Coriandoli
Coriandoli di Bellezza
Imany - You will never know - Festival Jazz Andernos 31.07.2011
(Condivisione: http://youtu.be/0KOvFgM3UOA)
(Su Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=0KOvFgM3UOA - caricato da: biobos33 - si ringrazia)
"Mi trovo a mio agio, nella conversazione, quando tutto concorre,
se concorre,
all'obiettivo della limpida conoscenza e le parole sono sostenute
da ciò che dire non si può ma traspare,
fa capolino dalle smagliature del discorso,
si annuncia a dispetto".
Il silenzio assapora il senso della parola, ne fa un sapere vissuto.
Tutto il resto è chiosa...
Essendo riusciti, attraverso le parole, a rintracciare la strada maestra della vicinanza, possiamo uscire dalla caverna del linguaggio, ma anche ritornarvi senza timore, perché lo abbiamo addomesticato".
"Sia Armonia struggente e consolante.
Siano coriandoli.
Coriandoli. Di Bellezza".
(N)
se concorre,
all'obiettivo della limpida conoscenza e le parole sono sostenute
da ciò che dire non si può ma traspare,
fa capolino dalle smagliature del discorso,
si annuncia a dispetto".
"Nel corso di una conversazione, di fronte ad una domanda che ci viene rivolta, anche nel modo più neutro o comunque cortese, capita talvolta di avvertire un sottile disagio: siamo veramente liberi di dare la nostra risposta, oppure essa appartiene alla domanda che l'ha evocata?
Può infatti accadere che la domanda pre-disposta abbia la sua risposta, come una carta geografica raffigura il territorio attraverso coordinate scelte secondo la rappresentazione che si intende ottenere. Ci sentiamo costretti ad una violenta selezione non tanto delle possibili risposte (ogni domanda ha la sua risposta pertinente...) ma dei possibili discorsi che una risposta libera potrebbe aprire, trascegliendone una soltanto, quella che, più che corrispondere, compiace come la risposta adatta.
La risposta appare spesso riduttiva, modellata sulla misura di chi la riceve e che solo così può essere capita.
Accade anche, peraltro, che comprendiamo solo le domande per le quali abbiamo una risposta e perciò non ci inseriamo nel solco tracciato dal nostro interlocutore ma non riusciamo comunque ad indicare un percorso comune.
Stiamo chiacchierando. È la partita a tennis delle parole.
Nel dialogo comunicativo, invece, le domande non hanno l'urgenza della forma interrogativa, ma sono piuttosto appelli, che abbandonano la sua pur inconsapevole pretesa della unicità e univocità della risposta.
Il dialogo propone una relazione paritaria che cerca la comunicazione nella libertà e nella reciprocità. Le domande non mirano a provocare una risposta che è ritenuta tale solo se assimilabile ad una griglia, ma mirano a chiarire ciò che ancora non si comprende e che si attende di comprendere: sono ingenue, rispettose, discrete. Il dialogo non è un'inchiesta, ne una richiesta: si affaccia nel silenzio, che non è la negazione della parola ma il suo intervallo o, meglio, ciò che la rende possibile perché apre lo spazio dell'ascolto nella libertà.
Volto il mio volto verso l'altro, mi espongo ma non lo interrogo: lo invito; attendo il suo consenso ad un dialogo che vuole tenersi lontano dai sentieri levigati perché già percorsi della chiacchiera (che, tuttavia, può esserne una premessa).
L'altro non è più una cosa nella quale mi imbatto e con la quale "scambio due parole" parole allora equivalenti come tutto ciò che è oggetto di scambio - , non è un fatto al quale assisto, ma è il tu che io assisto, al quale offro assistenza, al quale mi dischiudo. Incontro l'altro quando non lo avverto come colui che mi invade, mi colonizza, limita il mio io ma come la fonte del mio io.
L'io è solo in relazione ad un altro che presagisco essere il mio tu, apriamo un varco e disboschiamo insieme e reciprocamente i rami dei nostro io ipertrofico per scoprire-inventare il campo fertile del noi.
Il noi non è la confusa somma aritmetica di due io, ma dell'io che io assumo e vale per me perché è il tuo: tu e viceversa. L'incontro nel noi crea un universo che non esisteva prima e che riprende e porta con sé, comprendendolo, tutta la tua vita prima di me e tutta la mia vita prima di te.
Nel dialogo comunicativo, ciascuno mette in comune, a disposizione, se stesso: l'io, alimentato dal tu, concresce, si allarga in cerchi concentrici che assimilano anche tutti i noi che l'altro ha in sé e che, nel racconto di sé, mi dona. La comprensione "prende dentro" tutto: nulla dell'altro mi è precluso, vietato o estraneo, nulla rifiuto.
Nell'incontro, nel noi, siamo decuplicati e potenziati all'infinito. Quando la comunicazione si allenta, mi perdo, decado, ritorno ad essere un punto di solitudine. L'altro diventa l'alieno e io lo straniero.
Eppure, anche nella comunicazione occorre mantenere una distanza, che non è lontananza, ma l'irriducibile differenza che può assistere e soccorrere l'altro offrendogli il proprio punto di vista.
Ciò è possibile proprio sulla base del riconoscimento di un'affinità che non ci permette di perderci di vista. In virtù della comunicazione realizzata grazie alle parole, si consente alle parole di ritrarsi e farsi silenziose. Le parole sono state messe in conto ma, ormai, sono ciò che meno conta, perché coabitiamo il noi nel raccoglimento stuporoso della comunicazione avvenuta.
Il silenzio assapora il senso della parola, ne fa un sapere vissuto.
Tutto il resto è chiosa...
Essendo riusciti, attraverso le parole, a rintracciare la strada maestra della vicinanza, possiamo uscire dalla caverna del linguaggio, ma anche ritornarvi senza timore, perché lo abbiamo addomesticato".
Solo adesso, adesso e solo ora. Sia.
Siano coriandoli.
Coriandoli. Di Bellezza".
(N)
Armonie struggenti e consolanti.
Un dono.
Pau Casals - El cant dels ocells (at the White House) Pau Casals - Cello, Mieczysław Horszowski - Piano from the album "A Concert at the White Houe"
(Columbia KL 5726) recorded live on November 13, 1961 at the White House and released in 1962.
(Su Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=qKoX01170l0 da juristchesus juristchesus
- il 7 ottobre 2010 - si ringrazia)
(Condivisione: http://youtu.be/qKoX01170l0)
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Benedetta Craveri, La civiltà della conversazione - gli Adelphi, 2006,
3ª ediz., pp. 651 - ISBN: 9788845920608
Storia moderna, Storia del gusto.
(Montaggio grafico e adattamento di GP)
(Montaggio grafico e adattamento di GP)
«Alla Civiltà della conversazione Benedetta Craveri ha dedicato un amabile e piacevolissimo libro che raccomando a tutti coloro che adorano I tre moschettieri e Venti anni dopo. Vi troveranno ritratti di salons, di signori e signore, chiacchiere, epigrammi, pettegolezzi, amori, congiure, conversioni, conventi, fantasie romanzesche, duelli, l’ombra di Versailles, Madame de La Fayette, La Rochefoucauld, Voltaire, Diderot; e gli eventi della storia, che si prestano gentilmente, sullo sfondo, a fare da comparse. Da una parte Benedetta Craveri vive, appassionatamente, dentro il suo libro ... dall’altra è una storica, fruga coscienziosamente nelle biblioteche, insegna all’Università, e giudica» (Pietro Citati).
Armonie struggenti e consolanti
Il noi non è la confusa somma aritmetica di due io,
ma dell'io che assumo e vale per me perché è il tuo.
L'incontro nel noi crea un universo che non esisteva prima e che riprende e porta con sé, comprendendolo,
tutta la tua vita prima di me
e tutta la mia vita prima di te.
(E)
Il noi non è la confusa somma aritmetica di due io,
ma dell'io che assumo e vale per me perché è il tuo.
L'incontro nel noi crea un universo che non esisteva prima e che riprende e porta con sé, comprendendolo,
tutta la tua vita prima di me
e tutta la mia vita prima di te.
(E)
Arthur Rubinstein - Chopin, Nocturne Op. 48, No. 2 in F sharp minor
(Su Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=NONg06Pf0v8&list=PL552450E1514256AB - da ArRubMusic
- l'11 luglio 2009)
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Benedetta Craveri
Nata a Roma il 23 settembre 1942, Benedetta Craveri si è laureata nel 1969 in Lettere, indirizzo di Filologia Classica, con una tesi su "La formazione del gusto neoclassico e André Chénier", sotto la direzione di Giovanni Macchia. Dal 1976 al 1986 ha diretto il programma culturale di Radiotre "Spazio Tre", dal 1988 è stata professore associato di Lingua e Letteratura francese nella Facoltà di Lingue e Letterature Moderne dell'Università della Tuscia e , dal 2001, è professore straordinario di prima fascia. A partire dal 1 novembre 2005 si è trasferita all'Università degli Studi Suor Orsola Benincasa a Napoli come professore ordinario di Letteratura francese. Nel 2007 è stato professore invitato all'Università della Sorbonne ( Paris IV).
E' membro del Consiglio direttivo della Fondazione Benedetto Croce a Napoli e del Consiglio scientifico dell'Istituto dell' Enciclopedia Italiana; è membro della Associazione culturale Joseph Brodsky; è membro della Commissione per i premi alla cultura della Presidenza del Consiglio; è stato membro della commissione per i premi nazionali per la traduzione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. E' stata insignita dell'Ordine al Merito di Commendatore della Repubblica italiana e di quello di Officier des Arts et des Lettres della Repubblica francese. Nel 2006 è stata insignita dall'Académie Fançaise del "Prix du rayonnement de la langue et de la littérature françaises". Collabora alle pagine culturali de "La Repubblica", a " The New York Review of Books", alla "Revue d'Histoire Littéraire de la France". Madre di due figlie, Margherita e Isabella d'Amico, Benedetta Craveri è risposata con un diplomatico francese, Benoît d'Aboville.
Lista delle principali pubblicazioni
-André Chénier, traduzione ed introduzione di Benedetta Craveri, Einuadi, Torino, 1976.
-Benedetta Craveri, Madame du Deffand e il suo mondo, Adelphi, Milano, 1982, tradotto in francese, inglese e spagnolo. Premio Viareggio opera prima, Premio selezione Commisso, Prix du meilleur livre etranger.
-Vita privata del Maresciallo di Richelieu, a cura di Benedetta Craveri, Adelphi,1989; Die Amouren des Mareschalls von Richelieu und einem Essay von Benedetta Craveri, Die Andere bibliothek, Eichborn Verlag, Frankfurt am MAIN, 1990; Vie privée du Marechal deRichelieu,préfacé et annotée par Benedetta Craveri, Editions Desjonquères, Paris, 1993.
-Benedetta Craveri, La civiltà della conversazione, Adelphi, 2002. La civiltà della conversazione ha ricevuto numerosi premi (Premio Cesare Angelini dell'Università di Pavia, Premio città di Pisa, Premio Elsa Morante per la saggistica, premio Italiques, Premio Isaia Berlin. E' apparso in traduzione francese presso l'editore Gallimard nel 2002, che lo ha ristampato nella collana "Tel" nel 2005, ed ha ricevuto il Prix Saint Simon e il Prix du Grand Mémorial. E stato tradotto ugualmente in Spagna (Siruela, 2003) e in Messico ed Argentina (Fondo de Cultura Economica, 2004), negli Stati Uniti (The New York Review Books , 2005), ed è in corso di traduzione in Polonia (Oficyna Naukowa).
-Benedetta Craveri, Amanti e regine. Il potere delle donne,Adelphi, 2005. In corso di traduzione in varie lingue -spagnolo, tedesco, rumeno, polacco, greco, portoghese, inglese, è apparso da Gallimard (giugno 2007)con il titolo di Reines et favorites, Le pouvoir des femmes.
-Benedetta Craveri, Maria Antonietta e lo scandalo della collana, Milano, Adelphi, 2006, Maria Antonieta y el escandalo del collar, Siruela, Madrid e Fondo de Cultura Economica, Città del Messico, 2006, Marie-Antoinette et le scandale du collier, Gallimard, 2008.
Nel corso degli ultimi quindici anni, oltre a una serie di saggi legati al tema della conversazione intesa come connotato altamente distintivo della cultura mondana, la Craveri ha scritto sulla Dame aux camélias di Dumas fils (Un mondo a parte, Programma di sala del Teatro La Scala di Milano, 1990), e su Prévost, L'enigma di Manon Lescaut (Programma di sala del Teatro La Scala, 1992).
Nel 2000 ha redatto per il Dictionnaire général de Voltaire, diretto da Raymond Trousson (Honoré Champion, Paris, 2003), le voci dedicate al président de Brosses, al duca di La Vallière e al maresciallo di Richelieu; ha partecipato al Convegno internazionale di Aosta del 2001 su "L'Italia Letteraria e l'Europa" con un saggio su Vita di società e cultura europea nella Francia d'Antico Regime: Il modello italiano.
Nel 2003 ha contribuito ai "Mélanges" in onore di Jean Dagen (Poétique de la pensée.Études sur l'âge classique et le siècle philosophique, Champion, Paris, 2006, con un saggio sul Marquis de Lassay, e ai "Mélanges" in onore di Marc Fumaroli (in corso di pubblicazione) con un saggio dal titolo Jeu mondain et jeu de la vérité dans les "Portraits" de Madame du Deffand; ha ugualmente partecipato a un convegno tenuto a Cérisy La Salle nell'ottobre del 2003 su L'Epistolaire au féminin. Correspondances de femmes au XVIIIe-XXe siècle,i cui atti sono apparsi presso l'Université de Caen nel 2006, con una comunicazione dal titolo Madame du Deffand et Madame de Sévigné, les enjeux d'un modèle . Un suo saggio su Madame de La Ferté-Imbault et son monde è apparso sulla Revue d'Histoire Littéraire de la France , n.1, 2005.
Nel 2006 ha pubblicato un saggio introduttivo ai Dieci anni d'esilio di Mme de Staël ( Editore Dadò, Lugano), una prefazione alle Lettres de Lausanne et autres récits épistoliares di Mme de Charrière ( Rivages poche, Paris) ed ha tenuto presso l'Institut de Recherches néohelléniques di Atene la conferenza annuale C.Th.Dimaras sul tema La contribution des femmes à une nouvelle forme de civilité (XVIIe-XVIIIe siècles), apparsa con testo a fronte greco nella collana dell'Istituto l'anno successivo. Nel gennaio del 2007 ha partecipato a Parigi a un colloquio su Mme de Genlis, i cui atti sono in corso di pubblicazione, con una relazione su Madame de Genlis et la trasmission d'un savoir vivre e ha pubblicato una prefazione agli Avis d'une mère à sa fille di Mme de Lambert (Rivages poche, Paris). Nel settembre del 2007 ha partecipato a un convegno su Costantino Nigra organizzato dall'Accademia delle Scienze di Torino e i cui atti sono in corso di pubblicazione con una relazione su La contessa di Castiglione, storia di un mito.
Vannina Fonte Basso
Benedetta Craveri insegna Storia della cultura francese all’Università della Tuscia (Viterbo). E’ francesista dunque, appassionata cultrice di un periodo storico (la Francia dell’Ancien régime) di cui indaga aspetti legati al gusto, al costume, ai sentimenti, agli stili di vita, servendosi, con grande padronanza, di fonti come la corrispondenze o i mémoires, da cui fa emergere i tratti nitidi di personaggi rappresentati nelle situazioni più significative — ma anche marginali a volte — che hanno percorso la loro esistenza: molti i personaggi femminili, con una forte presenza nel mondo; femminili, non femministi, a conferma che l’approccio storico al tema dell’identità sessuale porta da sé a valorizzare, senza bisogno di lamenti, la differenza di genere. Di lei si conosce Madame du Deffand e il suo mondo (Adelphi, 1982); di lei è bello leggere le interviste, stralci di lunghe conversazioni (con Marc Fumaroli ad esempio, su temi che entrambi prediligono), che appaiono talvolta nei quotidiani nazionali.
Benedetta Craveri, è difficile dimenticarlo, è anche la nipote di Benedetto Croce. Nella sua esperienza di vita, lo dichiara lei stessa in un'intervista rilasciata poco dopo l'uscita del suo libro, c'è il ricordo del salotto della madre, Elena, luogo d'incontro internazionale, punto di ritrovo di persone con formazione culturale diversa, ma unite da comuni interessi. La madre amava "mettere insieme le persone": per favorire lo scambio intellettuale e la circolazione delle idee, per soddisfare quella "curiosità culturale" che ritroviamo, tratto comune, in personaggi femminili di epoche (ma anche di indole) molto diverse tra loro.
Forse il piacere che la lettura di questo libro di Benedetta Craveri ci regala, è legato all'affermazione, quasi conclusiva della Premessa, con cui l'autrice ci lascia, garbatamente, sulla soglia dei mondi che ha ricostruito per noi. "Questo ideale di conversazione -divenuto luogo di memoria -non ha mai smesso di attrarci e quanto più la realtà ce ne allontana tanto più ne sentiamo la mancanza." Esso "conduce ormai un'esistenza clandestina, ed è appannaggio di pochissimi; eppure niente ci dice che un giorno non possa tornare a renderci felici".
Questo "ideale" di felicità -felicità che si immagina condivisibile -è presente, sempre, nella varietà di situazioni particolari, da cui non è assente il dolore, che vengono presentate nel lungo testo che concentra studio ed erudizione, insieme a riflessioni e ad osservazioni, facili da seguire come in una storia raccontata.
Ma -è uno dei primi pensieri che sorgono leggendo la premessa dell’autrice -questo ideale "di tutta una società" si radica in una struttura definita da concetti "intraducibili" quali esprit (mente, intelligenza, spirito; La Rochefoucauld ne spiega i molti significati accostando il termine a svariati aggettivi), honnêteté (dimensione umana, etica ed estetica insieme), politesse (educazione, termine entrato in uso dopo courtoisie), bienséances (buone maniere). Questi concetti nella nostra realtà pare non possano essere detti; è un'assenza di parola che segnala mancanze reali: spariscono i concetti, sparisce la realtà, si modifica la scena del vissuto, ora più povera o, comunque, profondamente diversa, certamente poco inondata da quella dimensione di felicità che l'autrice riesce così bene a descrivere.
Questo testo è quindi certamente legato al nostro presente, alle domande che esso pone, alle assenze che si fanno notare. Leggendolo, viene da chiedersi cosa è rimasto di quella civiltà e cosa invece è andato perduto; viene da chiedersi se le perdite siano temporanee o definitive. Viene da chiedersi inoltre, quando si parla, con orgoglio, della nostra civiltà occidentale, quanto di tutto questo venga ritenuto essenziale per la formulazione di un così positivo giudizio o se non si preferisca invece mettere in atto un qualche tipo di sommaria rimozione.
L'autrice pare molto consapevole della operazione implicita nel suo lavoro di storica: si tratta di preservare dall'oblio, mettendola al sicuro in un "luogo di memoria", una parte della nostra civiltà cui non possiamo rinunciare. E non è certamente solo il fascino della bellezza, dell'agiatezza, dell'ozio operoso, della possibilità di godere -il plaisir, concesso ad un numero tutto sommato irrilevante di privilegiati -che sollecita questo salvataggio. Nel ripercorrere le tappe dello sviluppo e dell'affermarsi della "civiltà della conversazione" troviamo, uniti da questo filo comune, mondi molto diversi tra loro.
Se il primo salon descritto, il salotto di Madame de Rambouillet, l'azzurro luogo "incantato", dove la giovane marchesa riceve già dal 1613, è forse il "salotto aristocratico" per antonomasia — espressione di quel "Grand Monde" capace di contrapporsi alla corte e di esercitare un prestigio ed un potere che dureranno nel tempo ( Proust li rappresenta in modo ineguagliabile ) — troviamo in seguito salotti che si caratterizzano per aspetti che riflettono in modo diverso la "cultura" ( intesa in senso antropologico ) del tempo nel quale sono collocati. Un salotto come quello della Marchesa di Sablé viene definito "il salotto nel convento", e la marchesa stessa, "protagonista di primo piano della vita sociale intellettuale e morale della sua epoca", viene collocata tra "le fondatrici del Giansenismo". Il salotto di Mademoiselle de Scudéry ci riporta all'interno delle interessanti, sempre attuali, polemiche sulle "preziose"; Madame de Sévigné e Madame de la Fayette ci fanno rivivere la raffinata sapienza sui "moti dell'animo" che cresceva e si alimentava delle conversazioni di interlocutori come La Rochefoucault.
Il salotto di Madame de Geoffrin (siamo ormai nella seconda metà del '700) è il salotto di una borghese, che accoglie anche gli artisti (ma riceve solo uomini), che favorisce la crescita mondana di Mademoiselle de Lespinasse, la nipote ripudiata di Madame du Deffand, legata a d'Alembert e da lui molto amata. Tutte queste situazioni, e molte altre, ricostruite con grande maestria da Benedetta Craveri, nelle quali si ritrova la grande civiltà della conversazione, ci fanno capire — e
l'autrice ci aiuta in questo, confrontando in continuazione tra loro i diversi salotti, le protagoniste ed i protagonisti di questi spaccati di mondo — che la civiltà di cui si parla è una civiltà che non è relegata in uno spazio aristocratico angusto: che la civiltà della conversazione si accompagna alla civiltà della "relazione", patrimonio di tutti, sapere accessibile, prima dell'affermarsi, nel corso dell'800, dei saperi che investono e catturano il soggetto. La sua nascita avviene certamente, in ogni caso, nei primi salotti aristocratici. La Camera azzurra ha la suggestione dell'origine: là sorgono e si sviluppano quelle modalità che caratterizzeranno questa civiltà e non a caso il richiamo all'Hotel de Rambouillet percorre tutto il testo.
All'inizio vi sono gli scherzi, vi sono i giochi, c'è la cooptazione di un poeta come il piccolo Vincent Voiture, figlio di un mercante di vini, ma incarnazione, quasi, di quel brillante esprit cui egli deve ascesa sociale, successo, onori e fama. C'è il grande amore per il teatro, irrinunciabile, essenziale loisir e l'intreccio con la letteratura, che suggerisce modelli di comportamento etici ed estetici, ma nello stesso tempo non potrà non attingere, come preziosa fonte di ispirazione, al mondo dei salons, permeato di eleganti regole che dureranno nel tempo.
Di uno degli ultimi prestigiosi salotti della Parigi del secondo '700, il salotto di Madame Necker, si mette in risalto la "fedeltà a modelli di comportamento elaborati 150 anni prima ai tempi lontani dell'hôtel de Rambouillet." Tutto questo nonostante i cambiamenti esterni incalzassero con grande velocità. Tutto questo nonostante il fatto che per Madame Necker, svizzera, non aristocratica, il "governo" della conversazione fosse così complicato da essere paragonato al "governo dello Stato", di cui si delinea un'autorità di cui "bisogna ci si accorga appena".
E' in quel salotto che cresce, piccola spettatrice, silenziosa ai pranzi, ma arguta interlocutrice degli illustri ospiti nei giorni di ricevimento, Madame de Staël, personaggio troppo noto per insistere sull'importanza che può avere per noi la conoscenza delle sue opere e della sua vita. Essa rappresenta in modo emblematico questo mondo: ne è l’esito felice ( anche se lei stessa fu anche terribilmente infelice ) e ne è al tempo stesso così dipendente da dichiarare che senza i suoi amici e senza "un’animata e intelligente conversazione" non può vivere. Essa rappresenta, forse — ma la forza e lo spessore della sua personalità impongono di affermarlo con cautela — un eccellente risultato "pedagogico".
Si parla infatti, in questo saggio, anche di "Pedagogia". Viene da soffermarsi un attimo per riflettere su quello che viene descritto come un "ambiente pedagogico", che non ha, tuttavia, il problema di non raggiungere i risultati che si prefigge. Leggere ora la descrizione di quelle pratiche pedagogiche — ora, in un'epoca in cui il dominio della pedagogia come disciplina si lega strettamente alla scolarizzazione, si arricchisce di riflessioni e di tecniche legate ad altri saperi (la psicologia), ma è quasi inesorabilmente votato al fallimento e registra, sul piano dei risultati, scacchi brucianti (si vedano le recenti indagini internazionali sugli apprendimenti) — può far dubitare del fatto che la strutturazione disciplinare di un sapere ne garantisca, di per sé, l’efficacia.
Questo, anche al di là delle ironiche prese di distanza che studiosi di grande rilevanza culturale, operanti in ambiti diversi, si sono permessi di esplicitare con chiarezza (la pedagogia è un "sapere risibile" secondo Michel Foucault; una scienza da "cargo cult", dove "la procedura seguita è perfetta: ma la cosa non funziona", come ebbe a dire il grande fisico Richard Feynman).
Il libro della Craveri rispetta le analisi del piano sincronico e dell'asse diacronico che delle vicende storiche ci restituiscono lo spessore. A differenza del precedente e già ricordato lavoro su Madame du Deffand, circoscritto al tempo di vita della protagonista, questo saggio dà conto dell’origine e dello sviluppo, nel corso di due secoli, di questa particolare forma di civiltà, la civiltà legata al conversare. La temporalità più lunga permette confronti, approfondimenti, rilievi di differenze, di caratteristiche… Permette di decretare la fine (è una ben giustificata, ma precisa scelta interpretativa) di un qualcosa che non è certamente presentato solo come fenomeno di costume, ma che si rivela comunque come uno strumento di conoscenza più carico di "informazione" di quanto possa far pensare una valutazione superficiale. Attraverso le osservazioni che riguardano quel preciso contesto, si coglie infatti la portata di cambiamenti epocali, anche se siamo lontani dai grandi eventi.
Siamo arrivati alle ultime pagine. Viene descritta la Parigi degli anni ’80, e le trasformazioni della "socievolezza", così come le racconta un amico di Madame de Staël, Jacques de Norvins. I salotti non sono più isole felici. Si sono trasformati in una vera e propria agorà: centri d’opinione, centri di potere non ancora formalizzato politicamente, più vicini ormai alla socievolezza rissosa della politica che allo stile misurato dei primi salotti aristocratici, dove ancora gli individui e la loro" privata felicità" sono strettamente intrecciati alle forme e ai contenuti veicolati dalla "civile conversazione". E' un mondo che di lì a poco si dissolverà, ma di cui sarà possibile cogliere tratti caratterizzanti in altri ben più confusi e ben più angoscianti contesti.
Il libro si conclude infatti con la citazione di una famosa pagina di Ippolito Taine, che racconta il "comportamento" aristocratico negli anni della rivoluzione. La descrizione di Taine, che la Craveri riporta, esalta gli aspetti formali del mondo che intorno alla conversazione prendeva vita: aspetti formali, tanto più appariscenti in quanto collocati nell’ambiente disordinato e torvo delle prigioni parigine brulicanti di esseri umani strappati al loro ambiente, privati della loro piena identità.
Dignità, sorriso, eleganza, serenità: l’aristocrazia pare vincere il confronto con la durezza spietata del cambiamento. Per questo il loro saper vivere, la loro particolare "felicità" ci sembra forse qualcosa che non si deve, a tutt’oggi, rassegnarsi a perdere.
Vannina Fonte Basso
1 marzo 2002
Pensieri suscitati dalla lettura della civiltà della conversazione di Benedetta Craveri.
di Lia Cigarini
Montaigne (1533-1592), racconta Craveri, esortava gli uomini del suo tempo ad insegnare alle donne “a farsi valere e a stimarsi” affinché sia gli uomini che le donne potessero vivere meglio. In realtà sottolinea Craveri le preziose (un movimento o corporazione di aristocratiche e intellettuali francesi che percorre tutto il diciassettesimo e il diciottesimo secolo) si erano per conto loro attribuite un “alto prezzo” pur in un contesto giuridico a loro sfavorevole. Così da conquistare una tale autorità da renderle protagoniste indiscusse dei cambiamenti culturali avvenuti in quei secoli in Francia. Ho sempre amato e studiato il movimento delle preziose ricavandone idee e suggerimenti per orientarmi nella vita e nella politica delle donne. A me risultavano le donne più consapevoli che avessi letto, e in una specie di corteo immaginario le vedevo sfilare a due a due legale da una appassionata amicizia. Madame de Sévigné e Madame de La Favette, Madame de Maintenon e Ninon de Lenclos, Madame de Sablé e Mademoiselle d’Attichy, Mademoiselle de Scudéry e Madame de Rambouillet e al loro seguito le amatissime figlie. Cosicché quando mi sono affacciata al mondo, munita di volontà e determinazione ma sola e muta nel disagio della emancipazione, avevo dentro di me due beni preziosi: una genealogia femminile ben precisa e la predisposizione ad affidarmi ad una donna più grande di me. So che altre hanno fatto così. Ricordo Carla Lonzi che indicava le mistiche e le preziose come riferimenti a lei indispensabili. Tuttavia non ero mai riuscita a spiegarmi fino in fondo come alcune donne, aristocratiche sì, ma soggette totalmente all’autorità del padre e del marito e senza studi regolari, fossero state in grado di realizzare i propri desideri e progetti tanto da riuscire a dettare le regole del gioco culturale e mondano per quasi due secoli. Ora mi sembra di avere capito. E la loro storia ricomincia ad avere per me una risonanza attuale davvero impressionante. Benedetta Craveri riferisce che durante tutto il seicento una vasta produzione letteraria per lo più maschile sottolineava la parità dei due sessi fino ad arrivare con Poullain de La Bare (1673) a riconoscere alle donne le capacità intellettuali degli uomini. Tuttavia osserva Craveri “a cominciare dall’apparizione delle Preziose, si faceva sempre più strada nel gentil sesso la convinzione che il valore della donna risiedesse nella sua differenza e non nella sua uguaglianza rispetto all’uomo”. In sostanza le preziose avrebbero operato uno scarto rispetto alla secolare querelle de femmes che aveva come oggetto la superiorità o inferiorità di un sesso rispetto all’altro o la parità tra i due. Questo spostamento di senso a mio parere è stato un atto geniale: le preziose hanno così potuto giocare senza remore tutto il loro sapere delle relazioni, della lingua, delle buone maniere, dell’amore, dell’esprit, negli anni in cui l’aristocrazia francese voleva “civilizzarsi” nei costumi e togliere il primato culturale agli italiani. Le preziose, in sostanza si sono consapevolmente mosse come l’avanguardia culturale e mondana di quella aspirazione. Perciò esse non si sono impantanate nella rivendicazione di parità con gli uomini. Neppure hanno dato voce (o forse in quel momento di cambiamento in loro favore non lo sentivano affatto) al risentimento che è il sentire più frequente di moltissime donne: nei confronti degli uomini, della madre, e, alla fine, delle donne stesse. Io penso, poi, che il mettere in valore la differenza e agirla nel mondo, direi, allo stato puro (l’idea nata dalla Rivoluzione borghese dell’emancipazione delle donne e dei loro diritti ad essere considerate uguali agli uomini non si era ancora profilata all’orizzonte) ha sottratto le preziose alla competizione con gli uomini sul loro terreno (guerra, potere statale, professioni, ecc.). La competizione con gli uomini derivata dall’emancipazione ha logorato e logora a mio parere, ancora intere generazioni di donne. Non solo per la fatica fisica e mentale di far fronte contemporaneamente al lavoro e ai figli più volte denunciata ma sostanzialmente irrisolvibile senza un cambiamento radicale del modo di vivere e lavorare e del simbolico. Ma anche per una ragione più centrale, più intima e profonda: sbarra la strada all’agire della differenza che è essenzialmente relazione con l’altro. La competizione, cioè, non apre alcun reale conflitto tra differenza femminile e differenza maschile bensì una gara aggressiva tra donne e uomini e alla fine anche tra donne per tutto ciò che è disponibile nel mondo esistente. La competizione dunque impedisce il riconoscimento di autorità femminile da parte del mondo maschile. Infatti con la competizione/emancipazione non vi è nulla di “prezioso” che si offre alla società, al contrario si tende ad occultare il modo di sentire e pensare delle donne, facendone un qualcosa di arcaico in via di estinzione. Le preziose, ci racconta Craveri, hanno invece messo in campo il di più relazionale delle donne. Hanno con la forza delle parole disegnato – Madame de Rambouillet tuttavia è stata anche l’architetta vera e propria del suo palazzo e della camera dove riceveva – uno spazio fisico e simbolico dove donne e uomini si incontravano fuori da ogni possibilità di identificazione, in relazioni segnate da una alterità riconosciuta e accettata. Il risultato è che la storia della civiltà francese nel momento di suo massimo fulgore è una storia soprattutto di donne. Caso unico in Europa e nel mondo. Come si sa il mondo maschile si è spaccato di fronte al movimento delle preziose: una parte le ha attaccate ferocemente e tentato di ridicolizzarle in tutti i modi anche se un misogino come La Bruyère rende loro, comunque, l’onore delle armi: esse scriveva dimostrano di possedere più di chiunque altro il talento della conversazione e il segreto della scrittura epistolare; un’altra parte però ne ha riconosciuto i meriti, le doti, la funzione egemonica nella cultura e nella società. In poche parole ne ha riconosciuto l’autorità; La Rochefoucaued ad esempio andava dicendo “il giansenismo è donna”, vale a dire attribuiva alle preziose anche la fortuna di quell’esperienza spirituale e filosofica, oltre ad avere come interlocutrici privilegiate Madame de La Favette e Madame de Sévigné. Gli stessi illuministi ad esempio Voltaire, Diderot, D’Alambert, hanno mantenuto intense relazioni di amicizia e scambio filosofico letterario politico con alcune delle preziose del 18° secolo. Comunque il segno incancellabile della loro azione è contenuto nella loro scrittura, lettere e romanzi per lo più; per me tra le opere più leggibili e durature di quei secoli. E’ evidente che le donne del nostro tempo hanno più contraddizioni: siano sparpagliate in tutti i luoghi del mondo maschile, abbiano imparato alla perfezione ad usare gli strumenti di lavoro e di pensiero maschile, la parte fallica di ciascuna di noi è molto più invasiva e di conseguenza l’agire della differenza molto disturbato e reticente. Tuttavia alcune tentano di percorrere la strada stretta della relazione di differenza con gli uomini non tanto per proporre un’alleanza tra il movimento delle donne e gli uomini più preoccupati e critici degli esiti catastrofici della civiltà maschile, bensì – se la differenza è riconoscimento dell’altro- per far risuonare dentro di sé e nel mondo più potentemente la differenza femminile. La bellissima narrazione della civiltà delle preziose scritta da Benedetta Craveri offre tantissimi spunti di riflessione.
(Da: http://www.libreriadelledonne.it/pensieri-suscitati-dalla-lettura-della-civilta-della-conversazione-di-benedetta-craveri/)
***
(s.d.)
Benedetta Craveri, La civiltà della conversazione, Adelphi, Milano 2001
di Gabriella Lazzerini
A chi come me mantiene la convinzione che è possibile avvengano rivoluzioni senza guerra e senza morti sul terreno, consiglio un libro di storia che ha rallegrato la mia estate. Si legge come un romanzo e allo stesso tempo non dice niente che non sia documentato. Nel 1600, in Francia è nata e andata avanti per due secoli una rivoluzione condotta in gran parte da donne, una rivoluzione che ha conosciuto inciampi ma non ha fatto nessuna vittima E' la storia di un ideale che prende forma e si cala nella realtà: un ideale di socievolezza e piacevolezza del vivere che è arrivato a dettar legge in fatto di comportamenti, a segnare per sempre la letteratura e più in generale la lingua e lo scrivere, a far giungere la sua onda lunga fino ai terreni della politica. La si potrebbe chiamare "la rivoluzione dei salotti". Nasce in spazi privatissimi, dentro le case, e il suo strumento principe è la parola: la parola scambiata a voce, scritta nei diari, nelle memorie e in qualche romanzo, ma molto anche attraverso biglietti e lettere, scambi a metà tra il parlare e lo scrivere, usata come la mia generazione ha usato il telefono e adesso la rete. Benedetta Craveri la racconta attraverso le vicende delle donne che ne sono state protagoniste: le preziose, le dame che per due secoli hanno fatto dello spazio privato del loro salotto un luogo dove ci si incontrava, si discuteva di tutto, di passioni, di sentimenti, di letteratura, di nuovo pensiero. Gli intellettuali ci accorrevano, donne e uomini scrivevano romanzi che rispecchiavano quel mondo, li si preferiva ai luoghi istituzionali della cultura e alla corte. Per molte donne sono stati oasi di libertà in cui si costruiva un mondo vicino a loro. Un altro mondo . Due citazioni: "Virile o delicata, austera o frivola, libertina o sessuofoba, la “ preziosa ” coltivava un'alta idea di se stessa e del rispetto che le era dovuto, e questo atteggiamento non era soltanto frutto dell'orgoglio di casta, ma nasceva dalla tragica consapevolezza della fragilità della condizione femminile. I privilegi di cui ella godeva in seno alla società aristocratica non modificavano la sua situazione di inferiorità giuridica e non impedivano che, nella grande maggioranza dei casi, altri decidessero dei suo destino. Ma accettare l'ineluttabile, trovarsi in balìa di un marito non amato, rischiare la vita a causa di maternità indesiderate, non implicava necessariamente un atteggiamento di rassegnazione: la preziosa rimaneva infatti fedele a se stessa, si ascoltava, si analizzava, si possedeva saldamente. Forte del potere conferitole dalle bienséances, ella dava la misura di ciò che valeva nella zona franca della mondanità: lì poteva esercitare liberamente la sua intelligenza, imporre la sua sensibilità, abbandonarsi ai piaceri incorporei dell'esprit; lì le era consentito scegliere ed esigere, sedurre e negarsi, e trionfare finalmente sulla realtà imprigionandola nella metafora. Per questo la letteratura e la lingua assumevano per la “ preziosa ” un'importanza senza uguali: non le consentivano solo di rifugiarsi nel regno dei sogni e delle emozioni estetiche, di raffinare sempre più la sua sensibilità e il suo gusto, ma le insegnavano il potere fondante della parola. Parlare e scrivere diventavano per lei un atto creatore: per lei esisteva solo ciò che accettava di nominare." (pag.234) "Questo ideale di conversazione, che sa coniugare la leggerezza con la profondità, l'eleganza con il piacere, la ricerca della verità con la tolleranza e con il rispetto dell'opinione altrui, non ha mai smesso di attrarci; e quanto più la realtà ce ne allontana tanto più ne sentiamo la mancanza. Esso ha cessato di essere l'ideale di tutta una società, è diventato un “ luogo di memoria , e non c'è rito propiziatorio che possa riportarlo fra noi a condizioni che non gli sono favorevoli; conduce ormai un'esistenza clandestina, ed è appannaggio di pochissimi - eppure niente ci dice che un giorno non possa tornare a renderci felici."
(Da: http://www.url.it/donnestoria/testi/recensioni/artelazzerini.htm)
Da Voltri, ritorno a Pegli. Foto di GP
Alma Mahler: 8 Lieder (1910/1924)
Alma Mahler (1879-1964): 8 Lieder nella versione orchestrale di Jorma Panula (1910/1924).
I. Die stille Stadt (1910)
II. Bei dir ist es traut (1910) [02:59]
III. Ich wandle unter Blumen (1910) [05:34]
IV. Licht in der Nacht (1915) [07:16]
V. Ansturm (1915) [08:14]
VI. Hymne (1924) [11.27]
VII. Der Erkennende (1924) [13:05]
VIII. Kennst du meine Nächte?
(Opera postuma, non datata) [18:38]
Grace Echauri, soprano
Orquesta Filarmónica de la Universidad Nacional de México diretta da Jorma Panula.
***
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(Su Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=gTtQEGMersA - immesso da TheWelleszTheatre - il 1° gennaio 2013 - si ringrazia)
(Condivisione: http://youtu.be/gTtQEGMersA)
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Pegli, Lungomare. Foto di GP
Pensieri suscitati dalla lettura della civiltà della conversazione di Benedetta Craveri.
di Lia Cigarini
Montaigne (1533-1592), racconta Craveri, esortava gli uomini del suo tempo ad insegnare alle donne “a farsi valere e a stimarsi” affinché sia gli uomini che le donne potessero vivere meglio. In realtà sottolinea Craveri le preziose (un movimento o corporazione di aristocratiche e intellettuali francesi che percorre tutto il diciassettesimo e il diciottesimo secolo) si erano per conto loro attribuite un “alto prezzo” pur in un contesto giuridico a loro sfavorevole. Così da conquistare una tale autorità da renderle protagoniste indiscusse dei cambiamenti culturali avvenuti in quei secoli in Francia. Ho sempre amato e studiato il movimento delle preziose ricavandone idee e suggerimenti per orientarmi nella vita e nella politica delle donne. A me risultavano le donne più consapevoli che avessi letto, e in una specie di corteo immaginario le vedevo sfilare a due a due legale da una appassionata amicizia. Madame de Sévigné e Madame de La Favette, Madame de Maintenon e Ninon de Lenclos, Madame de Sablé e Mademoiselle d’Attichy, Mademoiselle de Scudéry e Madame de Rambouillet e al loro seguito le amatissime figlie. Cosicché quando mi sono affacciata al mondo, munita di volontà e determinazione ma sola e muta nel disagio della emancipazione, avevo dentro di me due beni preziosi: una genealogia femminile ben precisa e la predisposizione ad affidarmi ad una donna più grande di me. So che altre hanno fatto così. Ricordo Carla Lonzi che indicava le mistiche e le preziose come riferimenti a lei indispensabili. Tuttavia non ero mai riuscita a spiegarmi fino in fondo come alcune donne, aristocratiche sì, ma soggette totalmente all’autorità del padre e del marito e senza studi regolari, fossero state in grado di realizzare i propri desideri e progetti tanto da riuscire a dettare le regole del gioco culturale e mondano per quasi due secoli. Ora mi sembra di avere capito. E la loro storia ricomincia ad avere per me una risonanza attuale davvero impressionante. Benedetta Craveri riferisce che durante tutto il seicento una vasta produzione letteraria per lo più maschile sottolineava la parità dei due sessi fino ad arrivare con Poullain de La Bare (1673) a riconoscere alle donne le capacità intellettuali degli uomini. Tuttavia osserva Craveri “a cominciare dall’apparizione delle Preziose, si faceva sempre più strada nel gentil sesso la convinzione che il valore della donna risiedesse nella sua differenza e non nella sua uguaglianza rispetto all’uomo”. In sostanza le preziose avrebbero operato uno scarto rispetto alla secolare querelle de femmes che aveva come oggetto la superiorità o inferiorità di un sesso rispetto all’altro o la parità tra i due. Questo spostamento di senso a mio parere è stato un atto geniale: le preziose hanno così potuto giocare senza remore tutto il loro sapere delle relazioni, della lingua, delle buone maniere, dell’amore, dell’esprit, negli anni in cui l’aristocrazia francese voleva “civilizzarsi” nei costumi e togliere il primato culturale agli italiani. Le preziose, in sostanza si sono consapevolmente mosse come l’avanguardia culturale e mondana di quella aspirazione. Perciò esse non si sono impantanate nella rivendicazione di parità con gli uomini. Neppure hanno dato voce (o forse in quel momento di cambiamento in loro favore non lo sentivano affatto) al risentimento che è il sentire più frequente di moltissime donne: nei confronti degli uomini, della madre, e, alla fine, delle donne stesse. Io penso, poi, che il mettere in valore la differenza e agirla nel mondo, direi, allo stato puro (l’idea nata dalla Rivoluzione borghese dell’emancipazione delle donne e dei loro diritti ad essere considerate uguali agli uomini non si era ancora profilata all’orizzonte) ha sottratto le preziose alla competizione con gli uomini sul loro terreno (guerra, potere statale, professioni, ecc.). La competizione con gli uomini derivata dall’emancipazione ha logorato e logora a mio parere, ancora intere generazioni di donne. Non solo per la fatica fisica e mentale di far fronte contemporaneamente al lavoro e ai figli più volte denunciata ma sostanzialmente irrisolvibile senza un cambiamento radicale del modo di vivere e lavorare e del simbolico. Ma anche per una ragione più centrale, più intima e profonda: sbarra la strada all’agire della differenza che è essenzialmente relazione con l’altro. La competizione, cioè, non apre alcun reale conflitto tra differenza femminile e differenza maschile bensì una gara aggressiva tra donne e uomini e alla fine anche tra donne per tutto ciò che è disponibile nel mondo esistente. La competizione dunque impedisce il riconoscimento di autorità femminile da parte del mondo maschile. Infatti con la competizione/emancipazione non vi è nulla di “prezioso” che si offre alla società, al contrario si tende ad occultare il modo di sentire e pensare delle donne, facendone un qualcosa di arcaico in via di estinzione. Le preziose, ci racconta Craveri, hanno invece messo in campo il di più relazionale delle donne. Hanno con la forza delle parole disegnato – Madame de Rambouillet tuttavia è stata anche l’architetta vera e propria del suo palazzo e della camera dove riceveva – uno spazio fisico e simbolico dove donne e uomini si incontravano fuori da ogni possibilità di identificazione, in relazioni segnate da una alterità riconosciuta e accettata. Il risultato è che la storia della civiltà francese nel momento di suo massimo fulgore è una storia soprattutto di donne. Caso unico in Europa e nel mondo. Come si sa il mondo maschile si è spaccato di fronte al movimento delle preziose: una parte le ha attaccate ferocemente e tentato di ridicolizzarle in tutti i modi anche se un misogino come La Bruyère rende loro, comunque, l’onore delle armi: esse scriveva dimostrano di possedere più di chiunque altro il talento della conversazione e il segreto della scrittura epistolare; un’altra parte però ne ha riconosciuto i meriti, le doti, la funzione egemonica nella cultura e nella società. In poche parole ne ha riconosciuto l’autorità; La Rochefoucaued ad esempio andava dicendo “il giansenismo è donna”, vale a dire attribuiva alle preziose anche la fortuna di quell’esperienza spirituale e filosofica, oltre ad avere come interlocutrici privilegiate Madame de La Favette e Madame de Sévigné. Gli stessi illuministi ad esempio Voltaire, Diderot, D’Alambert, hanno mantenuto intense relazioni di amicizia e scambio filosofico letterario politico con alcune delle preziose del 18° secolo. Comunque il segno incancellabile della loro azione è contenuto nella loro scrittura, lettere e romanzi per lo più; per me tra le opere più leggibili e durature di quei secoli. E’ evidente che le donne del nostro tempo hanno più contraddizioni: siano sparpagliate in tutti i luoghi del mondo maschile, abbiano imparato alla perfezione ad usare gli strumenti di lavoro e di pensiero maschile, la parte fallica di ciascuna di noi è molto più invasiva e di conseguenza l’agire della differenza molto disturbato e reticente. Tuttavia alcune tentano di percorrere la strada stretta della relazione di differenza con gli uomini non tanto per proporre un’alleanza tra il movimento delle donne e gli uomini più preoccupati e critici degli esiti catastrofici della civiltà maschile, bensì – se la differenza è riconoscimento dell’altro- per far risuonare dentro di sé e nel mondo più potentemente la differenza femminile. La bellissima narrazione della civiltà delle preziose scritta da Benedetta Craveri offre tantissimi spunti di riflessione.
(Da: http://www.libreriadelledonne.it/pensieri-suscitati-dalla-lettura-della-civilta-della-conversazione-di-benedetta-craveri/)
***
(s.d.)
Benedetta Craveri, La civiltà della conversazione, Adelphi, Milano 2001
di Gabriella Lazzerini
A chi come me mantiene la convinzione che è possibile avvengano rivoluzioni senza guerra e senza morti sul terreno, consiglio un libro di storia che ha rallegrato la mia estate. Si legge come un romanzo e allo stesso tempo non dice niente che non sia documentato. Nel 1600, in Francia è nata e andata avanti per due secoli una rivoluzione condotta in gran parte da donne, una rivoluzione che ha conosciuto inciampi ma non ha fatto nessuna vittima E' la storia di un ideale che prende forma e si cala nella realtà: un ideale di socievolezza e piacevolezza del vivere che è arrivato a dettar legge in fatto di comportamenti, a segnare per sempre la letteratura e più in generale la lingua e lo scrivere, a far giungere la sua onda lunga fino ai terreni della politica. La si potrebbe chiamare "la rivoluzione dei salotti". Nasce in spazi privatissimi, dentro le case, e il suo strumento principe è la parola: la parola scambiata a voce, scritta nei diari, nelle memorie e in qualche romanzo, ma molto anche attraverso biglietti e lettere, scambi a metà tra il parlare e lo scrivere, usata come la mia generazione ha usato il telefono e adesso la rete. Benedetta Craveri la racconta attraverso le vicende delle donne che ne sono state protagoniste: le preziose, le dame che per due secoli hanno fatto dello spazio privato del loro salotto un luogo dove ci si incontrava, si discuteva di tutto, di passioni, di sentimenti, di letteratura, di nuovo pensiero. Gli intellettuali ci accorrevano, donne e uomini scrivevano romanzi che rispecchiavano quel mondo, li si preferiva ai luoghi istituzionali della cultura e alla corte. Per molte donne sono stati oasi di libertà in cui si costruiva un mondo vicino a loro. Un altro mondo . Due citazioni: "Virile o delicata, austera o frivola, libertina o sessuofoba, la “ preziosa ” coltivava un'alta idea di se stessa e del rispetto che le era dovuto, e questo atteggiamento non era soltanto frutto dell'orgoglio di casta, ma nasceva dalla tragica consapevolezza della fragilità della condizione femminile. I privilegi di cui ella godeva in seno alla società aristocratica non modificavano la sua situazione di inferiorità giuridica e non impedivano che, nella grande maggioranza dei casi, altri decidessero dei suo destino. Ma accettare l'ineluttabile, trovarsi in balìa di un marito non amato, rischiare la vita a causa di maternità indesiderate, non implicava necessariamente un atteggiamento di rassegnazione: la preziosa rimaneva infatti fedele a se stessa, si ascoltava, si analizzava, si possedeva saldamente. Forte del potere conferitole dalle bienséances, ella dava la misura di ciò che valeva nella zona franca della mondanità: lì poteva esercitare liberamente la sua intelligenza, imporre la sua sensibilità, abbandonarsi ai piaceri incorporei dell'esprit; lì le era consentito scegliere ed esigere, sedurre e negarsi, e trionfare finalmente sulla realtà imprigionandola nella metafora. Per questo la letteratura e la lingua assumevano per la “ preziosa ” un'importanza senza uguali: non le consentivano solo di rifugiarsi nel regno dei sogni e delle emozioni estetiche, di raffinare sempre più la sua sensibilità e il suo gusto, ma le insegnavano il potere fondante della parola. Parlare e scrivere diventavano per lei un atto creatore: per lei esisteva solo ciò che accettava di nominare." (pag.234) "Questo ideale di conversazione, che sa coniugare la leggerezza con la profondità, l'eleganza con il piacere, la ricerca della verità con la tolleranza e con il rispetto dell'opinione altrui, non ha mai smesso di attrarci; e quanto più la realtà ce ne allontana tanto più ne sentiamo la mancanza. Esso ha cessato di essere l'ideale di tutta una società, è diventato un “ luogo di memoria , e non c'è rito propiziatorio che possa riportarlo fra noi a condizioni che non gli sono favorevoli; conduce ormai un'esistenza clandestina, ed è appannaggio di pochissimi - eppure niente ci dice che un giorno non possa tornare a renderci felici."
(Da: http://www.url.it/donnestoria/testi/recensioni/artelazzerini.htm)