismo lombardo, concentrandosi non già su una generale “naturalità e veridicità raffirativa del soggetto”, bensì su di una potenza espressiva che si concentra su pochi sceltissimi elementi tratti dal vero.

E’ appunto la frequentazione degli ambienti culturalmente raffinati del suo mecenate e committente: Del Monte, che gli offre quel bagaglio di temi e di riferimenti a far sì che la produzione di questo periodo ne risulti non una semplice copia della realtà, bensi un filtrare l’aspetto della realtà attraverso un animo fortemente emotivo.

E’ dunque un approccio a quella caratterizzazione di arte fortemente simbolica e piena di riferimenti culturali, che da lì innanzi sempre più sviluppò. La tradizione di un Caravaggio semplice, a volte popolaresco, erede di certo tratto “deformante” del naturalismo lombardo è quindi ormai del tutto accantonata.

Nelle sue opere si vede una grande tensione morale, un piano di idee, certo a volte disorganizzato, ma ciò è una delle conseguenze – anche – della vita non certo regolata in cui ebbe più volte a dibattersi.

La produzione degli anni 1595-96 è quindi importante, poiché basilare per tutto un suo successivo sviluppo:
-  studio della classicità ma trattata con un abbassamento dei suoi valori in una resa pittorica che non li elegge a modello, contrariamente all’uso imperante di ritenerla sublime e di raffigurarla idealizzata;
-  metodo di concentrarsi su particolare resa luministica di alcuni effetti, su di essi portando a concentrarsi l’attenzione dello spettatore;
-   porre in primo piano le allegorie riguardanti i sensi, ma in tono minore, approfondendo l’analisi sul mondo dei semplici e dei reietti; cosa che il mondo aulico, celebrativo, accademico, dell’epoca, completamente respingeva anche quale solo concetto;
-  approfondimento, man mano, di una sempre maggiore intima riflessione dell’ordine morale delle cose, della vita, della società;
-  sviluppo, sempre maggiore, di allegorie evangeliche, ma sempre viste in una ricerca di dialogo con quella Chiesa ufficiale che ormai aveva ridotto la religione a formule e gesti; è forte la richiesta di Caravaggio, nelle sue opere, che tale Chiesa si riformi; e che si modelli anche sui poveri e sui reietti, non solo sui ricchi e potenti; è il famoso quanto antico problema se la Chiesa doveva essere povera, o ricca; il che niente altro voleva dire se dei ricchi o anche dei poveri;
-  perfezionamento, ultima fase, in connessione con la sempre richiesta di perdono, dei cicli pittorici in cui è evidente il messaggio dell’artista in merito all’importanza dell’amore divino, e delle sua misericordia.

Barberini.

1.
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Giuditta che decapita Oloferne, 1598-1599; Olio su tela, cm 145x195. Roma, Galleria nazionale di arte antica, Palazzo

L’OPERA
L’opera proviene dalla raccolta romana dei marchesi del Grillo. Poi nella collezione Vincenzo Coppi. 
La critica da tempo discute sulla sua attribuzione al Caravaggio. Fonte principale ne è il Baglione, che nel 1642 così scrisse: “ Colorì una Giuditta che taglia la testa ad Oloferne, per i signori Costi.”
La stessa data di esecuzione non è certa: per alcuni 1594-95; 1595-96; per altri 1598-99.
Alcuni si discostano dall’attribuirla al Caravaggio per la plateale violenza della raffigurazione; particolarmente nella vistosa ferocia del gesto.
Altri invece del Maestro in tutto lo indicano, basandosi sugli elementi del ritmo compositivo: serrato; la caratteristica tipicamente caravaggesca di trattare il nudo; le fisionomie, tipiche nei volti dei dipinti caravaggeschi; specialmente il cupo tendone, che, quasi sangue raggrumato molto anticipa quello della Morte della Vergine.
D’altro canto non a molto serve un parallelismo del volto di Giuditta con quello di S.Caterina e della Maddalena, considerato che anche di queste due opere non è del tutto certa l’attribuzione. 
Ciò che è certo è il completo superamento del momento della raffigurazione di un naturalismo dolce e soffuso, elegiaco, in Caravaggio, per pervenirsi da parte di questi al punto centrale del dramma: l’orrore. 



2.
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Decollazione del Battista, 1608;olio su tela; m 3,61x 5,20. La Valletta, Cattedrale di S. Giovanni.

L’OPERA

Eseguita per la maltese Compagnia della Misericordia, la tela è l'unica in cui compaia la firma dell'autore, purtroppo lacunosa: “f(rà) Michel Angelo”. 

Ed è proprio il ricordo della personale situazione in cui si trovava l’artista: braccato dai sicari dei nemici che aveva in Roma, e per mano di cui poi fu in Napoli gravemente ferito, che l’osservare la sua firma, vergata nello stesso rosso del sangue che sgorga dalla gola del Battista decollato, a suscitare un inevitabile senso d’angoscia; quasi che avesse presagito la sua prossima fine. 
Collocata nell'oratorio della Compagnia, la tela ha grandi dimensioni: m. 3,61x 5,20. 

Pur lontana dai grandi centri, venne visitata e studiata da molti artisti del '600. Il Bellori la descrisse accuratamente, quale:  
“Laonde  (dopo averne dipinto il ritratto) questo signore (Alof de Wignacourt) gli donò in premio la croce, e per la chiesa di San Giovanni gli fece dipingere la Decollazione del Santo caduto a terra, mentre il carnefice quasi che non l’abbia colpito alla prima con la spada, prende il coltello dal fianco, afferrandolo né capelli per distaccargli la testa dal busto. Riguarda intenta Erodiade, ed una vecchia seco inorridisce allo spettacolo, mentre il guardiano della prigione in abito turco addita l’atroce scempio. In quest’opera il Caravaggio usò ogni potere del suo pennello havendovi lavorato con tanta fierezza che lasciò in mezze tinte l'imprimitura della tela"; ciò è stato comprovato dai restauri avvenuti a Roma nel 1955.

Nella “Decollazione del Battista” l’azione è raffigurata nel suo termine. La violenza, cruda, del carnefice è già passata; il suo effetto raggiunto: la gola è profondamente recisa. La spada ormai deposta; a terra, in una significativa diagonale che, assieme alla positura del braccio ripiegato del carnefice ed al corpo supino del Battista forma un dinamico cuneo compositivo. Che s’affonda verso la parte anteriore sinistra della scena.
Rimane ormai, e con altro evidente simbolismo, il solo gesto di recidere con un coltello gli ultimi brandelli. Del collo, dell’evento, del dramma, della scena. 
E tale coltello, detto “Misericordia”, con cui era uso alleviare le ultime sofferenze procurando la morte, non ad altro allude che alla committenza stessa: la Compagnia della Misericordia. Che generalmente aveva il compito di consolare i condannati a morte.  

E’, anche qui, si suppone, un ulteriore intimistico, drammatico soliloquio dell’artista con la corposità ed il reale stato di pericolo in cui continuamente viveva: quasi uno sperare, od un apertamente chiedere, che una “misericordia” gli venisse, e presto, ad alleviare le sue sofferenze esistenziali d’una vita di fuggiasco: la grazia pontificia. 
Ma se ciò è leggibile, pur nel filtrato mondo simbolista delle compositive allusioni, altro, e di crudo, e di realistica conoscenza del da rappresentarsi pathos di scena, come anche del suo stesso rivedersi in essa, Michelangelo nel dipinto ci racconta.

Le figure, disposte a semicerchio in profondità e in altezza, annegano in un grande senso di vuoto, di stupefatto sgomento impresso allo spettatore. Il cupo interno d’un tetro cortile di carcere è oggetto di un violento rimbalzare di luci sulla decentrata scena principale.
Ma è il risalto della fioca luce, nell’arco a volta che le inquadra posteriormente e nel muro che chiude lo spazio, a suscitarci quell’ansia compartecipativa d’un dover immaginare gli eventi ormai temporalmente cessati. 
Eppure nelle tracce dall’artista lasciate evidenti, è presente tutto il senso dell’accaduto. Il “prima”: cupo, crudo, sanguinolento, di tortura, è ben presente nell’inquietante lunga corda penzolante; e che, raffigurata “mossa”, ancora vibrante di sofferenza, s’inserisce nel grosso anello di ferro alla parete.
La cordicella alle mani del Battista, dietro la schiena, ed il corpo proiettato nella caduta in avanti, sono fin troppo eloquenti. L’avido sguardo dei due galeotti – che quasi “bucano” – il costretto spazio dell’inferriata, è compartecipativo espediente d’un proiettare la dinamica compositiva in un retrostante buio ed ignoto spazio.
E’ la proiezione compositiva della spada, del corpo del carnefice, di quello del Battista. Quasi a bilanciare quella drammaticità dell’anello che “parla”.
Elementi accessori della scena principale sono tre movimenti, tre “linguaggi”, tre artifici: Il barbuto carceriere che con gesto di comando indica il vassoio di Salomé; questa che s’affretta, avida di raccoglierne la testa dell’odiata vittima, a porgerlo. Il volto in penombra; il corpo nella parte superiore solo ritmato dall’avvolgersi delle pieghe della camicia nella raffica di luce.


Unici elementi d’umano, forse, d’un partecipativo, forse, di “misericordioso”, appunto, si hanno e nel gesto inorridito della vecchia che s’avvolge la testa fra le mani, e nelle fitte pieghe della fronte del carnefice stesso. Coerentemente con il raffigurato gesto, e con il descritto mezzo: il pugnale della “misericordia”, è nelle fitte rughe della fronte del carnefice che è dato riscontrare una grande attenzione a ben compiere il gesto. Ed essendo come si è detto il gesto l’affrettare il morire, quindi il far cessare inutili sofferenze, è uno dei pochi elementi umani e pietosi dell’intera scena.
L’insieme è potente. Come altrove, l'illuminazione è determinante: provenendo lateralmente, accresce l'esistenza volumetrica dei protagonisti, li stacca dall'ombra, concentra su di essi lo sguardo rendendo nota una tragica vicenda.


Sono  elementi compositivi che ritroviamo nel “Seppellimento di Santa Lucia”, riprendendo la stessa idea del muro retrostante, ne è ancora accresciuto il significato della mutata concezione compositiva in Caravaggio. (GP)



Contributi






Dell'Orrore. E della Misericordia.

Ma si puo' rimaner sobri dopo aver veduto simili Opere? E averne letto le parole che corredano un riassunto di sentimenti che, in quella fioca luce, la disperazione sopravvive incrociando un complesso gioco di sguardi?

Come proprio in quella Luce, quel frugarle dentro, la Grazia divina che congela posizioni ed espressioni. Fanno orrore queste scene di Morte. Eppure....eppure esercitano oltre che devastazione, una forza inconsueta, un fascino sovrumano. Forse che questo 'palcoscenico' su quale si consuma il Dramma, altro non è che rovesciarsi dalle Tenebre. Da quel buio dello Sfondo, perchè è da lì, che ogni cosa nasce, in quell'angoscia, in quell'impressionante lirismo, l'inquietudine. Padrona e assoluta. Ma stretta, meravigliosamente avvinta, tra le maglie del Destino di Ogni. Non ne possiamo sfuggirgli.

Bellissimo Scritto.


(S., 05.03.11)

Michelangelo. Pietà Rondanini. Milano. Castello Sforzesco.


Memorie. XXVI. Colme di Cassetti. - Michelangelo. Milano. Castello Sforzesco.







Michelangelo, Pietà Rondanini. Milano. Castello Sforzesco.









Bibliografia

1957. L. Goldscheider, Michelangelo, Firenze, 1957;
1957. H. Grimm, Michelangelo, Milano, 1957;
1960. C. de Tolnay, Michelangelo, 5 voll., Princeton, 1960;
1961. J. S. Ackerman, The Architecture of Michelangelo, Londra, 1961;
1961. R. J. Clements, Michelangelo's Theory of Art, New York, 1961;
1964. F. Barbieri, L. Puppi, Tutta l'architettura di Michelangelo, Milano, 1964;
1964. P. Barocchi, Disegni di Michelangelo, Milano, 1964;
1964. F. Hartt, Michelangelo pittore, Milano, 1964;
1964. P. Portoghesi, B. Zevi, Michelangelo architetto, Torino, 1964;
1965. W. Binni, Michelangelo scrittore, Roma, 1965;
1989. M. Jodice, E. Battisti, R. Pacciani, Michelangelo scultore, Napoli, 1989;
1990. G. C. Argan, B. Contardi, Michelangelo architetto, Milano, 1990;
1991. G. Cambon, La poesia di Michelangelo, Torino, 1991.







Milano. Castello Sforzesco, Reperti della Milano romana. Presenze.








Michelangelo, Rime


55
  I' t'ho comprato, ancor che molto caro,
un po' di non so che, che sa di buono,
perc'a l'odor la strada spesso imparo.
Ovunche tu ti sia, dovunch'i' sono,
senz'alcun dubbio ne son certo e chiaro.
Se da me ti nascondi, i' tel perdono:
portandol dove vai sempre con teco,
ti troverei, quand'io fussi ben cieco.





(Michelangelo, Rime, - Edizione Rime di Michelangelo Buonarroti, Bari, Universale Laterza, 1967
testo critico di Girardi).  




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Progetto LOSFELD:
Nello sfondo, sulla sponda di un Mare nero, riconosco me stesso, una figurina minuscola che pare disegnata col gesso. Questo è il mio posto d'avanguardia, sull'Estremo Limite del Nulla: sull'orlo di quell'Abisso combatto la mia battaglia. (Ernst Jünger)














Ad una Naumachìa di barchette dorate affidiamo Ricordi.








Michelangelo Buonarroti


Rime 


 


A Vittoria ColonnaOra in sul destro, ora in sul manco piede /
variando, cerco della mie salute: /
fra ’l vizio e la virtute /
il cor confuso mi travaglia e stanca, /
(5)  come chi ’l ciel non vede, /
che per ogni sentier si perde, e manca. /




Porgo la carta bianca /
a’ vostri sacri inchiostri, /
ch’amor mi sganni e pietà ’l ver ne scriva: /
(10)  che l’alma, da sè franca, /
non pieghi a gli error nostri /
mie breve resto,
(a) e che men cieco viva. /
Chieggo a voi, alta e diva /
donna, saper se ’n ciel men grado tiene /
(15)  l’umil peccato che ’l superchio bene. // (1)


 


(a) Il breve avanzo della mia vita.


 


***


Michelangelo Buonarroti


Rime 


 


In morte di Vittoria Colonna


(1547)


 


Per non s’avere a ripigliar da tanti /
quell’insieme beltà che più non era, /
in donna alta e sincera /
prestata fu sott’un candido velo, /
(b)
(5) ch’a riscuoter da quanti /
al mondo son, mal si rimborsa il cielo./






Ora in un breve anelo, /
anzi in un punto, Dio /
dal mondo poco accorto /
(10) se l’ha ripresa, e tolta agli occhi nostri. /




Nè metter può in oblio, /
benché il corpo sia morto, /
i suo' dolci, leggiadri e sacri inchiostri. /




Crudel pietà, qui mostri, /(15) se quanto a questa il ciel prestava a i brutti, /
s’or per morte il rivuol, morremo or tutti. //
(2)


 



(b) Velo: corpo.



 


 


 


 


(1) Michelangelo Buonarroti - Rime: "Ora in sul destro, ora in sul manco piede". (Michelangelo Buonarroti, Rime. - In: A. Castaldo (a cura di), Michelangelo Buonarroti (1475-1564). Rime, Roma, Oreste Garroni Ed., 1910, p. 29: Madrigali: V. "A Vittoria Colonna, marchesana di Pescara").


 


(2) Id., VI, In morte della medesima (1547), p. 30.


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http://parzifalpurissimo.blogspot.com/ - a cura di Giovanni Pititto
(E-mail: parzifal.purissimo@gmail.com













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Morelli. Domenico Morelli.

Memorie. XX. Colme di Cassetti. Domenico Morelli.













Domenico Morelli, Le tentazioni di S. Antonio.























Bambaja. Gaston de Foix. Milano. Castello Sforzesco.

Bambaja. Gaston de Foix. Milano. Castello.







Memorie. XXV. Colme di cassetti. - Milano. Castello Sforzesco.



















Richard Wagner - Zubin Mehta
Tristan und Isolde - Prelude
http://www.youtube.com/watch?v=fktwPGCR7Yw&feature=related
Zubin Mehta conducting Bayerische Staatsoper Bayerisches Staatsorchester


(National Theatre Munich)
















Bambaja (detto il), Monumento a Gaston de Foix. Gisant. Milano. Castello Sforzesco.















Richard Wagner, Tristan und Isolde - Liebestod - nell'interpretazione di Jessye Norman. Dirigient Herbert von Karajan.

- Uno Splendido Animale Divino. Divinamente Ferito. Ferito a Morte.

http://www.youtube.com/watch?v=c5_r33sCLYY&playnext=1&list=PLBDD837FDD8D38FF4









Bambaja (detto il), Monumento a Gaston de Foix. Gisant. Milano. Castello Sforzesco.


















Richard Wagner - Waltraud Meier,
Tristan - Isolde Liebestod




























Milano, Castello Sforzesco, Reperti della Milano romana. Presenze.


Nel riquadro: Giorgio De Chirico, Gli Archeologi,








Richard Wagner - Herbert von Karajan


Maria Callas, Tristan und Isolde


Callas & Luisa Villa Mezzo Soprano, Orchestra La Scala, Milano,


Herbert von Karajan, Direttore.














Bibliografia



Contributi














"Nello spazio psichico del Losfeld è possibile incontrare (...) l’archetipo di Dioniso, il Dio che danza, primo di tutti i Waldgänger. L’attenzione ossessiva dell’epoca contemporanea ai problemi della sicurezza e della conservazione lo ha allontanato da noi gettandolo nell’ombra, insieme al rischio che sempre lo accompagna. Ma quando incontriamo e riconosciamo dentro di noi il Dio dell’ebbrezza, degli animali selvaggi e delle donne, la vita torna a sorriderci e l’immagine della morte, che si staglia sullo sfondo, non suscita più terrore."
da: 'Losfeld. La terra del Dio che danza', Enrico Borla, Ennio Foppiani Moretti & Vitali, 2005.
Recensione di Paolo Ferliga.

Spero non dispiaccia la citazione. Leggere, vedere, ascoltare il contenuto di questo blog è di sollievo all’Anima. Grazie.


(Euridice alla Luce, 22.03.11)









Segantini. Giovanni Segantini, L'Amore alla Fonte della Vita.







Gustave Moreau, Orphée, 1865, tableau, huile sur bois, peinture à l'huile


Paris, Musée d'Orsay.




(Particolare testa di Euridice) (1)












Contributi a Losfeld

(a cura di E.a.L.)





Sguardi Incrociati.


Molecole del Sentire.





Il Mito di Euridice nella Contemporaneità.





Vibrazioni di una Naumachìa dell'Anima.











Alda Merini





La Presenza di Orfeo (2)





A Paolo Bonomini





Non ti preparerò col mio mostrarmiti


ad una confidenza limitata,


ma perché nel toccarmi la tua mano


non abbia una memoria di presagi,


giacerò nell’informe


fusa io stessa, sciolta dentro il buio,


per quanto possa, elaborata e viva,


ridivenire caos...





Orfeo novello, amico dell’essenza,


modulerai di nuovo dalla cetra


la figura nascente di me stessa.





Sarai alle soglie piano e divinante


di un mistero assoluto di silenzio,


ignorando i miei limiti di un tempo,


godrai il possesso della sola assenza.





Allora, concretandomi in un primo


accenno di presenza,


sarò un ramo fiorito di consenso,


e poi, trovato un punto di contatto,


ammetterò una timida coscienza


di vita d’animale


e mi dirò che non andrò più oltre,


mentre già mi sviluppi,


sapienza ineluttabile e sicura, //


[p. 15] in un gioco insperato di armonie,


in una conclusione di fanciulla...





Fanciulla: è questo il termine raggiunto?


E per l’addietro non l’ho maturato


E non l’ho poi distrutto


delusa, offesa in ogni volontà?





Che vuol dire fanciulla


se non superamento di coscienza?





Era questo di me che non volevo:


condurmi, trascurando ogni mia forma,


al vertice mortale della vita...





Ma la presenza d’ogni mia sembianza


quale urgenza incalzante di sviluppo,


quale presto proporsi


e più presto risolversi d’enigmi!





E quando poi, dal mio aderire stesso,


la forma scivolò in un altro tempo


di più rare e più estranee conclusioni,


quando del mio “sentirmi” voluttuoso


rimase un’aderenza di dolore,


allora, allora preferii la morte


che ribadisse in me questo possesso.





Ma ci si può avanzare nella vita


mano che regge e fiaccola portata


e ci si può liberamente dare


alle dimenticanze più serene


quando gli anelli multipli di noi


si sciolgano e riprendano in accordo,


quando la garanzia dell’immanenza //


[p. 16] ci fasci di un benessere assoluto.





Così, nelle tue braccia ordinatrici


io mi riverso, minima ed immensa;


dato sereno, dato irrefrenabile,


attività perenne di sviluppo.





(25 febbraio 1949)













Giovanni Segantini, L'Amore alla Fonte della Vita (1896). (3)








A Giorgio Manganelli


1.


Alda Merini





La Presenza di Orfeo









No te prepararé mostrándome a ti
en una intimidad ilimitada,
para que, al tocar tu mano,
no tenga una memoria de presagios,
yaceré en lo informe
yo misma fundida, derretida en la oscuridad,
para en lo posible, elaborada y viva,
pueda volver caos…
Orfeo, novel amigo de la ausencia,
modularás de nuevo con tu citara
la figura que nace de mi misma.
te hallarás, parsimonioso y adivino,
en el umbral de un misterio absoluto de silencio,
ignorando mis límites de un tiempo,
Gozarás al poseer la sola ausencia.
Entonces, concretándome en un primer
gesto de presencia,
seré una rama florecida de consenso,
y después, encontrando un punto de contacto,
admitiré una tímida conciencia
de vida de animal,
y me diré que ya no iré más allá,
mientras que tú me desarrollas,
sapiencia ineluctable y segura,
en un juego inesperado de armonías
en una conclusión de muchacha…
Muchacha ¿ese es el término alcanzado?
Y por el revés no lo he madurado
¿no lo he destruido después
decepcionada, ofendida en toda voluntad?
¿qué quiere decir muchacha,
sino superación de la conciencia?
Era esto de mí que no quería:
Llevarme, sin preocuparme de ninguna forma,
al vértice mortal de la vida…
¡Mas la presencia de todas mis facciones
es como urgencia que me empuja a crecer,
súbita propuesta
y aún más súbita resolución los enigmas!
Y cuando después, de mi adherencia misma,
la forma resbaló a otro tiempo
de más raras y extrañas conclusiones,
cuando de mi sentir voluptuoso
quede una adherencia de dolor,
entonces, entonces preferiré la muerte
que confirme en mi esta posesión.
Pero podemos avanzar por la vida
mano que sujeta y antorcha en alto
y también podemos dedicarnos
a los olvidos más serenos
cuando nuestros múltiples anillos
se disuelvan y se retomen en acuerdo,
cuando la seguridad de la inmanencia
nos envuelva en un bienestar absoluto.
Así, entre tus brazos ordenadores
yo me vierto, mínima e inmensa;
hecho sereno, hecho irrefrenable
actividad perenne de evolución.




(25 de febrero de 1949)




















 

 











NOTE










FONTI LETTERARIE


(2) MERINI. Alda Merini, La presenza di Orfeo. (In Ambrogio Borsani, a cura di, Alda Merini. Il Suono dell'Ombra. Poesie e prose 1953 - 2009, Milano, Mondadori, 2010, pp. 14-16).
Si ha occasione di precisare che nel testo a stampa antologico sopra citato la raccolta dei 22 brani poetici recanti il nome di La presenza di Orfeo è dedicata a Ida Borletti e che l'omonima poesia è dedicata a Paolo Bonomini, non a Giorgio Manganelli.


Si ha modo di offrire una versione in lingua spagnola, ove se ne vuole la dedica al Manganelli.

http://www.escritorasyescrituras.com/download/aldamerini.pdf



 )





ICONOGRAFIA





(1) MOREAU. Gustave Moreau, Orphée:



 (1313 x 2069)





(3) SEGANTINI. Giovanni Segantini, L'Amore alla Fonte della Vita (1896).










MUSICOLOGIA - VIDEO - NUOVE TENDENZE

(4) CONSOLI. Di Carmen Consoli, Introduzione a Orfeo, ved. http://www.youtube.com/watch?v=rzrotr2Ygu4







0040. κατάβασις_Orfeo ed Euridice_Contributi.


Gustave Moreau, Orphée, 1865, tableau, huile sur bois, peinture à l'huile
Paris, Musée d'Orsay.
(Particolare testa di Euridice) (1)


Contributi a Losfeld
(a cura di E.a.L.)

Sguardi Incrociati.
Molecole del Sentire.

Il Mito di Euridice nella Contemporaneità.

Vibrazioni di una Naumachìa dell'Anima.




Alda Merini

La Presenza di Orfeo (2)

A Paolo Bonomini

Non ti preparerò col mio mostrarmiti
ad una confidenza limitata,
ma perché nel toccarmi la tua mano
non abbia una memoria di presagi,
giacerò nell’informe
fusa io stessa, sciolta dentro il buio,
per quanto possa, elaborata e viva,
ridivenire caos...

Orfeo novello, amico dell’essenza,
modulerai di nuovo dalla cetra
la figura nascente di me stessa.

Sarai alle soglie piano e divinante
di un mistero assoluto di silenzio,
ignorando i miei limiti di un tempo,
godrai il possesso della sola assenza.

Allora, concretandomi in un primo
accenno di presenza,
sarò un ramo fiorito di consenso,
e poi, trovato un punto di contatto,
ammetterò una timida coscienza
di vita d’animale
e mi dirò che non andrò più oltre,
mentre già mi sviluppi,
sapienza ineluttabile e sicura, //
[p. 15] in un gioco insperato di armonie,
in una conclusione di fanciulla...

Fanciulla: è questo il termine raggiunto?
E per l’addietro non l’ho maturato
E non l’ho poi distrutto
delusa, offesa in ogni volontà?

Che vuol dire fanciulla
se non superamento di coscienza?

Era questo di me che non volevo:
condurmi, trascurando ogni mia forma,
al vertice mortale della vita...

Ma la presenza d’ogni mia sembianza
quale urgenza incalzante di sviluppo,
quale presto proporsi
e più presto risolversi d’enigmi!

E quando poi, dal mio aderire stesso,
la forma scivolò in un altro tempo
di più rare e più estranee conclusioni,
quando del mio “sentirmi” voluttuoso
rimase un’aderenza di dolore,
allora, allora preferii la morte
che ribadisse in me questo possesso.

Ma ci si può avanzare nella vita
mano che regge e fiaccola portata
e ci si può liberamente dare
alle dimenticanze più serene
quando gli anelli multipli di noi
si sciolgano e riprendano in accordo,
quando la garanzia dell’immanenza //
[p. 16] ci fasci di un benessere assoluto.

Così, nelle tue braccia ordinatrici
io mi riverso, minima ed immensa;
dato sereno, dato irrefrenabile,
attività perenne di sviluppo.

(25 febbraio 1949)





Giovanni Segantini, L'Amore alla Fonte della Vita (1896). (3)



A Giorgio Manganelli
1.
Alda Merini

La Presenza di Orfeo


No te prepararé mostrándome a ti
en una intimidad ilimitada,
para que, al tocar tu mano,
no tenga una memoria de presagios,
yaceré en lo informe
yo misma fundida, derretida en la oscuridad,
para en lo posible, elaborada y viva,
pueda volver caos…
Orfeo, novel amigo de la ausencia,
modularás de nuevo con tu citara
la figura que nace de mi misma.
te hallarás, parsimonioso y adivino,
en el umbral de un misterio absoluto de silencio,
ignorando mis límites de un tiempo,
Gozarás al poseer la sola ausencia.
Entonces, concretándome en un primer
gesto de presencia,
seré una rama florecida de consenso,
y después, encontrando un punto de contacto,
admitiré una tímida conciencia
de vida de animal,
y me diré que ya no iré más allá,
mientras que tú me desarrollas,
sapiencia ineluctable y segura,
en un juego inesperado de armonías
en una conclusión de muchacha…
Muchacha ¿ese es el término alcanzado?
Y por el revés no lo he madurado
¿no lo he destruido después
decepcionada, ofendida en toda voluntad?
¿qué quiere decir muchacha,
sino superación de la conciencia?
Era esto de mí que no quería:
Llevarme, sin preocuparme de ninguna forma,
al vértice mortal de la vida…
¡Mas la presencia de todas mis facciones
es como urgencia que me empuja a crecer,
súbita propuesta
y aún más súbita resolución los enigmas!
Y cuando después, de mi adherencia misma,
la forma resbaló a otro tiempo
de más raras y extrañas conclusiones,
cuando de mi sentir voluptuoso
quede una adherencia de dolor,
entonces, entonces preferiré la muerte
que confirme en mi esta posesión.
Pero podemos avanzar por la vida
mano que sujeta y antorcha en alto
y también podemos dedicarnos
a los olvidos más serenos
cuando nuestros múltiples anillos
se disuelvan y se retomen en acuerdo,
cuando la seguridad de la inmanencia
nos envuelva en un bienestar absoluto.
Así, entre tus brazos ordenadores
yo me vierto, mínima e inmensa;
hecho sereno, hecho irrefrenable
actividad perenne de evolución.


(25 de febrero de 1949)




 

 


NOTE

FONTI LETTERARIE
(2) MERINI. Alda Merini, La presenza di Orfeo. (In Ambrogio Borsani, a cura di, Alda Merini. Il Suono dell'Ombra. Poesie e prose 1953 - 2009, Milano, Mondadori, 2010, pp. 14-16).
Si ha occasione di precisare che nel testo a stampa antologico sopra citato la raccolta dei 22 brani poetici recanti il nome di La presenza di Orfeo è dedicata a Ida Borletti e che l'omonima poesia è dedicata a Paolo Bonomini, non a Giorgio Manganelli.

Si ha modo di offrire una versione in lingua spagnola, ove se ne vuole la dedica al Manganelli.
http://www.escritorasyescrituras.com/download/aldamerini.pdf )

 
ICONOGRAFIA

(1) MOREAU. Gustave Moreau, Orphée:
 (1313 x 2069)

(3) SEGANTINI. Giovanni Segantini, L'Amore alla Fonte della Vita (1896).



MUSICOLOGIA - VIDEO - NUOVE TENDENZE
(4) CONSOLI. Di Carmen Consoli, Introduzione a Orfeo, ved. http://www.youtube.com/watch?v=rzrotr2Ygu4