lunedì 24 agosto 2020

BERENSON Bernard

lunedì 24 agosto 2020

BERENSON, Bernard
Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 34 (1988)
(di John Pope-Hennessy)
BERENSON, Bernard (Bernhard fino al 1914). - Figlio di Albert Valvrojenski (che prese il cognome Berenson quando emigrò negli Stati Uniti) e di Judith Mickleshanski, ambedue ebrei, nacque il 26 giugno 1865 a Butremanz non lontano da Viltia in Lituania, dove iniziò i suoi studi dimostrando una notevole precocità nell'apprendimento delle lingue; più tardi attribuirà la sua "curiosità insaziabile per le origini" alla precoce lettura dell'Antico Testamento (Abbozzo, 1949, p. 81). I pogrom nel 1874spinsero il padre ad emigrare a Boston dove, un anno dopo, fu raggiunto dalla moglie e dai tre figli. Albert Berenson, persona di grande cultura e di spiccate tendenze antireligiose, prese la cittadinanza americana nel 1880e allevò suo figlio come americano. Il B. proseguì i suoi studi presso una scuola secondaria del North End di Boston, dove si erano stabiliti molti immigrati polacchi e lituani, e alla fine del 1881 cominciò a frequentare, contemporaneamente a George Santayana, la Boston Latin School. Due anni dopo si iscrisse alla Boston University. Assai presto si distinse per il suo eccezionale talento e nel 1884 Edward Perry Warren patrocinò la sua ammissione alla Harvard University. Qui si specializzò in letteratura, proseguì i suoi studi linguistici (tra i quali quelli del sanscrito) e frequentò il Museum of Fine Arts con le sue belle collezioni di arte italiana e quelle, magnifiche, di arte orientale. All'epoca l'insegnamento delle belle arti era diretto da Charles Eliot Norton per il quale il B. (allora sotto l'influsso di W. H. Pater e J. A. Simonds) provò scarsa simpatia. Più congeniale gli fu l'incontro con il filosofo William James, cui si deve in gran parte l'interesse che il B. ebbe in seguito per l'aspetto psicologico della creazione artistica nonché la sua fede nella realtà psicologica delle sensazioni sperimentate. Gli anni trascorsi all'università di Boston e a Cambridge incisero profondamente sulla formazione intellettuale dei B. il quale, pur essendo vissuto in America soltanto dagli undici ai ventidue anni, si sentiva più a suo agio con un americano di formazione affine alla sua che con qualsiasi altro "bipede".

A Harvard il B. si distinse tra gli altri studenti e nel 1886 divenne redattore capo del Harvard Monthly, cui aveva nello stesso anno già collaborato con articoli su Gogol e altri autori. Conseguito il titolo di studio, nella domanda (30 marzo 1887) per una borsa di studio che gli desse la possibilità di viaggiare espresse la sua intenzione di diventare "critico e storico letterario" (la domanda, corredata di un curriculuni particolareggiato, è conservata nell'archivio di Harvard ed è riportata quasi per intero dalla Sprigge, 1963, pp.61-64). Quando la sua richiesta fu rifiutata, il B. ottenne da un gruppo di ammiratori convinti del suo talento (tra i quali, insieme con E. P. Warren, figuravano Jack Gardner e sua moglie Isabella Stewart), un finanziamento privato per visitare l'Europa. Trascorse il secondo semestre del 1887 a Parigi e nel gennaio dell'anno successivo si recò in Inghilterra dove Warren lo introdusse nell'ambiente accademico di Oxford e dove la sua carismatica personalità gli conquistò moltissimi amici, tra i quali Oscar Wilde. In Inghilterra incontrò la sua futura moglie, Mary Whitali Smith, che apparteneva a una distinta famiglia quacchera di Filadelfia ed era allora sposata con un politico angloirlandese, Francis C. Costelloe. Nel corso di questo viaggio e delle successive visite nei Paesi Bassi, in Germania, in Svizzera, in Grecia e in Italia, gli interessi del B. si spostarono decisamente verso le arti figurative e in particolar modo sulla pittura italiana. Fattore importante in questa evoluzione furono gli scritti di G. Morelli: in una recensione inedita dei Kunsthistorische Studien über Italienische Malerei, che aveva acquistati nel dicembre 1889, il B. dichiarò che il servizio reso dal Morelli allo studio della pittura era "greater than Winckelmann's to antique sculpture or Darwin's to biology" (Samucis, 1979, p. ioi). Nel 1889 a Roma aveva conosciuto G.B. Cavalcaselle oltre a Jean Paul Richter che gli diede una presentazione per il Morelli; quando lo incontrò nel 1890, il B. era ormai deciso a dedicarsi completamente all'attività di connoisseur (Abbozzo, 1949, p. 85). Anche se i rapporti coi Morelli non furono facili ("I can't really speak to Morelli - si lamentava iI B. - because he expects to be treated en maftre and I can't take to Richter because he is trop marchand"), Morelli riconobbe il talento eccezionale del B. e lo indirizzò a G. Frizzoni a Brera che il B. giudicò molto più serio degli altri studiosi con cui era venuto in contatto (Samuels, 1979, p. 103).

Alla fine del 1890, grazie a un'ulteriore sovvenzione di Warren, il B. cominciò a lavorare sistematicamente a una monografia su Lorenzo Lotto. Sempre nello stesso anno, durante un'altra visita in Inghilterra, incontrò nuovamente Mary Costelloe, il fratello di lei, lo scrittore Logan Pearsall Smith, e il cognato, il filosofo Bertrand Russell. Tramite Mary Costelloe divenne amico del collezionista Herbert Cook, grazie al quale poté visitare numerose collezioni private nelle case di campagna inglesi, inimicandosi spesso i proprietari a causa dei dubbi espressi sulle opere d'arte di loro proprietà. Nel dicembre 1890 Mary Costelloe, che era stata educata quacchera e si era convertita al cattolicesimo in occasione del matrimonio, raggiunse il B. a Firenze assieme al marito. Nel febbraio dell'anno successivo anche il B. si converti al cattolicesimo, ma fu una conversione destinata a durare poco. Mary Costelloe si considerava sua allieva e nella primavera del 1891 iniziò tra i due un lungo periodo di attiva collaborazione con la stesura dei catalogo dei dipinti di Hampton Court, compilato sotto la supervisione dei B. ma pubblicato dalla Costelloe con il nome di Mary Logan (The Guide to the Italian Pictures at Hampton Court, London 1894). Nel dicembre di quello stesso anno Mary, che era divenuta l'amante del B., si trasferì a Firenze dove i due vissero tuttavia in due appartamenti separati sul Lungarno Acciaioli. Seguirono molti mesi di viaggi felici, nonostante le difficoltà economiche, attraverso la Toscana, l'Umbria, l'Emilia, le Marche e l'Italia settentrionale, più tardi descritti dalla signora Berenson in un libro, incompiuto, su suo marito (brani di esso sono citati da S. Sprigge, 1963, cfr. p. 10 n. 4; il manoscritto è attualmente presso una nipote di Mary Berenson, Barbara Strachey). Questi viaggi costituirono il fondamento di una ineguagliabile conoscenza di prima mano della pittura italiana.

Fino ad allora il B. non aveva pubblicato né libri né articoli specializzati e non disponeva di un reddito fisso, ma ogni problema pratico veniva risolto grazie all'accortezza e alla determinazione della sua futura moglie. Benché egli fosse contrario a percepire commissioni in denaro dalla vendita di opere d'arte, nel 1892 Si lasciò persuadere da un amico di Boston ad accettare la sua prima commissione per l'acquisto di un quadro di Piero di Cosimo. Un anno più tardi incontrò a Roma il collezionista Theodore M. Davis di Newport, Rhode Island, di cui fu consulente per molti anni. Divenne, inoltre, consulente di altri collezionisti americani, il più importante dei quali fu la signora Gardner. Il primo articolo di storia dell'arte del B. apparve il 9 febbr. 1893 su The Nation (New York) con il titolo Tintoretto's St. Mark, cui seguì sullo stesso periodico, il 13 aprile dello stesso anno, Vasari in the Light of Recent Publications, poi ristampato in The Study…, 1901, e, tradotto in italiano (Il Vasari alla luce delle recenti pubblicazioni), in Studi vasariani, Atti del convegno internaz. per il IV centenario … delle Vite del Vasari (1950), Firenze 1954, pp. 22-28. Gli articoli risultarono tuttavia di interesse relativamente scarso, tanto che il B. dubitò per qualche tempo delle sue capacità di scrittore. Questi dubbi furono esacerbati dalle critiche della scrittrice di estetica Vernon Lee (Violet Paget), sua vicina di casa a Firenze.

Fu Mary Costelloe che riuscì a far entrare il B. in contatto con il grande pubblico angloamericano: un articolo da lei scritto sulla pittura veneziana a Vienna non fu accettato dall'editore Putman (Samuel, 1979, p. 159), quindi ella propose che fosse riscritto in termini più generali ed estesi dal B. e o advised him to make lists of all genuine works of Venetian painters" (M. Berenson, 1983, p. 54). The Venetian Painters of the Renaissance with an Index to their Works fu pubblicato a Londra e a New York nel 1894, riscuotendo un successo immediato e nuove edizioni ne uscirono nel 1895 e nel 1897. Fu il primo nucleo dei volumi pubblicati più tardi con i titoli Italian Painters of the Renaissance (1930) e Italian Pictures of the Renaissance (1932); una copia del libro fu anche inviata (1894) alla signora Gardner, con cui il B. non aveva avuto più contatti da cinque anni (Tharp, 1965, p. 176; Samuels, 1979, p. 187); quando, nel 1904, il B. ritornò negli Stati Uniti, dopo sette anni di assenza (vi si recherà per l'ultima volta nel 1920-21), era ormai considerato un autorevole conoscitore della pittura italiana. Alla fine di questo viaggio (marzo 1904) Mary Berenson scriveva alla famiglia: "no denaro in tasca [sic] but 1 do think every reasonable hope that this trip may turn out to be the beginning of our fortune" (M. Berenson, 1983, pp. 116); e così fu: ebbe inizio allora il nuovo rapporto del B. con la Gardner in qualità di suo consulente per l'acquisto di quadri (v. anche Sprigge, 19635 pp. 138-157).

Ritornato in Europa, il B. pubblicò (Londra 1895) un'innovativa monografia su Lorenzo Lotto, cui fece seguito nel 1896 Fiorentine Painters of the Renaissance, opera di grande originalità, salutata da Williani James come il primo tentativo di applicare "elementary psychological categories to the interpretation of higher works of art" (Samuels, 1979, p. 258). La sua teoria della tangibilità, che consiste nel dare "valori tattili alle impressioni della retina" (Ipittori, 1936, p. 56), rimane un significativo contributo agli studi sulle reazioni estetiche.

Nel 1897 apparve un terzo volume intitolato The Central Italian Painters of the Renaissance in cui il B. analizzava i ruoli dell'illustrazione e della decorazione nella pittura senese e umbra.

Il successo di questi libri, editi in piccolo formato, non fu dovuto solo alla qualità del testo, ma soprattutto al fatto che gli elenchi di opere in essi contenuti costituivano una sorta di vademecum per i viaggiatori. Il metodo dei Morelli modificato, su cui si basano le prime attribuzioni del B., è descritto nel saggio Rudiments of Connoisseurship che rimase inedito fino al 1902 (in The Study…, II, pp. 111-118). Era un campo, questo, in cui molti erano i contrasti, e suscitò grandi polemiche il commento brillante ed equilibrato del B. ad una esposizione sulla pittura veneta tenutasi alla New Gallery di Londra nel 1895, pubblicato nello stesso anno a Londra a spese di Herbert Cook in veste di opuscolo: Venetian Painting, chiefly before Titian (At the Exhibition of Venetian Art, New Gallery), ristampato in The Study…, 1901, pp. 90-146.

Nel 1897 l'editore inglese john Murray propose al B. di scrivere un libro sui disegni dei pittori fiorentini, impresa che in sei anni di lavoro doveva realizzarsi in quello che è senza dubbio il suo testo più ambizioso e pregevole: The Drawings of the Fiorentine Painters (1903). Egli accettò l'incarico con qualche esitazione: per l'impegno che comportava fu infatti costretto a rinunciare alla stesura di un'opera di estetica che aveva intenzione di scrivere; e ancora in tarda età considerava tale decisione come una svolta fondamentale per la sua carriera (Abbozzo, 1949, pp. 60, 183). Durante la seconda guerra mondiale il B. scrisse nel suo diario: "In quanto organismo che assimila e produce, in quanto istrumento, posso dire di essere stato completo a venticinque anni, e questo strumento ha funzionato e conservato la sua identità per i cinquanta e più anni susseguenti a dispetto di tutte le forze contrastanti in tutti i sensi" (Echi e riflessioni, 1950, p. 225, v. anche p. 269).

In effetti alla fine del primo decennio dei secolo il B. aveva già dato il suo massimo contributo alla storia dell'arte e dedicò gli anni successivi alla revisione e alla rettifica piuttosto che alla ricerca originale. In seguito i suoi interessi, già molto vasti, si ampliarono: nel 1931 visitò Algeri, da dove scriveva al principe ereditario di Svezia, Gustavo Adolfò, di essere sopraffatto dalla bellezza dei ruderi antichi e dall'abbondanza di materiale utile ai suoi studi: "I do not mean Italian art, which in a sense is now behind me, but the pathology of form which led from the Antique to the Medioeval" (The Selected…, 1964, p. 112). Ai viaggi seguivano viaggi: a Costantinopoli (1928), in Siria e in Palestina (1929), in Spagna "per la quinta o sesta volta", più tardi nello stesso anno.

Il 29 dic. 1900 il B. e Mary Costelloe, dopo essersi sposati nel municipio di Settignano, celebrarono il matrimonio religioso nella cappella della villa I Tatti, a Ponte a Mensola, che in quell'anno avevano preso in affitto.

La casa fu in seguito comprata e man mano ampliata e le sue attrattive furono accresciute prima dalla creazione di un giardino terrazzato (progettato dall'architetto Cecil Pinsent) e successivamente dal costituirsi di una delle più pregevoli collezioni private di pittura italiana e di opere d'arte orientale. La maggior parte delle opere fu acquistata dal gennaio 1901; oggi la collezione comprende, tra i moltissimi altri capolavori, tre grandi pannelli provenienti dalla pala d'altare del Sassetta di Borgo San Sepolcro, una magnifica Madonna di Domenico Veneziano, i Ritratti Vitelli del Signorelli (cfr. F. Russoli, La raccolta Berenson, Milano 1962).

Nel corso degli anni la villa I Tatti divenne molto più di un luogo di piacevole soggiorno o di un rifugio dove scrivere o condurre gli affari. Il suo centro era la biblioteca, con la sua eccezionale collezione di libri e di fotografie; negli ultimi anni di vita (11 marzo 1948), il B. scrisse nel suo diario che aveva voluto costituire "una biblioteca dove uno studioso del nostro mondo possa trovare ogni libro essenziale a sua disposizione. Avevo sperato di lasciarla a degli studiosi americani per contribuire al loro sviluppo" (Tramonto…, 1966, p. 55; v. anche Abbozzo…, 1949, p. 216). La biblioteca, come disse e scrisse ripetutamente, era l'impresa di cui andava più fiero. Il B. non abbandonò mai l'intenzione di lasciarla in testamento alla Harvard University o a qualche altra istituzione analoga. A partire dal terzo decennio del 1900, impiegò gran parte del proprio denaro per il suo mantenimento e per la costituzione di un fondo che avrebbe permesso la realizzazione, a tempo debito, del progetto di donazione; nel 1933 questo progetto fu accettato in linea di principio dalla Harvard University, purché fosse assicurato un adeguato fondo di dotazione. La donazione fu formalmente acquisita nel 1960, un anno dopo la morte del Berenson, la cui volontà fu che i fondi fossero utilizzati a livello interdisciplinare; il Harvard University Center for Italian Renaissance Studies è divenuto così un attivo centro di ricerca originale, secondo gli intendimenti del B., con quindici fellows stipendiati, impegnati in studi di storia dell'arte, musicologia, letteratura e storia.

Le attività commerciali grazie alle quali il B. potè raggiungere questi obiettivi non gli furono mai particolarmente gradite. Il primo importante acquisto per la signora Gardner, una volta ripresi i loro rapporti, fula Storia di Lucrezia di Botticelli (1894); seguirono, sempre per la collezione Gardner (1896, 1898, 1900) il Ratto d'Europa di Tiziano, il Cristo portacroce di Giorgione e la Presentazione al tempio di Giotto; il livello medio delle opere di pittura italiana che il B. procurò alla Gardner fu quindi molto alto e la sua provvigione era normalmente quella del 5%. Il B. fu inoltre consulente per la ditta Coinaghi di Londra, quindi dal 1907 del mercante J. Duveen, dal quale percepiva inizialmente una percentuale sulle vendite e dopo il 1927 un onorario fisso annuo; nel 1937 troncò improvvisamente le relazioni con Duveen (nel 1939 scrisse in una lettera che i suoi guadagni erano venuti meno poiché aveva interrotto i rapporti con lui). Dopo la seconda guerra mondiale si associò invece con la ditta Wildenstein. Tra i tanti collezionisti che egli consigliò si ricordano ancora Joseph Widener e Carl Hamilton.

I primi guadagni dei B. furono piuttosto modesti, ma alla fine del 1896 egli poteva scrivere di aver guadagnato, durante l'anno, non meno di io.000 dollari (Sarnuels, 1979, p. 275). E più tardi dichiarava: "I want Anierica to have as many good pictures as possible" (ibid.). La testimonianza più evidente di questo aspetto dell'attività dei B. è costituita dalla collezione della National Gallery of Art di Washington.

Tra le due guerre I Tatti furono un luogo d'incontro noto in tutto il mondo da. cui gli ospiti uscivano pieni di riverente ammirazione per la cultura del B. e per la straordinaria varietà, profondità e vivacità della sua conversazione (Berenson and the Connoisseurship of Italian Painting. National Gall. of Art [catal.], Washington 1979).

Questo aspetto, meticolosamente programmato, della vita dei B. è ampiamente descritto, anche se non sempre con esattezza, in varie biografie, ma, soprattutto, nel modo più efficace da Elisabetta (Nicky) Mariano (1969), che fu la sua segretaria dal 1917 e che dal 1945fino alla morte del B. assunse la direzione dei Tatti. Spesso però le biografie che privilegiano questo aspetto della vita ai Tatti trascurano le serie attività professionali che contemporaneamente vi si svolgevano.

Il B. e sua moglie, di formazione culturale liberale, assistettero all'ascesa dei fascismo con disapprovazione e preoccupazione. Dal 1938 il B. cominciò a temere che la crescente ondata di antisemitismo potesse raggiungerlo e costringerlo ad abbandonare l'Italia. Quando scoppiò la guerra tra Italia e Stati Uniti, nel 1941, egli decise, a suo rischio, di rimanere a Firenze. La sua situazione fu tollerabile fino all'armistizio del settembre 1943, quando il marchese Filippo Serlupi Crescenzi, ministro di S. Marino presso la Santa Sede, gli offrì protezione. Le esperienze di questo periodo hanno costituito l'argomento dei libro Echi e riflessioni (1950). Mary Berenson, che era rimasta ai Tatti, morì poco dopo il ritorno del B., nel maggio 1945. Anche nel periodo successivo alla guerra I Tatti (e durante i mesi estivi la casa al Dono a Vallombrosa) furono meta di numerosissimi visitatori, alcuni celebri come il presidente Truman e il re di Svezia, altri semplici studiosi di storia dell'arte che il B. incoraggiò e consigliò.

Il pensiero del B. di questi ultimi anni si riflette fedelmente in Abbozzo per un autoritratto (1949) e in Tramonto e crepuscolo, in cui sono riportate annotazioni dai diari fra il 1947 e il 1958 (1963; trad. ital. 1966). In una penetrante prefazione al secondo libro (p. X), Iris Origo divide la vita dei B. in tre periodi: "il periodo della giovinezza e dell'ascesa, gli anni del successo acquisito, durante i quali prese forma anche la leggenda, e finalmente… la riscoperta, sempre lucida e qualche volta impietosa, del personaggio vero, come un albero perde le foglie, mantenendo la trama dei suoi rami nudi contro il cielo invernale".

Il B. morì il 6 ott. 1959 ai Tatti, ove è sepolto, accanto alla moglie, nella cappella dove si erano sposati.

Anche se i volumi ristampati più tardi, dal 1930 in poi, come The Italian Painters of the Renaissance erano inizialmente composti da un saggio e da un elenco di opere, è necessario, ai fini critici, considerare saggi ed elenchi come unità separate.

I libri furono pubblicati nell'arco di tredici anni: The Venetian Painters of the Renaissance (New York-London, G. P. Putnam's Sons) nel 1894, The Fiorentine Painters of the Renaissance (ibid.) nel 1896 e The Central Italian Painters of the Renaissance (ibid.) nel 1897; dieci anni più tardi The North Italian Painters of the Renaissance (ibid. 1907) concluse la serie. Le date di pubblicazione potrebbero ipotizzare un metodo analitico omogeneo nei primi tre volumi e un mutamento nel quarto, ma di fatto il cambiamento si verifica tra il primo e il secondo libro. In rapporto ai volumi succesivi, l'argomento di Venetian Painters è meno audacemente innovativo in quanto èconcepito in termini più convenzionali come resoconto di uno sviluppo storico, e mancante di quel sostrato teorico che in tanta misura contribuisce alla vitalità dei libri più tardi, laddove l'interesse è posto sul giudizio qualitativo e sul carattere dei dipinti in quanto opere d'arte. Solo dopo questo mutamento di accento, evidente per la prima volta in Fiorentine Painters, le trattazioni dei singoli artisti acquistano quella precisione di cammeo che caratterizza d'allora in poi le valutazioni dei Berenson. Il loro duraturo interesse si deve anzitutto alla capacità dei B. di delineare con pochi agili tratti i lineamenti di una personalità artistica.

In Fiorentine Painters e nei libri seguenti il metodo descrittivo è espresso in gran parte nei termini della reazione dell'osservatore alla singola opera d'arte; esemplare e particolarmente avvincente è il passo che descrive il piccolo pannello dell'Ercole e Anteo del Pollaiolo degli Uffizi: "A realizzare la presa dell'Ercole solidamente piantato sulla terra, il gonfiarsi dei polpacci sotto il pondo che li grava, il violento rovesciarsi del torace, la forza soffocante di quella stretta, a realizzare il supremo sforzo d'Anteo che con una mano ricaccia addietro la testa d'Ercole e con l'altra cerca di scrollarne il braccio, è come se una fonte d'energia ci ribolla sotto i piedi e salga per le nostre vqne" (I Pittori italiani…, 1936, p. 82). La teoria delle sensazioni immaginarie, che è alla base di Fiorentine Painters e dei testi successivi, si espliciterà però completamente in quanto tale solo in un libro più tardo, Aesthetics and History in the Visual Arts (1948, p. 100 della trad. ital.): "Le sensazioni immaginarie … sono quelle che esistono solo nella fantasia, e sono prodotte dalla capacità dell'oggetto di far sì che ci rendiamo conto della sua entità e viviamo della sua vita. Nelle arti visive questa capacità si manifesta in primo luogo e fondamentalmente attraverso una varietà di sensazioni immaginarie di contatto e i loto molteplici sottintesi; e attraverso le egualmente inunaginarie sensazioni d'alterazioni barometriche, termometriche, viscerali, e soprattutto muscolari, che si suppone abbiano luogo negli oggetti rappresentati". Il Gombrich obiettò che il B. aveva nella psicologia della percezione più fede di quanto oggi appaia giustificabile (Art and Illusion, cit. in Samuels, 1979, p. 230), ma è proprio a questa fede che i quattro volumi di Italian Painters of the Renaissance devono la loro vitalità e la loro efficacia. In tutti e tre gli ultimi libri l'attenzione del B. è attratta dal polo magnetico dell'antico, sicché la sezione finale di North Italian Painters. si conclude con una radicale condanna del manierismo che oggi può stupire (e tuttavia il B. non cambiò mai opinione in proposito). D'altra parte bisogna notare come non siano stati trascurati, se non in misura minima, gli aspetti veramente significativi del fenomeno artistico considerato. Nel testo sono prefigurati molti successivi cambiamenti di gusto (come, ad esempio, l'apprezzamento della pittura ferrarese e bresciana o dei Bassano). I giudizi dei B., quando venivano formulati, erano sorprendentemente indipendenti dalla moda, e al di fuori delle mode sono sempre rimasti. Si può dire dunque che Italian Painters of the Renaissance sia la migliore introduzione, in qualsiasi lingua, a qualsivoglia scuola italiana di pittura; per la capacità di potenziare nel lettore la godibilità dell'opera darte presa in considerazione e di indurlo ad analizzarne natura ed origine, con maggiore esattezza di quanto altrimenti gli sarebbe consentito.

La storia delle varie e numerose edizioni di questi quattro libri testimonia la loro vasta risonanza. Sempre presso G. P. Putnam's Sons, New York-London, apparvero due nuove edizioni per Venetian Painters (1895, 1897), Florentine Painters (1900, 1909) e Central Italian Painters (1909, 1911), una per North Italian Painters (1910). Nel 1926 uscì a Parigi (Schiffrin, Editions de la Pléiade) una traduzione, con il titolo complessivo di Les peintres italiens de la Renaissance, dei quattro volumi intitolati rispettivamente Venise, Fiorence, L'Italie du Centre, L'Italie du Nord. Una traduzione tedesca dell'intera serie fu pubblicata a Monaco (Kurt Wolff) nel 1925 (ma una traduzione del Fiorentine Painters era già uscita nel 1898 a Lipsia, Maske); nel 1923 era uscita a Mosca (C. H. Sacharov) una traduzione in russo del Fiorentine Painters. I quattro testi uscirono in volume unico, The Italian Painters of the Renaissance, nel 1930 (Oxford, The Clarendon Press; ne fu stampata anche una edizione illustrata in occasione della Mostra dell'arte italiana a Londra); questo fu disponibile in italiano nel 1936 nella eccellente traduzione di Emilio Cecchi (I pittori italiani del Rinascimento, Milano, Hoepli, collez. "Valori plastici", riedita nel 1942 e nel 1948). Fu in seguito ristampato nel 1948 (London, Oxford University Press) e nel 1952 (London, Phaidon) con le illustrazioni; nello stesso anno fu pubblicato anche in tedesco (Zürich, Pliaidon), poi in francese (Paris, Gallimard, 1953), in olandese (Utrecht, W. de Haan, 1953) e ancora in italiano (2 voll., Firenze, Sansoni - London, Phaidon, 1954), in spagnolo (Barcelona, Argos, 1954), in giapponese (Tokio, Shinchosha, 1961) e in russo (Moskwa, Izdatel'stvo Iskusskvo, 1965).

Gli elenchi di opere che accompagnavano originariamente le prime edizioni erano piuttosto ristretti e fortemente selettivi; nel 1932, quando per la prima volta furono ordinati alfabeticamente e stampati in unico volume (Italian Pictures of the Renaissance: a List of the Principal Artists and their Works with an Index of Places, Oxford, The Clarendon Press), iI B. modificò il suo precedente atteggiamento rifiutando le teorie restrittive dell'attribuzione allora in voga. Gli elenchi che formano questo volume risultano quindi più ricchi e molto più ampi dei precedenti, e tuttavia basati non su criteri meno precisi, bensì sulla convinzione che solo una filosofia "espansionista" dell'attribuzione sia storicamente praticabile. L'anno precedente la morte (13 marzo 1958) il Bscrisse: "Molti degli errori da me commessi nella mia attività di attributore di dipinti sono dovuti a un concetto troppo rigoroso e dogmatico che avevo della personalità dell'artista che mi faceva escludere tutto quello che non corrispondeva all'ideale che avevo di lui" (Tramonto, 1966).

La versione ampliata degli elenchi del B. divenne più utile anche se aumentò, inevitabilmente, il margine d'errore; il loro aspetto più significativo risiedeva comunque nella coerenza: se vi erano errori, erano errori di concetto e non sbagli, e nel quarto di secolo della sua diffusione il libro fu un manuale di importanza incommensurabile per la formazione di una generazione di storici dell'arte.

Quando nel 1952 uscì la nuova edizione illustrata di Italian Painters, la casa editrice Phaidon propose di ripubblicare anche gli elenchi; il B. concordò sul fatto che dovessero essere rivisti, pur con qualche riluttanza (all'epoca aveva ottantotto anni), poiché pretese di decidere personalmente e con scrupolosa obiettività circa tutte le attribuzioni, come se fossero affrontate per la prima volta. Il primo elenco, The Venetian Pictures of the Renaissance, fu pubblicato nel 1957 (2 voll., London, Phaidon; trad. ital., Firenze, Sansoni, 1968) e prima della morte del B. era stato parzialmente preparato il volume sui pittori fiorentini che uscì nel 1963 (2 voll., London, Phaidon), curato da Nicky Mariano (sua stretta collaboratrice anche per le edizioni del 1932 e 1936) e da alcuni collaboratori dei B. ai Tatti. Entrambi i libri sono caratterizzati dall'elasticità e dalla freschezza del metodo, soprattutto quando si tratta di accettare il punto di vista di altri studiosi. Tuttavia il volume relativo alla pittura fiorentina non riflette necessariamente le opinioni definitive del B., e contiene molte interpolazioni e alcuni errori di cui egli non può essere ritenuto responsabile. I due elenchi mancanti furono raccolti in un'opera in tre volumi curata da Luisa Vertova (Central Italian and North Italian Schools, London, Phaidon, 1969), basata in larga parte sul materiale fotografico dei Tatti: al B. non possono riferirsi che in piccola parte le variazioni apportate agli elenchi pubblicati in quest'ultimo libro. Il B. comunque fu sempre interamente consapevole dei carattere precario del compito che si era assunto: "E di nessuna delle mie liste io mi sento completamente soddisfatto. Occorrerà molta e molta fatica, d'ancora un pajo o forse tre generazioni, prima che il lavoro possa veramente dirsi compiuto" (Pitture italiane, 1936, p. X).

Alcune biografie di grande successo (in particolare quelle di S. Sprigge [1963] e di M. Secrest [1980]), hanno insinuato che le attribuzioni registrate in questi elenchi siano state condizionate dall'attività di consulente svolta per la signora Gardner e per altri collezionisti americani e dagli impegni assunti con la ditta CoInaghi a Londra e con Duveen. Tuttavia l'esame del materiale disponibile e, in particolare, quello conservato presso l'archivio Duveen a New York (Metropolitan Museum), sembra smentire queste accuse; risulta infatti che il B. resistette costantemente alle pressioni del rappresentante di Duveen, E. Fowles, tendenti a fargli modificare le sue convinzioni per facilitare le vendite. Mary Berenson infatti dichiarava in una lettera del 1927 (arch. Duveen): "He is absolutely convinced that it would be a mistake to sacrifice his general principles to a temporary advantage".

La pratica dell'expertise scritta era molto diffusa all'epoca tra gli studiosi, e nulla prova che le attribuzioni del B. relative ad alcuni grandi pittori fossero in contrasto con le sue reali convinzioni. In varie lettere scritte per Duveen e per altri mercanti d'arte, perché fossero mostrate ad eventuali acquirenti, il B. descrive la qualità dei singoli dipinti in termini che oggi appaiono esagerati e, in certi casi, il resoconto sulle condizioni della superficie dipinta era ottimistico e inesatto; tuttavia, in confronto al basso livello degli studiosi di pittura italiana suoi contemporanei coinvolti nel mercato dell'arte, il B. appare un modello di rigore, e il suo successo fu dovuto non tanto alla convinzione che egli fosse necessariamente nel giusto, quanto alla consapevolezza che tra le opinioni correnti, soprattutto quelle relative alle grandi personalità artistiche, le sue presentassero minori probabilità di errore.

Nel 1895, un anno dopo la pubblicazione di The Venetian Painters of the Renaissance, uscì il volume Lorenzo Lotto an Essay in Constructive Art Criticism (New York-London, G. P. Putnam's Sons) a cui il B. aveva lavorato per diversi anni.

Il libro ottenne le lodi di critici assai diversi come H. Wölfflin (in Literarisches Centralblatt, 1895, col. 1452), Reinach (in Revue critique d'histoire et de littérature, XXXIX [1895], pp. 271-276) e J. P. Richter (in Kunstchronik, VI [1894-95], pp. 293 ss.), e fu ristampato a Londra (George Bell and Sons) e a New York nel 1901. Vi traspare chiaramente il debito nei confronti di William James; per il B. il fascino del Lotto non risiede solo nell'essere questo un pittore sottovalutato, quanto piuttosto un artista che consente di stabilire un'equazione tra psicologia e stile. Nelle ultime pagine del libro il B. scrive (ediz. ital., 1955, p. 186): "La mia indole mi dispone all'indulgenza verso un artista come il Lotto". L'impostazione in ogni parte del libro è personale, il metodo, di notevole originalità; partendo da uno studio meticoloso, concreto dei dipinti e della loro documentazione approda a una impressione conclusiva "che non è altro s'intende, se non l'immagine composita risultante da tale esame circostanziato: un'immagine senza pretese d'irrefragabilità scientifica" (ibid., p. 185). Una nuova edizione del libro riveduta e ampliata uscì in italiano nel 1955 (trad. di L. Vertova, Milano, Electa), in inglese nel 1956 (London, Phaidon) e in tedesco nel 1957 (Köln, Phaidon). Nei quasi sessant'anni intercorsi dalla prima edizione la conoscenza del B. della pittura veneziana era maturata; ciò si riflette soprattutto nella trattazione dell'opera giovanile del Lotto, che nella prima edizione è posta in rapporto con Alvise Vivarini mentre nella seconda è collegata a Giovanni Bellini. L'erronea valutazione dell'influenza e del significato della pittura di Alvise Vivarini era stata nel frattempo corretta dal B. in due articoli sull'opera giovanile di Giovanni Bellini pubblicati nel terzo volume di Study and Criticism of Italian Art (1916). Il libro sul Lotto non ha avuto il peso che meritava nell'ambito degli studi monografici della pittura italiana.

Nel 1903 apparve quello che ad ogni buon conto è il lavoro di ricerca più sostanzioso del B., The Drawings of the Florentine Painters, Classified, Criticised and Studied as Documents in the History and Appreciation of Tuscan Art with a Copious Catalogue Raisonné (2 voll., London, Murray, in folio).

Come fece notare G. Gronau in una recensione alla prima edizione (in La Gazette des beaux arts, XXXIII [1905], pp. 341-348), lo studio dei disegni italiani del Rinasciniento era allora ancora ai suoi inizi. Le difficoltà dell'impresa non furono originate tanto dalla novità dell'argomento - non esistevano, per esempio, studi sistematici neppure sui disegni di Michelangelo -, dalla sua vastità, per cui furono necessari anni di faticosa ricerca nei gabinetti di grafica di tutta Europa, quanto per i termini di riferimento esposti dal B. secondo i quali i disegni dovevano essere analizzati dal primo all'ultimo sia per ciò che erano in se stessi, sia per la luce che gettavano sui processi creativi degli artisti dai quali erano stati eseguiti. Il testo del libro è scritto in uno stile più naturale e sciolto di qualsiasi precedente lavoro dei B. - il Gronau segnalava come particolarmente encomiabili le pagine su Andrea del Sarto - e il catalogo è un modello di rigore metodologico. Il libro apparve in un'edizione costosa di 355 esemplari e per molto tempo fu reperibile solo nelle biblioteche. Ma nel 1938 ne uscì un'edizione riveduta e meno cara presso la University of Chicago Press. Nel 1954 fu pubblicato in italiano uno stralcio dei Disegni di maestri fiorentini del Rinascimento in Firenze (Torino, Edizioni Radio Italiana) e l'intero testo fu tradotto nel 1961 (Milano, Electa). La nuova edizione comprese molto materiale nuovo (notevole una brillante trattazione dell'opera dei Signorelli, omessa precedentemente in quanto non fiorentino) inserito qua e là, tra parentesi, nel testo dell'edizione originale. Nell'introduzione il B. scrisse (p. 13): "Invece di camuffare i miei sforzi, presentando una superficie levigata e dura come la convinzione stessa, in questa nuova edizione ho preferito dunque conservare il ricordo dei miei precedenti brancolamenti e citare le conclusioni poi scartate, in quanto non sono semplicemente frutto di negligenza o di temporanea cecità, ma testimoniano il metodo da me seguito. Come ogni altro libro da me scritto, anche questo, infatti, è un saggio nel metodo attributivo, e per capirlo, lo studioso deve poter vedere come quel metodo si è sviluppato nel corso di una intera vita di lavoro".

L'introduzione all'edizione del 1938 (cfr. trad. ital., 1961) è la più importante esposizione dei B. sul metodo storico-artistico: "Come si riconosce la paternità di un disegno? Per rispondere onestamente a questa domanda, bisogna anzitutto dichiarare che la nostra conoscenza non è mai rigorosamente scientifica…, bensì nel migliore dei casi, semplicemente plausibile. E a tale plausibilità si può giungere in un solo modo, ossia attraverso la percezione che il disegno in parola fu creato dal medesimo spirito che riscontriamo in una serie di pitture o sculture a noi ben note." (p. 11). "Prima di chiudere questa introduzione, voglio dire una parola sulla "qualità". Nei nostri studi non basta averne l'idea astratta. Dobbiamo imparare a riconoscere con precisione, in ogni disegnatore, come essa sia condizionata dalle idiosincrasie dei suo temperamento, del suo tirocinio, delle circostanze in cui si trova, dell'umore che lo ispira al momento. Infine, quando tutto è stato detto e fatto, il giudizio ultimo e definitivo spetta alla nostra sensibilità, alla finezza delle nostre percezioni. Nessuna prova meccanica, nessuna considerazione di carattere materiale, nessun ricorso a specchi, magici o no, può affrancarci da quella responsabilità decisiva" (p. 14).

È straordinariamente grande in The Drawings… il numero delle attribuzioni del B. che hanno mantenuto la loro validità e, anche se in alcuni casi il giudizio attuale si discosta dalle sue conclusioni (come, ad esempio, quella relativa a un ben noto gruppo di disegni eseguiti da Michelangelo per Sebastiano del Piombo che il critico credeva essere di Sebastiano), il libro è stato un punto di riferimento fondamentale per tutti i successivi studi sui disegni fiorentini del Rinascimento.

Gli studi più significativi del B. sulla pittura senese, furono due lunghi articoli sul Sassetta pubblicati nel 1903 in The Burlington Magazine (III, pp. 3-35, 171-184), che più tardi (1909) formarono un libro intitolato Sassetta. A Sienese Painter of the Franciscan Legend (London, J. M. Dent and Sons).

Il libro fu tradotto in tedesco nel 194 (Strassburg, Heitz und Mündel), nel 1946 (Firenze, Electa) apparve la traduzione italiana (di Achille Malavasi: Sassetta; un pittore senese della leggenda francescana, dedicata alla memoria di Giacomo De Nicola "appassionato cultore dell'arte senese"), dalla quale il volume fu tradotto in francese nel 1948 (Paris, Albin Michel); l'edizione italiana è ampiamente riveduta, in quanto il B. prende correttamente atto dei progressi che gli studi sul Sassetta avevano fatto dopo il 1930. Il volume comprende un'analisi dello stile senese della prima metà dei quindicesimo secolo più approfondita di quella apparsa sette anni prima in Central Italian Painters; è inoltre un capolavoro di critica interpretativa la descrizione di tre pannelli grandi del polittico di Sansepolcro (tuttora conservati ai Tatti) e delle tavolette del postergale con Storie di s. Francesco (sette di esse furono vendute da Duveen a Clarence Mackay e sono oggi conservate alla National Gallery di Londra, mentre una tavoletta, l'unica già riconosciuta anche da altri come del Sassetta, è nel Museo Condé di Chantilly; per una ricostruzione dell'insieme, cfr. Italian Pictures. Central Italian and North Italian Schools, New York 1968, II, tavv. 556-557).

Fra le persone con cui il B. fu in rapporto negli Stati Uniti è da ricordare John G. Johnson, uno dei più intelligenti collezionisti dell'epoca, la cui raccolta si trova oggi al Philadelphia Museum of Art. Per lui il B. compilò il catalogo dei dipinti italiani di proprietà appunto del Johnson, pubblicato a Filadelfia nel 1913 (Catalogue of a Collection of Paintings and some Art Objects, I, Italian Paintings), che resta uno dei più completi cataloghi relativi ad una collezione di pittura italiana.

Dal 1901 in poi il B. prese a riunire in volume i suoi articoli precedentemente apparsi su vari periodici. La prima raccolta di tale genere consiste nei tre volumi intitolati The Study and Criticism of Italian Art, dei quali le prime serie uscirono a Londra (G. Beli and Sons: I, 1901, ristampato nel 1908, 1912, 1920 e 1930; II, 1902, ristampato nel 1910, 1914 e 1920) e furono tradotte in tedesco nel 1902 (Italienische Kunststudien und Betrachtungen, Leipzig, Hermann Seeman); mentre la terza fu pubblicata nel 1916 presso lo stesso editore londinese.

Il primo volume raccoglie materiale scadente, ma si caratterizza per un famoso articolo (pp. 46-69) sul cosiddetto Amico di Sandro; per un articolo inconcludente e con alcuni errori sulle copie da Giorgione (pp. 70-89); infine per una ristampa (pp. 90-146) dei saggio sulla pittura veneziana già pubblicato a Londra nel 1895. Anche se si è spesso ironizzato sul tentativo dei B. di isolare un gruppo di dipinti poi attribuiti al Botticelli, le risultanze devono considerarsi valide, in linea di massima, in quanto molti dei dipinti attribuiti all'Amico di Sandro furono più tardi riconosciuti come opere giovanili di Filippino Lippi, allievo del Botticelli, e altri furono ritenuti di un terzo artista non identificato. Il secondo volume, che contiene ottimi e originali articoli su Baldovinetti (pp. 23-38), Masolino (pp. 77-89), Filippino Lippi (pp. 90-96) e uno studio anticipatore sul miniaturista Girolamo da Cremona (pp. 97-110), è però danneggiato da un imprudente tentativo di,attribuire al Brescianino un cartone della Vergine col Bambino di Raffaello, conservato al British Museum (pp. 39-47), e da un saggio insensato sullo Sposalizio del Perugino a Caen (pp. 1-22). Il terzo volume, il più riuscito dei tre, è dedicato in gran parte alla pittura veneta del XV secolo e tratta (pp. 38-61) della S. Giustina di Giovanni Bellini della collezione Bagatti Valsecchi a Milano (un tempo attribuita dal B. ad Alvise Vivarini), dei trittici giovanili eseguiti da Giovanni Bellini e aiuti per la chiesa della Carità a Venezia (pp. 62-78), di una Madonna di Antonello da Messina (un tempo parte della collezione R. H. Benson a Londra, oggi nella National Gallery of Art di Washington: pp. 79-97), della pala di San Cassiano sempre di Antonello (pp. 98-123), della quale il B. identificò il pannello centrale nel Kunsthistorisches Museum di Vienna, e, infine, della Gloria di s. Orsola del Carpaccio, di cui fa un'analisi assai penetrante (pp. 124-136).

Contemporaneamente al terzo di questi volumi il B. pubblicò Venetian Painting in America: the Fifteenth Century (New York, Frederic Fairchild Sherman, 1916), edito in italiano nel 1919 (Dipinti veneziani in America, Milano, Alfieri e Lacroix) nella traduzione di G. Cagnola; è questo il libro che più di ogni altro si avvicina a quello che tanto bene il B. avrebbe potuto scrivere, ma non scrisse: un ampio esame della pittura veneziana del Quattrocento.

Seguì Essays in the Study of Sienese Painting (New York, Frederic Fairchild Sherman, 1918), una raccolta di articoli critici, molti dei quali rivisti, tutti comunque di secondario interesse. Otto anni dopo uscì Three Essays in Method (oxford, Clarendon Press, 1926; traduzione italiana, Metodo e attribuzioni, Firenze, Del Turco, 1947).

Il volume contiene uno scritto su di una pala d'altare del Botticelli, A Neglected Altarpiece by Botticelli (già pubblicato in Dedalo, V [1924-25], pp. 17-41), un ben noto studio intitolato A Possible and an Impossible Antonello da Messina (ibid., IV [1923], pp. 3-65), il suo saggio pit lungo che è Nine Pictures in Search of an Attribution (ibid., IV [1923], pp. 601-642, 688-722, 745-775); nella traduzione italiana è aggiunto un quarto saggio, Un Signorelli giovanile a Boston, pubblicato per la prima volta in Art in America, XIV (1926), pp. 105-117. Anche se non tutte le conclusioni del B. sono esatte, si tratta di un'affascinante opera di analisi storico-artistica che deve parte del suo interesse al metodo e parte al carattere spiccatamente personale: "Un problema come quello che ho cercato di risolvere, non si può trattare solo per via di dialettica e di assaggi. Bisogna che sia esperimentato e vissuto, provato e sentito" (p. 129).Nel 1930, dedicato alla memoria di A. Phillips, E. Bertaux e Giovanni [sic] De Nicola, uscì Studies in Medieval Painting (New Haven, Yale Univ. Press) con saggi su un'opera di (Cimabue pp. 17-31) di recente scoperta (un trittico allora di proprieti di Carl Hamilton oggi alla National Gallery of Art di Washington), su un Antifonario miniato da Lippo Vanni (pp. 3961: uno degli scritti più perspicaci del B. sulla pittura senese del Trecento), donato da Walter Berry alla Harvard University e oggi nella Houghton Library di quella università, n. 1928-1174-C, e sulle prime opere dell'artista fabrianese Allegretto Nuzi (pp. 63-74).

Quest'ultimo articolo, pionieristico per l'epoca in cui fu scritto, è stato in parte invalidato dall'identificazione delle opere di un contemporaneo dei Nuzi, Puccio di Simone. Il libro càntiene inoltre (pp. 30 s.) un cordiale omaggio a P. Toesca, lo studioso italiano di arte medievale, con cui il B. si sentiva in maggior consonanza.

Nel 1958, già vecchio, il B. pubblicò Essays in Appreciation (London, Chapman and Hall), composto in parte da brevi e dotti contributi sul maestro di San Miniato, su Zanobi Machiavelli e su dipinti di area giorgionesca (tra i quali una famosa Madonna conservata nell'Ashmolean Museum di Oxford, che egli attribuiva al pittore veronese G. Cariani) già apparsi su vari periodici e in parte da articoli pubblicati sul Corriere della sera (al quale collaborò intensamente dal 3 maggio 1953 al 25 maggio 1955).

Tra questi il più efficace e il meno controverso è quello sul Tiepolo; diversi saggi ispirati dalle grandi mostre sulla pittura emiliana del Seicento organizzate a Bologna, esaminano, sub specie aeternitatis, l'opera del Reni e dei Carracci e, appena furono pubblicati, provocarono qualche reazione, soprattutto quello sul Reni, il cui colore, secondo il B., è "come una graticola senza fuoco" (p. 122).

Tra il 1929 e il 1932 il B. pubblicò, prima in inglese su International Studio e poi in italiano su Dedalo, una serie di articoli raggruppati sotto il titolo generale di Quadri senza casa. Questi articoli furono riuniti in un volume postumo come Homeless Paintings of the Renaissance (London, Thames and Hudson, 1969).

Trattano di dipinti, talvolta conosciuti dal B. solo attraverso riproduzioni fotografiche, per cui non era possibile stabilime l'origine, alcuni dei quali erano di passaggio da un proprietario all'altro. Il livello delle opere raramente era di prim'ordine e le argomentazioni, condite da riferimenti polemici ai più importanti critici suoi contemporanei, ma più giovani di lui, come Roberto Longhi e Richard Offner, sono espresse in un tono dilettantistico volutamente irritante. Nel libro, tuttavia, è anche incluso (pp. 199-233) un articolo molto importante già apparso nel Bollettino d'arte (s. 3, XXVI [1932], pp. 49-66: Fra' Angelico, Fra' Filippo e la cronologia).

Fin dall'inizio della sua attività il B. riteneva di essere destinato a scrivere una grande opera sulla "decadenza e ripresa delle arti figurative" e in tarda età il suo rammarico era di esservi stato distolto dal suo impegno nella ricerca. Mentre lavorava ai Disegni di maestri fiorentini, suocognato B. Russell scriveva The Principles of Mathematics e G. Santayna Life of Reason. A probabile che il B., anche nel suo periodo migliore, non sarebbe stato capace di dare vita a un'opera di tale apertura intellettuale; nel 1948, ormai in età avanzata, scrisse comunque Aesthetics and History in the Visual Arts (New York, Pantheon, 1948; cfr. p. 27 dell'edizione italiana).

Questo testo, pensato non tanto come un generico contributo alle teorie estetiche quanto come sintesi razionale dei principi estetici che sottendono ai suoi primi lavori, fu pubblicato in Italia sempre nel 1948 (tradotto da Mario Praz) con il titolo Estetica, etica e storia nelle arti della rappresentazione visiva (Milano, Electa) e nel 1950 in Inghilterra con il fuorviante titolo Aesthetics and History (London, Constable; vers. tedesca, Zürich 1950): la versione italiana fu la più riuscita.

"Scopo di questo avviamento alla teoria e alla storia dell'arte nel campo della rappresentazione visiva" scrive il B. nell'introduzione (p. 11) "è di riformulare certe idee che si son venute maturando durante una carriera di parecchi anni. Io ho pubblicato libri ed articoli ma … non ho pubblicato quasi nulla circa le supposizioni ed i convincimenti che hanno provocato e diretto la mia opera". E dichiara di voler insistere nel "tener distinti in compartimenti separati l'artista e l'opera d'arte" (p. 13), e nello scrivere dal punto di vista di colui che gode dell'opera e non da quello di colui che l'ha creata. Per il libro da cui sono state tratte queste parole, ciò è vero solo in senso ristretto. Il primo lungo capitolo, sul "valore", presenta una riformulazione delle prime teorie del B. sui valori tattili (pp. 93-99), sulle sensazioni immaginarie (pp. 99-106), sulla decorazione e illustrazione (pp. 130 s.), ed è degno di nota soprattutto per una sezione sul colore (pp. 120-129), che era stato trascurato in Venetian Painters of the Renaissance. II capitolo sull'"Illustrazione" è in linea con le posizioni sostenute nei primi libri; nel quarto capitolo, sulla "Storia", lo scrittore esprime la sua disapprovazione per Riegl e Wickhoff, il quale ultimo, a suo parere, aveva erroneamente interpretato lo scadimento della qualità come un cambiamento di stile.

Il problema della disintegrazione dello stile tardo antico fu discusso dal B. anche in un altro breve libro, pubblicato prima, nel 1952, nella versione italiana di L. Vertova, L'arco di Costantino o della decadenza della forma (Milano, Electa), poi, nel 1954, in inglese (London, Chapman and Hall). Altri libri tardi trattano di Piero della Francesca o dell'arte non eloquente (versione italiana di L. Vertova, Milano, Electa, 1950; edizione inglese, London, Chapman and Hall, 1954) e di Caravaggio, delle sue incongruità e della sua fama (versione italiana di L. Vertova, Milano, Electa, 1951; ediz. inglese, London, ibid., 1953).

Quando furono pubblicati, entrambi i libri suscitarono qualche contrasto; nel primo il fascino di Piero della Francesca era spiegato in termini meno sofisticati di quelli comuni all'epoca o che comunque da allora sono divenuti comuni, e nel secondo Caravaggio era presentato come un artista potenzialmente classico nella sostanza, allontanatosi per caso dalle sue naturali inclinazioni.

Più congeniale al B. e degno di nota è un gruppo di libri del periodo tardo, non strettamente legati alla storia dell'arte. Il primo di questi (l'unico che raggiunse una certa popolarità), Sketch for a Self-Portrait, apparve in Inghilterra (London, Constable) e in America (New York, Pantheon) nel 1949, in Italia (Abbozzo per un autoritratto, Milano, Electa) nello stesso anno, e in Germania (Wiesbaden, Insel) nel 1953; il suo interesse non è tanto nel modo in cui è scritto, quanto nell'onestà senza compromessi dell'analisi che il B. fa di se stesso. Il B. fu un accanito scrittore di diari, e un suo diario degli anni della guerra è alla base di Echi e riflessioni. Diario 1941-44 (trad. di G. Alberti, Milano, Mondadori, 1950), pubblicato poi in inglese (London, Constable, 1952; New York, Simon and Schuster, 1952). Questo libro insieme con One Year's Reading for Fun (1942) (New York, Knopf, 1960), che è un resoconto delle letture del B. nell'anno 1942, descrive, in modo mirabile, il processo mentale del B. durante l'unico periodo di crisi fisica della sua vita. Nel 1951 veniva curata da L. Vertova la pubblicazione di Vedere e sapere (MilanoFirenze, Electa), dal manoscritto del 1948 Seeing and Knowing, edito in inglese nel 1953 (London, Chapman and Hall). Nel 1953 il B. stendeva alcuni appunti sul viaggio in Sicilia (19 maggio-16 giugno), che venivano pubblicati sul Corriere della sera tra il 28 giugno e il 13 novembre dello stesso anno: Sunset und Twilight from the Diaries of 1947-1958 (New York Harcourt, Brace and World, 1963; trad. ital. a cura di N. Mariano, prefaz. di E. Cecchi: Tramonto e crepuscolo; ultimi diari 1947-58, Milano, Feltrinelli, 1966); è il più personale di questi libri, e quello che più commuove coloro che hanno conosciuto il B.; l'introduzione di I. Origo offre la migliore e più veritiera descrizione della sua personalità.

Nella Berenson Library della villa I Tatti il Harvard Center for Renaissance Studies custodisce l'archivio Berenson (ancora non ordinato). In esso sono conservati i manoscritti originali, numerose bozze e varie annotazioni relative alle opere a stampa del B., la corrispondenza (cfr. Mariano, 1965), alcune recensioni delle sue opere, numerose fotografie del B. e dei suoi amici.

Per un elenco delle opere del B. (comprendente le varie edizioni e traduzioni fino al 1955) si veda Mostyn-Owen, 1955, che fornisce anche indicazioni su articoli, prefazioni ed epistolario, incluse le lettere apparse sui quotidiani (cfr. Mariano, 1965). Nel 1957, '58, '59, la casa editrice Electa di Milano ha pubblicato tre volumi con pagine di diario (1942-56) e articoli sparsi, sotto il titolo Raccolta di saggi di B. B., diretta da N. Mariano, versione italiana di A. Loria. Nel 1960 è uscito a Londra (Thames and Hudson) The Passionate Sightseer, from the Diaries 1947-1956, con prefazione di R. Mortimer (trad. francese presso Gerardjulien Salvy, Paris 1985), interessante anche per le fotografie e le illustrazioni; le pagine che si riferiscono alla Calabria sono state tradotte in italiano da F. Spencer Vollaro in Brutium, LIX (1980), pp. 36-40.

Le opere del B. da cui è tratta la maggior parte delle citazioni presenti in questa biografia sono: I pittori italiani del Rinascimento, Milano 1936; Estetica etica e storia nelle arti della rappresentazione visiva, ibid. 1948; Abbozzo per un autoritratto, ibid. 1949; Echi e riflessioni. Diario 1941-1944, ibid. 1950; Tramonto e crepuscolo; ultimi diari, 1947-58, ibid. 1966.

Fonti e Bibl.: Bibliografia di B.B., a cura di W. Mostyn-Owen, Milano [1955]; R. Papi, Una visita al signor B. e ai Tatti, Firenze 1958; G. Colacicchi, Ricordo di B. B., Firenze 1959; S. Sprigge-B. Skelton, B. B., in Encounter, genn. 1960, pp. 59-63; H. Kiel, The B. B. Treasury, London-New York 1962; U. Morra, Colloqui con B., Milano 1963; S. Sprigge, La vita di B., Milano-Napoli 1963; The Selected Letters of B. B., a cura di A. K. McComb, London 1964; The Berenson Archive, An Inventory of Correspondence, a cura di N. Mariano, Cambridge, Mass.,-Florence 1965; L. H. Tharp, Mrs Jack, Boston-Toronto 1965, ad Indicem; R. Wellek, Vernon Lee, B. B. and Aesthetics, in Friendship's Garland, Essays Presented to M. Praz…, II, Roma 1966, pp. 233-251; N. Mariano, Quarant'anni con B., Firenze 1969; E. Samuels, B. B.: the Making of a Connoisseur, Cambridge, Mass.,-London 1979; M. Secrest, Being B. B., Holt 1979; B. Berenson-C. Marghieri, Lo specchio doppio, Milano 1981; F. Bellini, Una passione di R. Longhi: B. B., in L'arte di scrivere sull'arte. R. Longhi nella cultura del nostro tempo, Roma 1982, pp. 9-26; Mary Berenson. A self-portrait from her letters and diaries, a cura di B. Strachey-J. Samuels, London 1983; F. Clerici, Conversando di O. Wilde con B. B., in Il Messaggero, 17 nov. 1986; J. Pope-Hennessy, Il mestiere di conoscitore, in Il Giornale dell'arte, IV (1986), n. 40, pp. 43 s.


Contatti: giovanni_pititto@libero.it

sabato 1 agosto 2020

2005. Cosimo Damiano Fonseca, BRÉHOLLES, JEAN-LOUIS-ALPHONSE.

HUILLARD-BREHOLLES, JEAN-LOUIS-ALPHONSE

di CCosimo Damiano Fonseca - Federiciana (2005)
HUILLARD-BRÉHOLLES, JEAN-LOUIS-ALPHONSE. - Nacque nel 1817 da Alphonse-Charles-Marie-Nicolas e da Elisabeth-Josephine Tonus a Parigi dove verosimilmente compì i suoi primi studi conseguendo l'abilitazione all'insegnamento. Nel 1830 ricevette il Prix d'Étude. Nel 1838 divenne professore di storia al Liceo Charlemagne di Parigi: incarico che tenne sino al 1842. Nel 1839 risulta già membro della Commissione nazionale per i monumenti storici e degli Archivi nazionali francesi e nel 1865 compare con la qualifica di "Sous-chef de Section aux Archives de l'Empire, Membre du Comité des travaux historiques de la Société impériale des Antiquaires". Decorato della Légion d'Honneur divenne membro dell'Académie des Inscriptions et Belles-Lettres. Fu tra la fine degli anni Trenta e gli inizi degli anni Quaranta che si avviò un duraturo sodalizio con il duca de Luynes, Honoré-Théodoric-Paul-Joseph d'Albert (1802-1867), il quale assunse il ruolo di provvido mecenate delle ricerche e delle pubblicazioni di Huillard-Bréholles. Antichista, scienziato, mineralogista, chimico, poligrafo il de Luynes nel 1839 darà alle stampe un commentario storico e cronologico dei Diurnali di Matteo da Giovinazzo, mentre tre anni prima aveva incaricato l'architetto Victor Baltard di procedere al rilievo dei più importanti monumenti dei principi normanni e svevi delle province continentali del Regno di Napoli il cui testo di commento sarà redatto da H.-B.: l'opera comparirà nel 1844. Frattanto nel 1840-1842 vedevano la luce i nove volumi della traduzione in francese con il relativo commento dei Chronica Majora di Matteo Paris effettuata da H.-B. e preceduta da una introduzione dettata dallo stesso duca de Luynes, finanziatore peraltro dell'opera.
Fu in questo clima che maturarono gli interessi federiciani di H.-B. come rileva egli stesso nella ampia Notice sul duca de Luynes, personalità di spicco dell'aristocrazia francese e impegnato nell'attività politica all'Assemblea Costituente del 1848 e in prestigiose istituzioni culturali, dall'Accademia delle Scienze di Berlino all'Institut Archéologique di Roma, alla Société de l'Histoire de France, ecc. nonché partecipe della grande svolta politico-religiosa realizzatasi durante il pontificato di Leone XIII; la morte lo colse a Roma il 15 dicembre 1867 alla vigilia di un'udienza accordatagli da papa Pecci.
Dopo la pubblicazione nel 1844 delle Recherches sur les monuments et l'historie des Normands et de la maison de Souabe dans l'Italie méridionale il duca de Luynes suggerì a H.-B. come fosse necessario per una maggiore comprensione dei monumenti dell'età normanno-sveva studiare e pubblicare i documenti di quel periodo e l'attenzione fu indirizzata verso i diplomi, le lettere, i rescritti, ecc. di Federico II in quanto testimonianze significative di quella politica di compenetrazione e osmosi tra l'Italia e la Germania; e non è certo puramente casuale che la Historia diplomatica Friderici secundi, il cui primo volume comparve nel 1852, venisse dedicata dallo stesso duca de Luynes a Federico Guglielmo IV di Prussia, "de scientiis artibusque suo tempore meritissimi", ma anche erede della dignità imperiale di cui Federico II aveva difeso strenuamente il ruolo e le funzioni. Cominciò così da parte di H.-B. l'esplorazione di archivi e biblioteche, l'acquisto di libri rari, la trascrizione della cospicua serie documentaria che lo impegnarono sino al 1861 quando comparve l'ultimo volume. L'attività di editore di testi di H.-B. non si limitò all'Historia diplomatica, ma continuò con la pubblicazione a Parigi, nel 1856, del Chronicon placentinum e del Chronicon de rebus in Italia gestis interessanti in larga misura, pur con diversità di vedute, il periodo degli imperatori di casa sveva, Federico Barbarossa e Federico II: si tratta di due manoscritti conservati rispettivamente nella Biblioteca Nazionale (allora Imperiale) di Parigi, il nr. 4931, e nella British Library di Londra, il nr. 3678 del fondo Harley. Infine H.-B. concludeva la sua feconda attività di editore di fonti dell'età sveva con la pubblicazione di una biografia (e delle lettere) di Pier della Vigna comparsa nel 1865. Sei anni più tardi, il 23 marzo 1871, H.-B. moriva a Parigi.
Il contributo di H.-B. alla conoscenza dell'età di Federico II fu indubbiamente di grande importanza e di duratura fama anche se le edizioni del benemerito erudito francese vanno collocate all'interno di ben individuate opzioni metodologiche in parte, come si constaterà, non accolte con favore dalla critica degli ultimi settant'anni (v. Storiografia, Otto e Novecento).
L'Historia diplomatica Friderici secundi aveva richiesto una lunga fase di preparazione per il reperimento dei materiali negli archivi e nelle biblioteche di buona parte dell'Europa. Questo iter federicianum approdò alla raccolta di tremila documenti autentici di cui circa un terzo risultava inedito. Per la loro classificazione H.-B. si era servito dello stesso metodo utilizzato dal Böhmer, quello cioè di separare i documenti di Federico da quelli dei suoi figli collegandoli con la citazione di passi presi dalle cronache coeve, ma vi aveva apportato alcune modifiche come quella relativa all'inserimento delle lettere dei papi e di documenta varia, le prime per la loro stretta connessione con le lettere imperiali, i secondi per la registrazione di avvenimenti secondari che aiutavano a far luce sulle dinamiche politiche e sul "mouvement des esprits" (Historia diplomatica, I, p. IX).
Ogni documento è preceduto da un breve regesto con i relativi richiami di carattere diplomatistico e paleografico e brevi notazioni storiche laddove richieste; i criteri di edizione risultano piuttosto pragmatici in quanto elaborati con lo scopo di effettuare da parte dell'editore interventi di restituzione o integrazione per una 'corretta' lettura.
Comunque l'ingente mole dei documenti occupa ben undici volumi anche se la materia appare raccolta in sei parti secondo la seguente scansione cronologica: la prima dal 1198 al 1220; la seconda dal 1220 al 1227; la terza dal 1227 al 1231; la quarta dal 1231 al 1236; la quinta dal 1237 al 1241; la sesta dal 1241 al 1250. Alla fine di ogni volume si ritrovano gli Additamenta, cioè i documenti giunti o rinvenuti più tardi e che completano o rettificano alcune parti degli altri testi, oltre che tabelle e indici che facilitano la consultazione dei volumi.
L'opera portata a termine da H.-B. grazie al suo mecenate, il duca de Luynes che l'aveva ispirata, aveva incontrato già prima di essere pubblicata il favore incondizionato di studiosi di diverso orientamento; comunque per avere un'idea dei rapporti e dei contatti intercorsi per la sua preparazione basterà scorrere l'elenco di coloro verso i quali si indirizza la gratitudine dell'autore della Historia diplomatica: de Cherrier e Reinaud membri dell'Institut de France, Böhmer di Francoforte sul Meno, "l'un de ces infatigables chercheurs dont l'Allemagne est justement fière" (ibid., p. XV), Staelin e Kausler di Stoccarda, Mone di Carlsruhe, Waitz, "le célèbre professeur et critique de Göttinge" (ibid.), Voigt de Könisberg, storico dell'Ordine teutonico, Polain, archivista di Liegi, membro dell'Accademia Reale belga e, per quanto riguarda l'Italia, i fratelli Volpicella e M. Camera, "trois hommes aussi aimables qu'instruits" (ibid.), e Michele Amari "qui occupe par de si beaux travaux les loisirs de l'exil" (ibid.).
Nell'ambito della Historia diplomatica e precisamente nella terza parte (volume V), H.-B. aveva pubblicato una edizione del Corpus legislativo di Federico II sulla scorta di quella del 1786 curata da Gaetano Carcani con l'integrazione delle carte mancanti effettuata con l'aiuto di una delle tre copie secentesche che egli aveva consultato presso la biblioteca di sir Thomas Phillips a Middle Ile in Gran Bretagna. Ma per migliorare il testo egli aveva studiato altri due codici conservati nella Biblioteca Nazionale di Parigi, rispettivamente i mss. Lat. 4624 e Lat. 4625; inoltre aveva cambiato l'ordine di successione delle leggi dell'imperatore convinto di rinvenire nella versione greca la testimonianza diretta del Corpus promulgato a Melfi nel 1231, di cui era riprova il ms. parigino 4626; le restanti costituzioni tramandate nel ms. parigino 4624 furono, invece, riunite insieme con altre come Novae Constitutiones e pubblicate in appendice seguendo l'ordine del loro contenuto. Comunque l'edizione di H.-B. si distingue dalle precedenti per la sua maggiore vicinanza alla tradizione manoscritta, ma non per la sua affidabilità ai fini della consultazione tenuto conto del metodo di edizione abbastanza disinvolto, se non arbitrario. In tal senso dopo i rilievi già mossi da Hagemann (1952) sulla bontà della edizione, hanno avanzato di recente fondate riserve sia Wolfgang Stürner (1996) che Cristina Carbonetti Vendittelli (2002).
Nella prefazione alla Historia diplomatica H.-B. aveva ricordato le iniziative assunte nel Settecento circa la raccolta delle lettere di Federico II e in particolare quella messa in atto da Francesco Daniele con la pubblicazione della Vita e legislazione dell'imperadore Federico II dove era stato inserito "un classement raisonné des lettres de Pierre de la Vigne" (Historia diplomatica, I, p. IV). Il problema delle lettere del potente consigliere dello Svevo sarà ripreso un decennio più tardi da H.-B. con l'edizione della Vie et correspondance de Pierre de la Vigne comparsa a Parigi nel 1865. Nella presentazione dell'opera egli dichiarava che essa era scaturita dalla convergenza di varie circostanze: innanzitutto una memoria che lo stesso autore aveva presentato sull'argomento all'Académie des Inscriptions et Belles-Lettres nel 1858 e poi l'opportunità di utilizzare in un'opera di più ampio respiro la ricchezza dei materiali che aveva precedentemente raccolto e, non da ultimo, la pregnanza del soggetto che andava ulteriormente indagato nonostante che nel 1860 fosse stata pubblicata una biografia di Pier della Vigna da parte di Giuseppe De Blasiis frutto di "recherches fort estimables" (Vie et correspondance, 1865, p. I). Accanto a questi motivi, emergono altri due scopi che attengono alla sostanza dell'opera e che ne giustificano la pubblicazione: innanzitutto l'esame del ruolo che la tradizione aveva attribuito al ministro di Federico II nel movimento di riforma del XIII sec. e che aveva suscitato forti perplessità in De Blasiis e Waithe, poi la revisione critica dei documenti relativi a Pier della Vigna molto spesso arbitrariamente interpretati. De Blasiis aveva contestato a H.-B. il disegno attribuito a Federico II e a Pier della Vigna volto a "fondare una Chiesa scismatica laicale", mentre sullo stesso argomento Waithe aveva avanzato fondati dubbi sulla interpretazione delle metafore bibliche contenute nelle lettere. H.-B. riprende l'intera materia con più ampie e articolate argomentazioni ma non discostandosi dalla sostanza della sua tesi circa la complessa vicenda esaltante e tragica del potente consigliere dell'imperatore. Comunque ancora per molti decenni quest'opera rimarrà un essenziale punto di riferimento conferendo a H.-B. un posto di rilievo nella storiografia federiciana tra Otto e Novecento.
Fonti e Bibl.: opere di J.-L.-A. Huillard-Bréholles: Grande Chronique de Matthieu Paris, traduite en français et annotée parA. Huillard-Bréholles, accompagnée de notes et précédée d'une introduction, par M. le duc de Luynes, Paris 1840-1841; Recherches sur les monuments et l'historie des Normands et de la maison de Souabe dans l'Italie méridionale, publiées par les soinsde M. le Duc de Luynes, membre de l'Académie des Inscriptions et Belles-Lettres.Texte par A. Huillard-Bréholles; dessins par Victor Baltard, architecte, ivi 1844; Historia diplomatica Friderici secundi, sive Constitutiones, privilegia, mandata, instrumenta quae supersunt istius Imperatoris et Filiorum ejus. Accedunt Epistolae Paparum et Documenta varia. Collegit, ad fidem chartarum et codicum recensuit, juxta seriam annorum disposuit et notis illustravit J.-L.-A. Huillard-Bréholles in Archivio caesario Archivarius auspiciis et sumptibus H. de Albertis de Luynes unius ex Academiae Inscriptionum Sociis, ivi 1852-1861; Chronicon placentinum et chronicon de rebus in Italia gestis, historiae stirpis imperatoriae Suevorum illustrandae aptissima, ad fidem Parisiensis et Londinensis codicum nunc primum recensuit, edidit et praefatione instruxitJ.-L.-A. Huillard-Bréholles auspiciis et sumptibus h. de Albertis de Luynes, ivi 1856; Vie et correspondance de Pierre de la Vigne, Ministre de l'Empereur Frédéric II, avec une étude sur le mouvement réformiste au XIIIe siècle par A. Huillard-BréhollesSous-chef de Section aux Archives de l'Empire, Membre du Comité des travaux historiques de la Société imperiale des Antiquaires [...], ivi 1865; Notice sur le Duc de Luynes Membre de l'Institut, Représentant du Peuple aux Assemblées Constituentes de 1848 à 1851, Ancien Membre du Conseil de surveillance de l'Assistence publique à Paris et du Conseil général de Seine-et-Oise, Chevalier de l'Ordre du Mérite de Prusse, Membre Honoraire de l'Académie des Sciences de Berlin, Associé de l'Institut Archéologique de Rome, Membre du Conseil de la Société de l'Histoire de France [...], ivi 1868. Constitutiones regum regni utriusque Siciliae mandante Friderico II imperatore per Petrum de Vinea capuanum praetorio praefectum et cancellarium concinnatae, a cura di G. Carcani, Neapoli 1786; F. Daniele, Vita e legislazione dell'imperadore Federico II, ivi 1786; Della vita e delle opere di Pietro della Vigna. Ricerche istoriche di Giuseppe De Blasiis, ivi 1864; E. Sthamer, Studien über die sizilischen Register Friedrichs II., "Sitzungsberichte der Preussischen Akademie der Wissenschaften", 1920, pp. 584-610; 1925, pp. 168-178; 1930, pp. 78-96 (ripubblicati in Beiträge zur Verfassungs- und Verwaltungsgeschichte des Königreichs Sizilien im Mittelalter, a cura di H. Houben, Aalen 1994); W. Hagemann, La nuova edizione del Registro di Federico II, in Atti del Convegno internazionale di Studi federicianitenutosi in occasione del VII centenario della morte di Federico IIPalermo 1952, pp. 315-336; Die Konstitutionen Friedrichs II. für das Königreich Sizilien, in M.G.H., Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, II, Supplementum, a cura di W. Stürner, 1996, pp. 41 ss.; O. Zecchino, Le edizioni delle Costituzioni di Federico II, in Federico II legislatore del regno di Sicilia nell'Europa del Duecento. Per una storia comparata delle codificazioni europee. Atti del Convegno internazionale di studi organizzato dall'Università degli Studi di Messina, Messina-Reggio Calabria, 20-24 gennaio 1995, a cura di A. Romano, Roma 1997, pp. 229-259; Die Urkunden Friedrichs II. 1198-1212, in M.G.H., Diplomata, XIV, 1, a cura di W. Koch, 2002, pp. VII ss.; Il registro della cancelleria di Federico II del 1239-1240, a cura di C. Carbonetti Vendittelli, I, Roma 2002, pp. XXV-XXVII.
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